Iran, secondo anniversario di Igor Man

Iran, secondo anniversario OSSERVATORIO Iran, secondo anniversario Due anni fa, l'il e 12 febbraio, l'insurrezione popolare spazzava via l'infausto regime di Reza Pahlavi. Unitisi ai cadetti dell'Aeronautica, popolani, donne e persino ragazzini armati di pochi fucili, quando non di sassi e bastoni, ebbero ragione, nel volgere di tredici ore, dei terrìbili «immortali» (i «moschettieri del duce» dello Scià) che si arresero in mutande, i pantaloni ripiegati sul braccio. Quel moto popolare, uno dei più autentici e folgoranti della storia, fu salutato con estremo interesse e con rispettosa simpatia persino negli Stati Uniti. Ebbene, due anni dopo cosa rimane di quel fervore unitario — mullah e guerriglieri marxisti combattevano fianco a fianco —i di quella straordinaria epopea rivoluzionaria? Secondo l'analisi del professor Crane Brinton, dell'università di Harvard, le rivoluzioni nei Paesi del Terzo Mondo sembrano seguire tre passaggi obbligati. Subito dopo il trionfo rivoluzionario, vanno al potere i moderati. Successivamente i moderati, vittime della retorica rivoluzionaria, cadono, e il Paese piomba nel caos. Infine, dopo una serie di convulsioni inteme, i massimalisti si impadroniscono di tutte le leve del potere e instaurano la dittatura. Parlando l'altro ieri in piazza Azedi a due milioni di persone, il presidente Bani Sadr ha citato proprio lo storico Brinton per affermare: «La nostra rivoluzione ha raggiunto il terzo stadio. Stiamo assistendo all'avvento della tirannia; stiamo in pratica tornando al passato. Nelle carceri si torturano gli oppositori. La libertà dei cittadini, anche la mia, viene violata ogni giorno. C'è una atmosfera di sospetto alimentata dagli stalinisti. L'economia guidata da un governo di incompetenti va a rotoli. Ma il popolo può e deve resistere contro i bruti e i tirannia. L'immensa folla ha fatto eco al presidente scandendo: *No alla censu¬ ra, sì alla legge, viva la libertà». Ma il successo di Bani Sadr una volta tanto non rimane circoscritto alla dimensione del comizio. Prima che il presidente prendesse la parola, il figlio di Khomeini, Sayed Ahmed, ha letto un «ammonimento» dell'imam a quei religiosi che fan parte dei tribunali, dei vari comitati etc, ripetendo con enfasi, ben due volte: «Ogni interferenza negli affari dell'esecutivo è illegale, ha come risultato di allontanare i religiosi dal popolo, peccato gravissimo. I religiosi facciano il loro dovere senza seminare zizzania. Si astengano da tutto ciò che può provocare disordine e illegalità». Khomeini si è dunque deciso a scendere dal piedistallo e a schierarsi con Bani Sadr, il presidente costretto, paradossalmente, ad agire come il capo dell'opposizione. Perché lo ha fatto? Per un diverso ordine di motivi: innanzitutto perché si è accorto che i religiosi con il loro strapotere hanno generato il caos, fino al punto di sabotare gli sforzi bellici delle Forze Armate comandate da Bani Sadr. E poi, perché si è reso conto come quest'ultimo sia popolare e, quel che più conta, goda dell'appoggio incondizionato dell'esercito. Ancorché malato, il vecchio imam è abbastanza lucido per capire come lo scontro frontale fra integralisti e moderati (fra Behesti e Bani Sadr) alla lunga altro sbocco non avrebbe se non la guerra civile. Per esorcizzare questo spettro, Khomeini richiama tutti «all'unità rivoluzionaria», pena la più grande delle tragedie. Ma lo showdown è solo rinviato. Ha dunque ragione Bazargan quando afferma che «il futuro è pauroso». Anche perché gli integralisti, magari senza rendersene conto, «stanno spingendo l'Iran, nell'illusione di combattere gli Usa, nelle braccia dell'Urss». Igor Man Khomeini: con Bani Sadr, contro la guerra civile

Luoghi citati: Iran, Stati Uniti, Urss, Usa