Diplomatici sì, ma contestatori di Franco Mimmi
Diplomatici sì, ma contestatori C'è aria di polemica nella compassata Farnesina Diplomatici sì, ma contestatori Un gruppo di funzionari, che da anni fa capo alla rivista «Diplomazia 80», continua a parlare di «svuotamento degli organi burocratici effettivi» - Sotto accusa il «potere per bande» ROMA — Se qualcuno ricorda al ministro degli Esteri Colombo una frase pronunciata alcuni mesi fa dal ministro del Commercio Estero Manca — che l'Italia ha una politica estera «asfittica» — Colombo sorride col suo solito aplomb. Ma si vede che la ferita non si è ancora rimarginata. Gran parte dei funzionari della Farnesina è solidale con Colombo, ma vi è anche un gruppo che muove al ministero critiche analoghe a quelle di Manca. Quanto sia forte questo gruppo — che si chiama «Diplomazia 80» e si esprime attraverso un'omonima rivistina — è difficile dire. Si sa che raccoglie l'eredità di quel movimento che negli Anni Settanta si chiamava «Farnesina democratica», che la rivista è a cura di una decina di persone. Si tratta, però, di vedere quanti dei circa 900 funzionari del ministero si riconoscano in quelle tesi. Probabilmente, la percentuale è di qualche punto inferiore al 20 per cento. Vediamo, desunte dalla rivista di cui si è detto, alcune delle critiche mosse «da Diplomazia 80». -Procede alla Farnesina... uno svuotamento degli organi burocratici effettivi a vantaggio di proliferanti strumenti collaterali di intervento e decisione (gabinetti, super segreteria, incaricati ad hoc, etc). Il risultato è quello di procedere verso l'estensione al servizio diplomatico italiano di quel potere "per bande" o per gruppi variamente collegati che è un tratto caratteristico del degrado del nostro Paese». Insomma: la Farnesina, afferma Diplomazia 80, è oggi un organismo frantumato, che non elabora una politica estera ma se ne trova imposta una fatta al di fuori delle strutture del ministero: nei gabinetti degli altri ministri, dai vari consiglieri diplomatici e personali dei ministri o della presidenza del Consiglio e della presidenza della Repubblica. Ovviamente, tutti questi personaggi sono collegati ai partiti o a gruppi di pressione economici. Chi non è d'accordo con quest'analisi, replica facendo notare che la Farnesina può elaborare studi e ipotesi, ma a decidere la linea di politica estera del Paese sono poi il governo e il Parlamento, e a tali decisioni il ministero degli Esteri si deve adeguare. L'ipotesi di interferenze esterne viene negata. Sarebbe auspicabile, si dice anzi, che le consultazioni del presidente del Consiglio con i mi- nistri avessero luogo anche in altri settori, per evitare certe distonie (e il riferimento ai contrasti tra Andreatta e La Malfa per le misure di restrizione del credito è più che evidente). Quanto ai consiglieri diplomatici di Palazzo Chigi e del Quirinale, c'è chi alla Farnesina li giudica 'preziosi strumenti di collegamento» (d'altra parte, è proprio dalla Farnesina che essi provengono) e si ricorda come vi sia un funzionario del ministero degli Esteri distaccato presso il Commercio estero, per mantenere il coordinamento tra i due dicasteri, e un altro al ministero del Lavoro per occuparsi della parte comunitaria. Certe critiche vengono In parte accolte. Si ammette che quella della Farnesina è una struttura «a maglie larghe», e che necessita di una ristrutturazione secondo criteri geopolitici, in modo che non vi siano più funzionari che, indipendentemente l'uno dall'altro o quasi, si occupano della stessa area in settori distaccati. Ma in attesa della riforma, si fa notare, vi è una consultazione periodica fra i vari uffici. 'C'è qualche smagliatura, ma non è tutto da buttare». Ma in un punto l'ingerenza partitica si è manifestata con evidenza, ed è stata la nomina di ben quattro vicesegretari, tanti quanti i partiti che formano il governo. Per la de c'è Spenza, Della Briotta per il psi, Belluscio per il psdi, Gunnella per il pri. C'era proprio bisogno di tanta gente? A questa domanda, i funzionari del ministero, quale che sia la loro posizione, si stringono nelle spalle. Per lo più, ritengono che i sottosegretari passino senza lasciar troppe tracce né far troppi danni, tenuti a freno dai direttori generali dei settori Insomma: i quattro sono il prezzo pagato al partitismo spinto che è una caratteristica del Paese, e che d'altra parte gli stessi politici pagano, al termine delle ricorrenti battaglie di partito o di corrente. Alla Farnesina, per esempio, si ricorda che Colombo, quando venne formato l'ultimo governo, si batté per conservare tra i suoi vice Zamberletti, autore del trattato con Malta, ma non ci fu niente da fare: neppure le lacrime del ministro bastarono a salvare un collaboratore del quale partito e corrente avevano deciso l'avvicendamento. Franco Mimmi
Persone citate: Andreatta, Gunnella, La Malfa, Manca, Zamberletti
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