Petrolio e aumento dei prezzi di Mario Salvatorelli

Petrolio e aumento dei prezzi I nostri soldi di Mario Salvatorelli Petrolio e aumento dei prezzi Il prodotto dell'azienda Italia, dal 1973 al 1980. è aumentato del 32 per cento in termini reali, cioè ai netto dell'inflazione. Infatti, in lire 1970, contro 63.068 miliardi del 1973, l'anno scorso «abbiamo» realizzato un prodotto il cui valore ha superato gli 83 mila miliardi. Parlo, in questo caso, di «prodotto interno lordo ai prezzi di mercato», cioè dell'insieme di beni e servizi prodotti all'interno del Paese, compresi gli ammortamenti, cioè i beni strumentali destinati a sostituire quella parte degli analoghi beni consumati nel corso dell'anno, oppure il loro teorico deperimento. Prima osservazione: un incremento del 32 per cento nel giro di sette anni equivale a un'espansione media annua del 4,5 per cento, tutt'altro che disprezzabile, tra le migliori inedie del mondo occidentale industrializzato. Ma questo è un altro discorso, utile, caso mai, per replicare agl'innumerevoli denigratori di questo loro paese, di cui è già tanto se conoscono la città dove abitano. Seconda osservazione: in questo periodo di sette anni il consumo di petrolio in Italia è diminuito del 15, quasi del 16 per cento, perchè è sceso dai 107 milioni di tonnellate del 1973 ai 90 milioni del 1980. Questo significa che siamo riusciti a sostituire il petrolio con altre Fonti di energia, ma questo solo in minima parte. Soprattutto, siamo riusciti ad aumentare in misura considerevole il rendimento dei prodotti petroliferi destinati alla produzione (per energia e come materie prime), e a risparmiare altrettanto sensibilmente quelli destinati al consumo finale, per esempio per auto-trazione e riscaldamento. Anche in questo campo, possiamo dire di essere ai primi posti nel mondo occidentale, anche se questo prò- gresso produttivo nell'uso dell'energia in genere, e di quella derivata dal petrolio in particolare, si è registrato in ogni Paese. E' di questi giorni un'informazione dell'Ocse. l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, secondo la quale le importazioni dei Paesi aderenti dall'area Opec sono scese da 24 milioni di barili al giorno nel 1973 a 22 milioni nel 1980, con un risparmio complessivo dell'8 per cento. Ma questo calo delle importazioni dalla zona Opec (cioè, dai Paesi arabi, più Iran, Venezuela. Ecuador Nigeria. Indonesia) è stato in buona parte compensato dall'aumento delle importazioni da altri Paesi, Messico in testa, e dalla produzione del Mare del Nord, mentre i consumi complessivi sono praticamente rimasti stabili. Tanto più valore acquista, in questo quadro, il nostro risparmio netto di petrolio, che dovrebbe - ed è questo il punto a mio giudizio più interessante - orientare meglio la campagna e le misure del governo per ridurre i consumi di energia. Sia l'una che le altre sono ancora necessa¬ rie, soprattutto per le conseguenze della propaganda anti-nucleare, che sta provocando ingenti danni al Paese, e più ancora ne provocherà nei prossimi anni. Una propaganda per la quale la parola «oscurantismo» sembra la più appropriata, e non solo perché la mancanza di centrali a energia nucleare è una delle maggiori cause dei «black-out» che da quest'inverno hanno incominciato a deliziarci. Ma occorre distinguere tra risparmio e austerità, per evitare quelle misure che già troppi problemi hanno creato nei settori più produttivi del Paese. Non è. per esempio, riducendo le importazioni, invece di puntare sull'aumento delle esportazioni, che si può pensare di contenere il disavanzo della bilancia commerciale. A meno che non si voglia gonfiare l'esercito dei disoccupati, e diminuire i redditi degli occupati, come a me sembra proprio che si intenda fare. Un'ultima osservazione. L'impatto del caro-petrolio sul costo della vita si è sentito in tutto il mondo occidentale. Ma è stato combattuto in modi assai diversi. Per esempio. l'Ocse calcola che i prezzi relativi dell'energia per l'utilizzatore finale siano cresciuti in Giappone del 142 per cento rispetto al 1972. e dell'86 per cento in Italia, in confronto agli indici degli altri prezzi all'ingrosso e al consumo. Ma il tasso d'inflazione l'anno scorso è stato dell'8.5 per cento in Giappone e di oltre i! 21 in Italia. Un altro elemento in più per sfatare l'alibi del caro-petrolio, che spesso viene accampato da chi vuol spiegare il nostro primato inflazionistico, ignorando le cause a mio giudizio assai più rilevanti, come la scarsa produttività, il congegno attuale della contingenza e la mancanza di un controllo sui prezzi.