Tra i dannati del San Camillo di Francesco Santini

Tra i dannati del San Camillo UNA GIORNATA NEL PIÙ' GRANDE OSPEDALE DI ROMA DURANTE LO SCIOPERO DEI MEDICI Tra i dannati del San Camillo Dice un medico: «Se arrivasse l'Ufficio di igiene chiuderebbe il reparto accettazione» - Un unico ascensore trasporta la biancheria sporca e il vitto, i morti e i visitatori - L'inserviente che monta i letti d'emergenza nei corridoi picchiato dagli infermieri che temono un superlavoro - Storie di furti -1 malati non autosufficienti costretti a ricorrere a personale privato: da 60 a 90 mila lire per 24 ore - L'ospedale è diventato un cronicario - «Ma è per lo sciopero?» «No, qui è sempre così» ROMA — «Ma hai visto le lenzuola?». L'anziano ufficiale è fradicio. La febbre brucia a 40 gradi. Un ictus cerebrale gli immobilizza da un paio di mesi la parte sinistra del corpo. E' arrivato al San Camillo nel pomeriggio. L'hanno trasferito da un centro di rieducazione della Magliana. Un'infezione alle vie urinarie ha consigliato il ricovero nel più grande ospedale della capitale. Per soccorrere il padre, Valeria ha viaggiato nella notte. A Livorno ha lasciato la scuola, i figli, il marito. Fabio, il fratello, le è accanto, muto. Gli occhi lucidi, fissi sullo spettacolo di un uomo che ricorda giovane. Esce dalla corsia. Aggredisce la caposala. «Ma è un uomo, come si fa a lasciarlo così per tutta la notte?». La suora lo osserva sorpresa: «Il cambio della biancheria, risponde, è al¬ le 9 del mattino, non si può pretendere troppo». > Il ragazzo torna nella corsia. «Stanotte, gli dicono, suo padre è caduto: l'abbiamo soccorso noi, sarebbe rimasto per terra». Adesso Valeria piange. Fabio le accarezza il volto. Trascorrono le ore. Non si vede un medico, non c'è un infermiere. «Ma è per lo sciopero?» Il vicino di letto risponde con gentilezza: «No, qui è sempre così, sciopero a parte». Poi consiglia: «Ci vorrà un'assistenza». Nel vocabolario dell'ospedale nei vorrà un'assistenza» vuol dire pagare dalle sessanta alle novantamila lire per ogni ventiquattro ore. E' così, con un turno complicatissimo di infermiere, di portantini, di personale esterno che al San Camillo il malato sarà controllato. Una spirale di spesa e un vortice crescente di mance gli ga¬ rantiranno di sopravvivere in corsia, al riparo dalle piaghe necrotiche da decubito, dal fetore del suo corpo che ha perso il controllo. Sarà protetto dalla scortesia e dall'improntitudine del personale paramedico. Sparirà, per incanto, la disattenzione annoiata dei sanitari che non vogliono cattivi odori e preferiscono «i bei malati, sempre in ordine»._ Sui muri color ocra le solite scritte: si scagliano contro «una spia». Si fanno i nomi di «tre ladri». Spiega un portantino anziano: «Lavorano al guardaroba, fregano tutto». E lei che cosa fa? «Io sono addetto a montare i letti nei corridoi quando le corsie non sono più sufficienti». E' un lavoro che non fa volentieri. L'altro giorno in un padiglione due «ausiliari» l'hanno picchiato. «Mi hanno visto arrivare con i letti, mi hanno detto d'andar via. Avevo l'ordine scritto della direzione. L'ho mostrato. Sono volati i pugni. Io non sono un medico, non vendo i letti, io li monto dove vuole il direttore. Per gli ausiliari, più letti vogliono dire più lavoro. Qui c'è la mafia, dal piccolo al grande: ognuno per sé». Racconta della sua vita negli ospedali. «Quante ne ho viste. Al Santo Spirito conoscevo un cuciniere: con la carne dei malati mandava avanti un ristorante». E al San Camillo? «Anche qui, la stessa cosa. Accanto a casa mia abita un cuoco. Scarica dall'automobile mezze forme di parmigiano, pacchi e pacchetti. I bottegai della zona, in dodici anni, non hanno mai conosciuto la moglie: mai entrata in un negozio». E la mensa? «Ce ne sono due: la prima per i malati, la seconda per il personale. Il vitto è immangiabile. Per i degenti, molto dipende dalla caposala. Chi si sa imporre ottiene vassoi decenti. Se le suore non se ne occupano, le fettine sono di legno, il pollo è un osso, i rigatoni si incollano nella scodella». Ieri il San Camillo aveva in forza 1999 malati: 987 uomini, 1012 le donne. I dipendenti sono tremila in tutto. Di questi, seicento sono medici. Lo sciopero ha visto pochissime defezioni tra il personale, mentre i sanitari si sono assentati al 65 per cento. «Noi non regaliamo i quattrini alla direzione, dicevano i paramedici, per far arricchire i signori professionisti: chiedono un aumento di cinque milioni l'anno: è assurdo. Se non sono a full time, moltiplicano lo stipendio con gli studi privati. Usano l'ospedale soltanto per dire al malato "venga da me, la seguirò personalmente"». Ma sono tutti così? «No, non tutti sono avidi. Ma la maggioranza non ha scrupoli». AI San Camillo, per chi è costretto a percorrere il «tunnel della malattia», il primo impatto è terrificante e il dottor Paiella, di