Processo per omicidio Torregiani 23 imputati, sei ancore latitanti di Susanna Marzolla

Processo per omicidio Torregiani 23 imputati, sei ancore latitanti L'orefice ucciso a Milano perché aveva sparato a un rapinatore Processo per omicidio Torregiani 23 imputati, sei ancore latitanti Cinque giovani sono accusati dell'assassinio, gli altri di banda armata - Due anni di indagini tra vari gruppi terroristici - La confessione di un pentito (che poi ritratta) MILANO - Comincia oggi il processo per l'uccisione dell'orefice Pier Luigi Torregiani, avvenuta due anni fa a Milano e rivendicata da sedicenti «proletari armati per il comunismo». Imputati 23 giovani, di cui sei latitanti. Cinque sono accusati dell'omicidio: Sante Fatone, 21 anni, Pietro Mutti, di 27, entrambi latitanti; Gabriele Grimaldi, 30 anni, Giuseppe Memeo, 23 anni, e Sebastiano Masala di 27. Gli stessi Grimaldi e Memeo, assieme a Maria Pia Ferrari, Silvana Marelli, Germano Fontana devono inoltre rispondere di organizzazione di banda armata «ai fine di sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti». Una banda armata, secondo l'accusa, dall'aspetto poliedrico in quanto non si accontentava di una sola sigla, ma ne utilizzava quattro diverse (proletari armati, nuclei comunisti per la guerriglia proletaria, squadre comuniste dell'esercito proletario, squadre armate proletarie). Per partecipazione a questa banda armata sono inoltre imputati: Walter Andreatta, Giuseppe Crippa, Angelo Franco, Marco Masala, Marco Moretti, Cipriano Falcone, Diego Giacomini, Cesare Battisti. Vi sono infine 4 imputati per reati minori: Annia Casagrande (favoreggiamento) Angela Bitti e Claudio Orelli (detenzione di armi), e Giuseppe Miotti (falsificazione di documenti). Al troncone principale dell'istrutorìa se ne sono poi aggiunte altre due: contro Sisinio Biti, Claudio Lavazza e Luigi Bergamini per banda armata; contro Crippa e Andreatta per detenzione di droga. Il nome di Pier Luigi Torregiani arrivò alle cronache nel gennaio del 1979. Mentre cenava con alcuni amici in una pizzeria alcuni banditi tentarono una rapina; il gioielliere che girava armato, reagì: nel¬ la sparatoria rimasero uccisi un rapinatore e un cliente. Venti giorni dopo, il 16 febbraio, mentre alle tre del pomerìggio stava per aprire il suo negozio nel popolare quartiere della Bovisa. Torregiani venne aggredito da due giovani: gli spararono alle gambe, il gioielliere estrasse la pistola, gli assalitori lo uccisero. Rimase ferito anche il figlio di Torregiani, Alberto, 14 anni: un colpo alla spina dorsale per cui rischia di restare paralizzato. Benché la rapina in pizzeria fosse opera di delinquenti comuni (il bandito appartene¬ va al clan dei catanesi), l'uccisione di Torregiani assume subito una coloritura politica. Il delitto viene infatti rivendicato da «proletari armati per il comunismo». Chi sono? Gli inquirenti hanno in mano un elemento: la targa di un'auto, rilevata da un testimone che vi ha visto salire due giovani «dal fare sospetto» nella zona dell'omicidio. La vettura appartiene alla madre di Sante Fatone conosciuto come militante del «collettivo autonomo della Barona». E in quell'ambiente gli agenti effettuano i primi arresti soprattutto sulla base della testimonianza della nipote di Fatone: una ragazzina di 15 anni che i periti giudicheranno poi particolarmente immatura. Tant'è che di quelli arrestati alcuni verranno scarcerati per mancanza di indizi; altri verranno prosciolti dalle accuse principali. Bitti e Marco Masala erano stati infatti indicati come 1 «killer» ma avevano un alibi di ferro: erano a lavorare. Ciò non impedì loro di restare un po' in carcere con l'accusa di omicidio, né di subire trattamenti «poco cortesi» da parte degli agenti. Furono tredici, all'epoca, le denunce contro la polizia per pestaggi e torture: il giudice istruttore nel giugno dell'anno scorso ha deciso di archiviarle, ma ha archiviato anche la denuncia per calunnia presentata dalla questura. Le prime indagini. In sostanza, si conclusero con l'incriminazione per omicidio di tre giovani (Fatone, Mutti e Sebastiano Masala) tutti e tre latitanti: solo Masala, in seguito, venne arrestato. «Nuovo vigore all'inchiesta» per usare le parole dell'istruttoria, viene nell'estate del '79 dalla scoperta in due appartamenti di armi e altro materiale: uno è intestato a Silvana Marelli, un altro a Maria Pia Ferrari. In quest'ultimo, tra l'altro, viene trovata copia del volantino con cui si rivendicava l'ucccisione di Torregiani. Ci son altri fermi, perquisizioni. In particolare Walter Andreatta rimane in questura dieci giorni. Interrogato a più riprese, dice di conoscere gli assassini di Torregiani. Sarebbero Grimaldi e Memeo: loro materialmente avrebbero sparato mentre Fatone, Mutti e Masala avrebbero solo fatto parte del «commando». Andreatta però poi ritratta tutto: scrive ai suoi compagni definendosi un «delatore pentito». Ma il magistrato ritiene valida solo la prima deposizione. Susanna Marzolla

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