Forse una scalata al vertice della mafia scatenò la spietata strage di Agrigento di Franco Giliberto

Forse una scalata al vertice della mafia scatenò la spietata strage di Agrigento Il quadruplice omicidio nelle campagne di Cattolica Eraclea Forse una scalata al vertice della mafia scatenò la spietata strage di Agrigento Gli inquirenti hanno identificato la vittima designata: è «don» Liborio Terrosi, 48 anni, figlio del boss novantenne del paese - Gli altri sarebbero stati abbattuti per non lasciare testimoni - Legami con il traffico di droga? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE AGRIGENTO — «Uno pecora può valere centomila lire. Il candidato capo mafia ucciso con altre tre persone lunedi scorso possedeva 250 pecore. Perciò diciamo che teneva 25 milioni al pascolo, qualche quintale di carne e lana ambulanti nella valle del fiume Platani. Ma se l'ucciso avesse voluto trattare altra merce — per esempio eroina o cocaina — non si sarebbe dato tanto da fare come allevatore-contadino. Intanto, il peso e il sudore: invece che 60, 70 quintali di animali da accudire in montagna, avrebbe comodamente trattato 250 grammi di "polverina", standosene a casa sua o viaggiando su quattro molleggiate ruote verso Palermo. No, credete a me, l'ipotesi del delitto maturato nel mondo dei nuovi mafiosi dediti ai traffici di droga è proprio fantasiosa». Ascoltavamo queste considerazioni ieri a mezzogiorno nella piazza di Cattolica Eraclea, il paese dell'Agrigentino dove abitavano «don» Liborio Terrasi, 48 anni, ucciso a colpi di fucile a canne mozze assieme al suo socio Domenico Francavilla, 32 anni, al servo-pastore Vincenzo Mule. 16 anni, e al contadino Mariano Virone, 45 anni, che abitava a Raffadali, una cittadina a 20 chilometri da Cattolica. Dunque — in barba all'omertà tradizionale — è anche possibile ragionare con la gente del posto su un delitto mafioso? E' possibile: finché «si fa dell'accademia» non si trovano lingue inchiodate. Ma non si ottengono risposte nemmeno sfumate quando Si entra nel merito del quadruplice omicidio, tentando di ricostruire qualche probabile movente. Nel capannello attorno al cronista, sulla piazza di Cattolica Eraclea, c'era anche — in borghese — il comandante dei vigili urbani. « Televisione e giornali hanno un po' esagerato — diceva — nel far apparire "don"Liborio come il boss mafioso di Cattolica Eraclea e nel sostenere che aveva ereditato da suo padre (don Saro, novantenne, ancora vivo) quel ruolo. Né l'uno né l'altro hanno mai avuto la statura per essere definiti capi mafia». Su questo tema, altre testimonianze: -Don Liborio possedeva molti terreni, oltre alle pecore, ma non delegava nessuno alla cura dei suoi affari. Era laboriosissimo. Si alzava alle 4 del mattino, un grande faticatore. Manteneva moglie e quattro figli: la più piccola di quattro anni, un ragazzo alle medie, un altro che quest'anno si diplomerà all'istituto professionale di Sciacca e infine il più grande, iscritto a Farmacia». Ancora un parere: «SI, è vero, il vecchio don Saro e don Liborio erano stati mandati in passato al confino per qualche anno, come mafiosi. Ma sulla base di sospetti, non di prove. Che fossero due "uomini di rispetto" lo sapevamo tutti: e che cosa vuol dire? Che pretendevano rispetto ma che rispettavano anche chi li teneva nella dovuta considerazione». E poi, con una scivolata nel politico-sociale: -Invece che di mafia, scrivete che Cattolica Eraclea, nel 1955 aveva 15 mila abitanti e oggi ne ha meno di cinquemila. Scrivete che in Canada ci sono più cattolicesi che in Sicilia; che i nostri giovani non sanno dove trovare un posto di lavoro, emigrano quasi tutti, negli ultimi tempi vanno a fiumi in Germania. E scrivete che questa è una terra bella, fertile, ricca d'acqua. Avete visto i mandorli e le mimose in fiore? Non vi sembrava oggi di essere in estate, con questi venti gradi all'ombra? Se gli uomini politici capissero che con un serio programma di incentivo all'agricoltura questo diventerebbe il più grande e il più bell'orto d'Europa si comincerebbe a non riempire più le pagine di giornale con tanti brutti fatti». Sui -tanti brutti fatti» un'opinione più strettamente professionale ha il capo della Squadra Mobile di Agrigento, dott. Saito. Non si tratta di bazzecole. La catena di omicidi nell'Agrigentino è lunghissima. In una interrogazione urgente gli onorevoli Spataro, La Torre, Ochetto chiedono ai ministri Rognoni e Lagorio -quali siano le valutazioni del governo a proposito del dilagare nella zona della violenza criminale e mafiosa». Dice il capo della Mobile: -Dilagare è la parola esatta: il quadruplice omicidio di lunedi scorso, due case rurali fatte saltare in aria con il tritolo questa notte a Montaperto, un altro delitto con lupara a Canicattì, vittima un agricoltore in odore di mafia avvenuto domenica scorsa e quasi venti omicidi tra il '79 e l'80 nella zona di Raffadali. Zona caldissima, quest'ultima, dove non solo indizi ma anche qualche prova concreta ci hanno permesso di individuare traffici di droga pesante, con collegamenti internazionali. Perciò, oltre all'abigeato, alle estorsioni e ai taglieggiamenti; oltre alle protezioni imposte da gruppi mafiosi su attività commerciali, edili, turistiche, abbiamo a che fare anche con il canale degli stupefacenti». — Don Liborio Terrasi poteva esservi coinvolto? •Difficile dare una risposta precisa, tuttavia non vi sono elementi che possano rendere verosimile questa pista finora». — Ma era solo lui la vittima predestinata? E' azzardata la tesi che gli altri tre che lo accompagnavano siano stati uccisi per evitare ogni possibile testimonianza? «Ci stiamo arrovellando sulla questione. Effettivamente gli assassini dovevano avere come obiettivo il Terrasi e forse anche il suo socio in affari, Domenico Francavilla. Pare che il Virone e il giovanissimo Mule, oltre tutto un ragazzo che aveva una menomazione psichica, siano stati trucidati "per caso", se così si può dire. Non è nelle regole della mafia tradizionale questo crudelissimo, inutile modo di agire, anche se esempi analoghi in passato ne abbiamo avuti. Voglio dire che gli assassini, in questo caso, sembra non siano stati spinti dalla vendetta, per uno sgarro, poniamo». Vedremo nei prossimi giorni quali novità filtreranno dal groviglio di indagini innescate nell'Agrigentino. Un fatto è certo, per gli ultimissimi delitti non si è trattato di «cadaveri eccellenti». La triste lista degli omicidi di rilievo, in Sicilia, riguarda ancora Michele Reina (segretario provinciale democristiano di Palermo, marzo 1979); Boris Giuliano (capo della Squadra Mobile di Palermo, lugUo 1979); Giorgio Ambrosoli (avvocato milanese, liquidatore delle banche di Sindona luglio '79); Cesare Terranova (magistrato e deputato comunista, settembre '79); Piers anti Mattare Ila (presidente della Regione Sicilia, gennaio 1980); Emanuele Basile (capitano dei carabinieri di Monreale, maggio 1980); Gaetano Costa (procuratore della Repubblica di Palermo, agosto 1980). Franco Giliberto