La sindrome del Salvador

La sindrome del Salvador OSSERVATORIO La sindrome del Salvador Gli Stati Uniti si accingono a fornire al Salvador nuove armi e un contingente di tecnici e istruttori militari per contenere la guerriglia ispirata da sovietici e cubani. Navi guardiacoste, elicotteri e altre attrezzature belliche per un valore complessivo di 30 milioni di dollari, 30 miliardi di lire, dovrebbero raggiungere la repubblica centroamericana il mese prossimo. Li accompagnerebbero 40 «consiglieri», divisi in tre scaglioni: ufficiali della marina, dell'aviazione, agenti dell'antiterrorismo. Non è escluso, nel caso s'intensifichino le ostilità, un intervento americano più diretto. Consisterebbe in una di queste tre misure (o tutte insieme): il blocco aereo-navale di Cuba, quello del Nicaragua, la difesa delle coste e dei cieli di El Salvador. Obiettivo dell'operazione sarebbe la fine dell'invio di armi sovietico-cubane ai guerriglieri: secondo il dipartimento di Stato, nelle ultime settimane è diminuito, ma si hanno informazioni che «ad aprile esploderà». Che si concretino solo le forniture militari alla giunta salvadoregna, o anche le misure più dirette, resta il fatto che la guerrìglia non è più un evento locale, e neppure regionale. Con lo spettro del Vietnam sullo sfondo, diventa simbolo del confronto tra le superpotenze. L'escalation evitata da Carter è stata perseguita coscientemente da Reagan. Ma il Presidente non intende ripetere l'errore vietnamita: a tutti i costi, imporrà nel Centro America la «pax americana». II salto di qualità, se così può essere chiamato, si manifesta, oltre che nelle dichiarazioni del governo Usa, anche in iniziative parallele. Uno squadrone navale, ad esempio, è impegnato dal 3 febbraio scorso nelle manovre dei Caraibi. Lo compongono 43 vascelli. tra cui una portaerei, parecchi incrociatori, sottomarini. Gli aerei sono ricognitori, caccia e bombardieri. Non mancano elicotteri. Le manovre furono decise un anno fa ma, come ha ammesso il Pentagono, «servono da monito». L'inquietudine di Washington ha spinto Reagan a denunciare «la sindrome del Vietnam», una guerra, ha detto, «che i nostri precedenti governi non consentirono ai nostri soldati di vincere». Reagan forse invierà il vicepresidente Bush nei Paesi-chiave dell'America Latina al duplice scopo di ottenerne l'alleanza e di spiegare loro che gli Stati Uniti non si lascerebbero mai battere nel Salvador. Nelle parole di un collaboratore, se dovrà agire «lo farà in fretta e bene». Un particolare dimostra quale importanza Reagan annetta alla crisi salvadoregna: egli incontrerà Breznev in un vertice solo se sarà certo di una soluzione favorevole. L'attuale visita del premier inglese Thatcher, che come tutti gli europei nutre forti dubbi sulla bontà di questa politica di tipo vietnamita, gli gioverà per chiarire questo punto. Il Presidente eserciterà sull'Inghilterra (e la Germania e la Francia) le stesse pressioni che sta già esercitando sul Messico. La giustificazione legalediplomatica per un intervento americano più diretto a El Salvador è quasi pronta. La giunta dovrebbe proclamare «materiale di contrabbando» tutto l'armamento che entra clandestinamente nel Paese. Dovrebbe quindi chiedere la collaborazione degli Stati Uniti per stroncarne il flusso. A quel punto, lo spazio aereonavale salvadoregno sarebbe aperto alla superpotenza. Di lì ai B-S2 del Vietnam il passo sarebbe estremamente lungo. Ma il carattere dell'impegno Usa sarebbe fin troppo chiaro. Ennio Caret to GUATEMALA _ , -» (8) J HONDURASI OOATEMALAj^^ (S)TEGUCIGALPA SAN SALVA3o~ftS- EL SALVADOR NICARAGUA OS) MANAGUA

Persone citate: Breznev, Bush, Ennio Caret, Reagan, Thatcher