Lingua selvaggia di Franco Lucentini

Lingua selvaggia L'AGENDA DI F.&L. Lingua selvaggia Non meno del terrorismo, degli scandali, degli scioperi, dell'inefficienza burocratica, hanno sicuramente nuociuto alla democrazia italiana nel corso degli anni i telegiornali della Rai. Per quanto è ragionevole supporre, essi vengono preparati da persone di salda fede pluralistica, non specialmente stupide o neghittose; né possiamo credere che i loro direttori siano quei mostri di servilismo e inettitudine su cui si scarica il vituperio di arguti polemisti. No, la prova che il difetto non sta negli uomini ce la danno, paradossalmente, le cattive notizie. Ogni volta che succede qualcosa di grosso e di tragico, i telegiornali si dimostrano all'altezza. Operatori e cronisti si precipitano sui luoghi secondo la migliore tradizione del giornalismo d'assalto, scavalcano fortunosamente ostacoli naturali e artificiali, piombano grintosi nel vivo della faccenda, interrogano vittime, testimoni, autorità varie senza troppo badare al tatto, alla discrezione e alla qualità delle immagini. Anche il montaggio di questi servizi «immediati» è in genere adeguato all'evento: ci sarà qualche cauto taglietto, ci saranno ridondanze e passaggi confusi, ma l'utente non pretende la perfezione e perdona volentieri una certa rozzezza, un certo grado di disordine e casualità, quando si tratta d'informazioni «a caldo». La sua impressione è, alla fine, di aver visto piti o meno quel che c'era da vedere, e di averlo visto mentre succedeva, allo stato naturale; e il suo giudizio è, alla fine, che gli addetti al telegiornale il loro mestiere lo sanno fare. Ma non si vive di sole catastrofi. E non appena la tensione si allenta un po', Tgl e Tg2 riprendono a distillare barilotti di purissima noia. Cerchiamo di capire perché. Costantinopoli è ormai caduta. Per giorni e giorni ci hanno fatto vedere le sue mura sgretolate dall'artiglieria turca, le colate d'olio bollente sugli assalitori, duelli feroci, primi piani di morti e feriti nei due campi, ufficiali bizantini e maomettani che respingevano bruschi il microfono, correndo all'azione. E poi l'ultima mischia sull'ultima breccia, in uno spaventoso fragore di battaglia. Ecco: su questa dissolvenza la cronaca diretta si chiude e cominciano i commenti. Ora, non è che l'utente non voglia commenti, al contrario. La notizia bruta è certo appassionante, ma non soddisfa mai del tutto e spesso mette paura, si lascia dietro una scia minacciosa, carica di dubbi. Che succederà adesso? Si ascolterebbe con sollievo qualche noto stra tega esporre le sue vedute, gli ambasciatori veneti fare delle equilibrate previsioni, i consiglieri del Papa e dell'Imperatore d'Occidente inquadrare il problema da diversi punti di vista. * * Invece riappare lo speaker seduto a tavolino, e alla sua destra, in alto, si apre di colpo una finestrella con affacciato l'onorevole Forlani. Si viene a sapere che questi guarda alla caduta di Costantinopoli «con notevole preoccupazione», pur essendo «fiducioso» che la situazion internazionale non tarderà a riassestarsi. Dalla stessa finestrella si affaccia subito dopo l'onorevole Craxi, e lo speaker ci rivela che egli prova una «profonda inquietudine» per la fine dell'Impero d'Oriente e che quindi nessuno sforzo va tralasciato per stabilire cordiali relazioni con il Sultano. Spadolini (sempre di lassù) manifesta «doloroso stupore» per il crollo di una grande civiltà e auspica un intervento dell'Onu a favore della pace. Gli tiene dietro Pajetta a sottolineare «l'estrema gravità» del momento e a stigmatizzare l'inerzia diplomatica del governo; mentre Lama esprime la «piena solidarietà» dei lavoratori italiani con la classe operaia bizantina. E così via, in meccanica, burattinesca successione, da Longo a Zanone, da Pannella a Benvenuto, da Almirante a Signorile, a chi più ammonisce, ribadisce, distingue, conferma, precisa, puntualizza, si fa carico. La cosa ha all'incirca la vivacità di un rubinetto che perde, e non si riesce a capire come mai degli uomini non di rado intelligenti, rotti comunque alle mille astuzie della loro professione, si lascino massacrare a quel modo. L'ultimo guitto, la cantante più oca, non accetterebbe mai un simile suicidio televisivo. Perfino i presentatori di detersivi e deodoranti sanno che la continua ripetizione dell'immagine ingenera noia, disgusto, e infine una vera e propria intolleranza