turno alla «accettazione», ammette: «Basta dare un'occhiata alla sala d'attesa». La stanza, sei metri per sette, è senza finestra. Un piccolo ventilatore da tavolino appeso in un angolo del soffitto è immobile e impolverato. Su una barella, abbandonato a se stesso, un giovanotto dal volto deformato dal mongolismo piange con toni sommessi. Si martoria il labbro inferiore con i denti, s'agita e si comprime il ventre. Una donna anziana di Pota è lì da qualche ora. Non funziona il pace-maker. impallidisce di minuto in minuto. Il dottor Paiella che ricorda con orgoglio di aver soccorso il re d'Egitto Faruk ammette: «Qui se arrivasse l'ufficio d'igiene, chiuderebbe in un'ora: sono queste condizioni igieniche degne del più grande ospedale di Roma? Andiamo sempre peggio: è la politica che rovina tutto. Ci sono, in prospettiva, le elezioni. E allora assistiamo i drogati, e il prefabbricato destinato alla preospedalizzazione si usa per distribuire bibite al metadone». Interviene il professor Claudio Roscioni, responsabile dell'astanteria: «E già, proprio la politica. Adesso l'Udi fa le assemblee, vuole le mamme accanto ai bambini: e allora che cosa si fa? Si chiude un reparto di medicina per far posto alle mamme? lo dico: benissimo le madri con i bambini, ma con i malati in coma che cosa facciamo, li rimandiamo indietro?». Il professor Roscioni pigia un campanello. Scatta la porta a vetri del suo reparto: letti in corridoio, donne che si lamentano. «La verità, dice, è che l'ospedale è diventato un cronicario. Lasciano i vecchi al parcheggio, non tornano a riprenderli: siamo costretti a rivolgerci ai carabinieri». «E già, commenta Paiella, proprio così, scaricano la nonnetta, ma per prima cosa chiedono al medico la controfirma per la delega: ritirano la pensione, se ne vanno in vacanza». Storie penose, raccontate con il cinismo di chi «non ha più rabbia e ha superato l'avvilimento». E allora esce fuori la vicenda della vecchietta re- spinta che si presenta un quarto d'ora più tardi con una frattura. Il sanitario ride divertito: «Ma pensi, la nuora, l'aveva buttata per terra, una spinta e me la ritrovo ricoverata». Parte, dalla pensilina esposta alla pioggia, il carrello diretto a ortopedia. Il conducente è in un gabbiotto senza sportelli. Il tergicristallo è azionato a mano. «Il malato se ne sta buono perchè la frattura duole. Ma se no, ci sarebbe da scendere, da scappare». I finestrini non chiudono. Gli sportelli posteriori sono corrosi dalla ruggine. Le cerniere dissestate e risaldate lasciano passare una mano intera, sino all'attaccatura del pollice. Davanti all'ex padiglione della preospedalizzazione file di tossicodipendenti aspettano con addormentata impazienza. «Per far posto al metadone, dice Paiella, un ginecologo e un chirurgo sono costretti a litigarsi l'unico lettino nella stanza che fa da archivio e da laboratorio di analisi». Il locale è angusto: due stanzette, cinque sei infermiere. Non c'è bagno. Su un fornellino riscaldano il caffè. «Ecco, come si lavora, ecco co¬ me si fa la preparazione al ricovero, in che ambienti i prelievi e le visite: siamo in un ospedale o in un edificio requisito per i terremotati irpini?». La caposala è desolata: «Mi viene da piangere». Nei padiglioni il clima non è più incoraggiante. Un unico ascensore trasporta al «Lancisi», al «Marchiafava» e al «Cesalpino» la biancheria sporca e il vitto; i morti e i visitatori. «Dove sta l'igiene?, domanda Paiella, io qui non mi sono fatto operare: ho preferito una clinica convenzionata». sanitario ammette: «Una situazione drammatica: e allora? Che cosa dobbiamo fare, mandare indietro i malati che arrivano da tutta l'Italia? Noi non giochiamo a ping pong con i pazienti. Il San Camillo non ha mai mandato indietro nessuno». Dal tram «13» che sale sferragliarne da Trastevere e parte da Largo Preneste, scendono le donne dell'«assistenza». E' l'ora del cambio. In una busta hanno un camice azzurro, in un'altra un po' di biancheria pulita. Corrono ai padiglioni per preparare i malati prima che arrivino i parenti. Chi può pagare sarà in ordine: «pulito, ordinato», proprio come dicono i medici Per gli altri? «Si arrangino». Al secondo piano del «Marchiafava» un distinto signore imbocca la madre. La donna sta in un corridoio. L'uomo taglia il pollo, e appoggia il piatto sulla coperta. Passa la caposala: «Attenzione a non sporcare, attenzione, altrimenti la prossima volta lei non entra: per sua madre c'è il personale. Provvediamo noi». «Va bene sorella, faremo attenzione». Francesco Santini Roma. Sciopero dei medici ospedalieri: malati nei corridoi al Policlinico (Telefoto Ap) Roma. Il reparto cucine di un ospedale romano semideserto a causa dello sciopero del personale ospedaliero e paramedico

Persone citate: Cesalpino, Claudio Roscioni, Durante, Magliana, Paiella, Roscioni

Luoghi citati: Italia, Livorno, Roma