Chi fermerà la rupe di Orvieto? di Francesco Santini

Chi fermerà la rupe di Orvieto? «BISOGNA TROVARE TRENTA MILIARDI PER SALVARE LA CITTA'» Chi fermerà la rupe di Orvieto? La frana è a trecento metri dal Duomo - II convento di Santa Chiara sull'orlo del burrone - In pericolo il borgo medievale - «Meandri burocratici, disposizioni borboniche» fermano .'«équipe» del Politecnico di Torino - Già finiti i 6 miliardi per i primi soccorsi - «Intervenga PUnesco» - Parlano Cesare Brandi, Luigi Malerba e il sottosegretario Picchioni DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ORVIETO — Il -male oscuro» di Orvieto e della Rupe che crolla punteggia l'inverno più difficile del patrimonio artistico italiano. Smottamenti, blocchi di tufo in bilico, caverne improvvise nelle sedi stradali. «Uno stillicidio, dice il giovane sindaco della città, continuo a indi¬ rizzare fonogrammi al prefetto di Terni: imploro di non dimenticare il quartiere medioevale». L'allarme per Pompei, i timori per i marmi romani che sfarinano in gesso, le lesioni fiorentine di Santa Maria del Fiore, lo sfacelo dei templi di Agrigento, la devastatone meridionale del terremoto. lasciano poco spazio alla tragedia di Orvieto nella cronaca dei disastri italiani. «L'ultima frana della cultura, dice lo scrittore Luigi Malerba, è destinata a disperdersi nelle sabbie mobili dell'ignavia politica e burocratica». Per la città, che sorge sopra una rocca di tufo inserita in un -pantano- d'argilla. Malerba prepara un appello. «Intervenga l'Unesco. dice, non si può restare nel provincialismo italiano dinanzi a tanto pericolo». Antiche fratture percorrono la Rupe. L'acqua vi si infiltra, gela, allarga le fenditure. Il tufo si sfalda, precipita a valle. E' in pericolo il borgo medioevale. A percorrere le stradette lastricate tutto sembra in ordine, ma i guasti si manifestano a scadenze regolari. Come scaglie vuote di cartapesta, grandi lastre di tufo si staccano dall'altura. «E' caduto un liscione». dicono a Orvieto e indicano, nella campagna, in direzione dell'autostrada, i blocchi che interrompono il paesaggio. Il dissesto è grave. La frana avanza in direzione del Duomo. «E' a trecento metri. spiega il sindaco Barbabella, non si può perdere altro tempo». 77 fronte meridionale della Rupe cede. La stessa fortezza d'Albornoz si staglia a strapiombo sul ciglio instabile del precipizio. La superiora del convento di Santa Chiara avverte: «Ancora otto metri e cade il convento: il burrone è in agguato». Per il Duomo magnifico, il Politecnico di Torino è pronto a intervenire. Il rettore Rigamonti assicura la disponibilità di scienziati illustri. C'è da controllare l'edificio nelle sue navate e nel transetto. Si vuole mettere a punto una stazione strumentale di rilevamento che sostituisca, nel monumento insigne, metodi sorpassati. «E' mai possibile, nel 1981. andare avanti con le vecchie spie in vetro dei vigili del fuoco?», si domanda il sottosegretario ai Beni culturali, Rolando Picchioni, allargando le braccia. Il rettore Rigamonti ha indicato /'équipe: il professor Guido Oberti. direttore dell'Istituto di tecnica delle costruzioni, il professor Bruno Artoni, direttore dell'Istituto di topografia, il professor Stefano Zucchetti, responsabile dell'Istituto di geologia applicata. L'equipe è disposta a partire, ma molti sono gli ostacoli che Picchioni deve superare: «Meandri burocratici, spiega, vincoli di disposizioni borboniche». Mentre il Duomo aspetta, si pensa di ri finanziare la legge che consenta di imbrigliare la rupe con chiodature e tiranti. Il Parlamento l'approvò nel 1978, in maggio, quando le frane dell'inverno erano apparse più rovinose. Furono stanziati sei miliardi per i primi interventi. «Ma i quattrini sono finiti., annuncia il presidente della Regione Umbria Germano Marti. «I lavori, iniziati l'anno passato, saranno bloccati tra un paio di mesi. Per chiodi e tiranti si dovrà aspettare: un progetto ciclopico, una volta avviato, non può morire sul nascere». Cesare Brandi implora: «Attenzione ai rimedi, il pericolo è di guastare un'opera d'arte». Racconta che arrivando di notte dall'autostrada. Orvieto gli appare come «un casalingo Walhalla» con una cortina non di fuoco, ma di luce al sodio interna. Descrìve i fianchi