fisica. * * «Oddio, rieccoli», è infatti il generale grugnito con cui vengono accolti i politici in telefrancobollo. E quando la penosa litania si conclude, il commiato più gentile che si sente è un'«ma va là!» seguito da un epiteto variabile da dialetto a dialetto. L'utente, si sa, è sbrigativo. Quando vede, sera dopo sera, le stesse persone, nello stesso ordine, ripetere le stesse cose con lo stesso linguaggio, giunge alla conclusione che costoro parlano soltanto perché hanno la lingua. E si persuade che Piccoli non abbia mai visto una galera turca, che Magri non capisca niente di fortificazioni, che Camiti ritenga il Corno d'Oro un prezioso monile siciliano, che Berlinguer faccia confusione tra l'Ippodromo e la lotteria di Merano. E perché allora — si chiede — questi ignoranti, questi dilettanti, vengono qui a infliggermi delle generiche e prevedibili sentenze di cui sarei capace io stesso? La sera dopo la sua esasperazione cresce. Lo speaker torna a leggere, nel solito ordine, una dozzina abbondante di dichiarazioni: ma non si tratta più di commenti sulla caduta di Bisanzio, bensì di commenti ai commenti sulla caduta di Bisanzio. Le ferme prese di posizione, le dure repliche, le secche smentite, i severi richiami, le doverose messe a punto, formano a poco a poco una ragnatela inestricabile e incomprensibile. Costantinopoli, la sterminata città, si dissolve tra allusioni, sfumature, e ripicche da retrobottega. L'utente si sente escluso, ignorato. Di che sta cianciando questa gente? Se non è a lui che si rivolgono, se non è per lui che stanno lì alla finestrella, perché non si danno convegno al caffè, per dirsele tra loro, quelle parole di colore oscuro? Ma perché sono dei vanesii, dei palloni gonfiati, degli esibizionisti incurabili, ecco perché. In realtà i poveretti non hanno colpe. E' la struttura stessa del telegiornale a fargli fare quella pietosa figura. I loro discorsi e le loro dichiarazioni non possono essere riportati in diretta e per intero, ovviamente; non resta che il riassunto, pochi paragrafi letti dallo speaker con ritratto «modello lapide» a fianco. Sottoposti a un trattamento del genere per mesi e per anni, neppure Talleyrand e Mettermeli. Machiavelli e Cavour riuscirebbero forse a evitare maledizioni e mortacci. Il risultato è che il cittadino arriva a rimpiangere stragi e terremoti, rivoluzioni e guerre, che almeno tolgono di mezzo per qualche giorno le non più tollerabili facce, il non più ascoltabile lessico. E passo passo arriva ad augurarsi il partito unico, che se non altro significherebbe un unico faccione televisivo. E' inutile vantare i pregi del sistema parlamentare, del pluralismo, della democrazia, se poi l'immagine che di queste belle cose viene propinata con ossessiva regolarità è un'immagine così disastrosamente negativa. Si potrebbe addirittura immaginare che il letale congegno sia stato messo a punto dai servizi segreti di qualche (innominabile) potenza straniera, e subdolamente introdotto alla Rai, dove poi uno scrupoloso senso di equità verso tutti i partiti e la naturale propensione dei politici a dire la loro in ogni occasione, hanno fatto il resto. Di un simile complotto non abbiamo le prove, ma le conseguenze le vedono tutti, tranne gl'ignari, manovrati complici. Ad essi il Paese chiede ormai una prova di responsabilità, coraggio, e vero attaccamento alle istituzioni della Repubbli ca. Nessuno rinfaccia ai nostri eletti di non essere altrettanti Demostene o Cicerone, ma appunto per questo essi dovreb¬ bero saper rinunciare spontaneamente alla pratica nefasta della «lingua selvaggia» e rendersi conto che un'autoregolamentazione del diritto alla chiacchiera televisiva è indilazionabile. Evitino di commentare solennemente ogni caduta di foglia, sappiano individuare di volta in volta i pochi fatti sui quali vale la pena d'intervenire pubblicamente, e su tutto il resto si convincano che, nel loro e nel nostro interesse, è meglio tacere. Oppure, lontani dalle nostre orecchie stremate, concordino un sistema di turni in base al quale il martedì, per esempio, l'esecrata finestrella ospiterebbe l'avviso: «Oggi psi e msi non hanno niente da dire», e il giovedì la scritta: «De e pei offrono il loro silenzio alla patria». Una specie di black-out delle banalità, delle frasi fatte, delle inani ripetizioni, sotto il controllo, magari, dei tecnici dell'Enel. Carlo Frutterò Franco Lucentini

Luoghi citati: Costantinopoli, Merano