Il caso tedesco di Arrigo Levi

Il caso tedesco Perde colpi la locomotiva d'Europa Il caso tedesco DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BONN — La crisi della distensione, la crisi dell'economia mondiale, hanno scosso le certezze della Germania. E' vero che qui l'inflazione non è passata, mentre la disoccupazione è ancora un male minore che altrove, attenuato dal peso ridotto dei lavoratori immigrati e dai forti sussidi di disoccupazione. Le ricchezze accumulate in trent'anni di grande sviluppo, che hanno portato la Germania a superare la Svezia e gli Stati Uniti nel reddito per abitante, proteggono questo Paese anche contro il forte squilibrio della bilancia dei pagamenti (15,5 miliardi di dollari nel 1980), provocato, oltre che dal caro-petrolio e dalla depressione mondiale, dalle spese immense dei turisti tedeschi in giro per il mondo. Ma neanche le riserve della Bundesbank (SO miliardi di dollari a fine dicembre 1980) sono illimitate: durerebbero, se continuassero i deficit attuali, per poco più di tre anni. Così, anche la potente Germania Federale si sente oggi, dopo il secondo «choc petrolifero», sull'orlo di una crisi: questa potrebbe diventare, da economica e internazionale, anche una crisi di politica interna. Secondo alcuni, sono in pericolo, più o meno seriamente, persino il Cancelliere Schmidt, l'unità del partito socialdemocratico e la solidità della coalizione di governo con i liberali: tutto questo ad appena quattro mesi dalla grande vittoria elettorale dell'ottobre 1980, che sembra avere aperto di colpo la porta a forti tensioni politiche e sociali, sino a quel momento latenti. Oggi si parla di «crisi tedesca», e anche se questa rimane, tra le molte crisi del mondo, una tra le più lievi, fisiologica e non patologica, colpiscono certe inquietudini, certi nervosismi, in un Paese che sembrava da tre decenni forse il più solido e il più stabile tra i grandi dell'Occidente. La «locomotiva» tedesca non riesce più ad assolvere il suo compito tradizionale di .trascinare nello sviluppo tutta l'economia europea, e il suo futuro dipende anche da eventi lontani ed incontrollabili, quali i fatti del Medio Oriente. Ma sono soprattutto le incertezze del quadro politico internazionale, e in particolar modo dei rapporti Est-Ovest, a scuotere le certezze della Germania: un Paese che, nonostante tutti i suoi successi e la sua maturazione democratica, si sente ancora provvisorio, ancora diviso, ancora senza trattato di pace, con l'Armata Rossa alle frontiere e con la sua capitale storica, Berlino, sempre divisa in due dal muro ed esilmente unita al corpo della «vera» Germania da un sottile cordone ombelicale di vie di comunicazione terrestri ed aree, affidate agli storici accordi tra le «potenze occupanti». Sicché Berlino è ancora potenzialmente in balia dell'atmosfera dominante nei rapporti Est-Ovest: questo è, per i tedeschi, il significato concreto della «distensione», che rappresenta quindi qualcosa di molto più vitale per la Germania che per qualsiasi altro Paese. Se l'atmosfera europea ridiventasse tempestosa — si chiedono i tedeschi — che sarebbe di Berlino? Al centro di questo incrocio di tensioni, internazionali ed interne, politiche ed economiche, è il partito socialdemocratico tedesco, la Spd, la «casa madre» della socialdemocrazia europea. Un grande partito, con almeno due grandi leaders, Willy Brandt, il politico europeo più carismatico, ed Helmut Schmidt, il politico tedesco più esperto e più fidato. Un partito che ha una ideologia realistica e costruttiva ed una base popolare solidissima, ma che oggi è investito dall'ondata di fondo di un movimento di protesta giovane, di natura più moralistica che politica, di contenuti complessi e radicaleggiami, che contesta tutto il quadro delle strategie operative, interne ed internazionali, della socialdemocrazia, ma che non trova altro interlocutore valido all'infuori della socialdemocrazia stessa. I tempi difficili impongono politiche prudenti, di conservazione se non conservatrici. Ma l'onda emergente del nuovo radicalismo tedesco, assai meno politico di quanto fu il '68, assai più moralistico e religioso nella sua ispirazione pacifista ed ecologica, respinge con un secco «Nein danken tutte le argomentazioni ragionevoli, tutte le certezze politiche della saggia socialdemocrazia di Schmidt e di Brandt. «Nein danke» agli equilibri strategici, «Nein danket> all'industria atomica, «Nein danketi agli euromissili o alla vendita d'armi, e alla fine «Nein danke» anche a Schmidt e alla socialdemocrazia. Le tensioni e i contrasti trascinano la minoranza di sinistra del partito su una rotta di contestazione critica che minaccia il Cancelliere e la coalizione con i liberali. Verità che rimangono intatte ed indiscusse tra i politici fin dai grandi dibattiti degli Anni Cinquanta o Sessanta — l'impossibilità di una terza forza europea tra l'Est e l'Ovest, la necessità di ricercare la pace attraverso l'equilibrio degli armamenti anziché con il disarmo unilaterale, il valore morale dello sviluppo economico — sono contestate, ignorate, sbeffeggiate da un movimento radicale che sfoga le sue paure nascoste, le paure esistenziali del nostro tempo, in un drastico «No grazie» a tutto e a tutti. Cosciente della serietà di questi problemi e della sincerità di stati d'animo pur cosi poco costruttivi e figli di tanta ignoranza, la socialdemocrazia tedesca sta ora avviandosi ad un profondo esame di coscienza, si prepara, in un libero confronto di opinioni con se stessa e con la gente, ad una prova storica della validità del suo messaggio politico. Intanto, su altri fronti, frenato dalle difficoltà interne, il governo di Schmidt deve confrontarsi con i nuovi americani di Reagan e con i vecchi sovietici di Breznev, con le instabilità del Terzo Mondo e con gli squilibri dell'economia globale, affrontando problemi che richiedono grande senso della misura e un certo calcolo e persino opportunismo: sapendo però che gli è indispensabile conservare, lungo questa strada difficile, una sostanziale unità del partito e un forte consenso popolare. Dove andrà la socialdemocrazia tedesca andrà la Germania e andrà anche l'Europa. Ecco perché il caso tedesco ci tocca oggi così da vicino. Arrigo Levi

Persone citate: Brandt, Breznev, Helmut Schmidt, Reagan, Schmidt, Willy Brandt