della Rupe «quasi di amba abissina», ma questi fianchi si assottigliano e Malerba critica i «timori estetizzanti» del grande storico dell'arte. «Per Brandi non si dovrebbe toccar nulla. Del resto. commenta sconsolato Malerba, se non si provvede a trovare i quattrini, dovremo mettere un cartello all'ingresso di Orvieto: "Visitate la città prima che muoia"». Gli telefonano da tutto il mondo. «Mi chiamano dal Brasile e dall'Australia mentre in Italia si provvede soltanto a salvare aziende decotte. Per chi è sordo ad altri argomenti, sarà bene ricordare che anche l'arte si può monetizzare». Elenca il Duomo, gli affreschi del Signorelli, il quartiere medioevale, la torre del Moro, il pozzo di San Patrìzio: «Si traducono, ogni giorno, in moneta sonante, in valuta pregiata». Malerba ripete il primo appello che lanciò nel 77. «Se non si torna alla carica, la legge per Orvieto diverrà lettera morta. Avranno allora ragione i necrofili nostrani, sordi, ciechi, attenti soltanto al "particulare". Ricordino almeno di "monetizzare l'arte" e trovino i trenta miliardi necessari per la salvezza di una città preziosa». Un po' di conti li fa il sindaco Barbabella: «Con 132 mila presenze, elenca, abbiamo registrato un incremento del 12 per cento nel 1980. E questo mentre in Italia il turismo langue». Per chi voglia -tradurre in moneta- Barbabella calcola: «Sei. sette miliardi in dodici mesi». Per il sindaco, la città vive «ore nuove»; la mostra -I luoghi della cultura- registra «suc¬ cessi enormi». «Il Teatro Mancinelli è stracolmo e da Roma, dice, sono arrivate alcune promesse: che siano mantenute. Le frane dei giorni scorsi hanno dimostrato che il "male oscuro" della Rupe è più esteso di quanto si pensasse: l'abbiamo verificato sul campo». ' L'allarme per il Duomo famoso, per la Rupe stupenda, angoscia la città, gli ambienti accademici, il mondo della cultura. L'altro giorno l'architetto Domenico Antonio Valentino, soprintendente a Perugia, stava nell'ufficio del sottosegretario Picchioni. «Per la stazione di misurazione, diceva, potrei suggerire di inserire la spesa nel restauro del tetto della navata centrale». Ecco il paradosso. I laccioli della Corte dei Conti impediscono il ricorso a professionisti -esterni-. Per valersene il ministero dei Beni Culturali è costretto a ricorrere a ogni escamotage. Picchioni vuole superare il meccanismo «annuale della perizia» per arrivare ad una «convenzione» con il Politecnico. «Non possiamo ricorrere agli espedienti, afferma deciso, per il S N Duomo dobbiamo trovare una soluzione adeguata». Il sottosegretario ha toni d'amarezza. «Mi sento troppo spesso, confessa, lo stregone della pioggia: nella visita propiziatrice prometto l'intervento del governo. Poi torno a Roma e mi scontro con la "prassi". Al momento della verifica mi accorgo di essere di nuovo al punto di partenza, con una frustrazione in più e un'illusione in meno». Il soprintendente di Perugia azzarda: «Se la Regione, chiede altri trenta miliardi allo Stato, che almeno inserisca il soprintendente nella commissione speciale che s'occupa del dissesto». Il sottosegretario prende appunti e osserva: «Lo Stato non può fare soltanto da ufficiale pagatore». C'è, nella commissione, un ispettore del ministero, ma la soprintendenza non può ignorare quanto accade in uno dei monumenti più significativi del suo territorio. Picchioni è d'accordo: «Non si può pretendere dal governo soltanto una risposta finanziaria per poi invocare i cavalli di frisia delle competenze». La Rupe, il Duomo, il quartiere medioevale si disperdono nelle competenze, nelle dispute "sciatte" del particolare. Picchioni dice: «Orvieto è un problema nazionale. Non credo a chi insinua che la Regione Umbria si sia svegliata quando ha capito che da un appello degli intellettuali poteva gestire molti miliardi. Ma è proprio per superare i "cavalli di frisia" che i rapporti tra centro e periferia vanno impostati in modo più chiaro». Anche per l'uomo politico. Orvieto merita un allarme, affinché si arrivi alla legge di riforma al più presto, per un dialogo corretto tra centro e periferia. «Altrimenti, dice. l'Italia diventa ingovernabile e il concetto di bene culturale come investimento produttivo resta ancorato agli interessi locali». Francesco Santini