L'indocile magistrato di Paolo Patrono

L'indocile magistrato OSSERVATORIO L'indocile magistrato Per il ministro della Giustizia francese Alain Peyrefitte «c'è nella magistratura un pugno di agitatori contro 7 quali bisogna applicare nella loro severità le leggi della Repubblica». Il severo ammonimento rivolto qualche tempo fa ai magistrati è stato messo clamorosamente in pratica negli ultimi giorni con una misura che ha provocato sbalordimento e polemiche in Francia: un giudice è stato radiato. Dopo l'epurazione dei magistrati «collaborazionisti» all'indomani della guerra, il provvedimento è stato applicato soltanto in tre occasioni sotto la Quinta Repubblica, e sempre per ben precisati motivi d'indole personale. Questa volta, invece, s'è voluto colpire un giudice proprio a causa del suo comportamento da magistrato «scomodo». E il provvedimento ha immediatamente messo in stato d'accusa la giustizia giscardiana. Ricordiamo schematicamente i fatti. Il giudice colpito dai fulmini del potere si chiama Jacques Bidalou, 35 anni, simpatizzante socialista ma senza alcuna attività politica militante. E' un giudice anticonformista, «stravagante» nei suoi atteggiamenti e per certe sue sentenze uscite dal tribunale di Hayange, come ammettono anche i suoi colleghi, con un certo gusto per l'autopubblicità. Assolveva chi viaggiava sul treno in prima avendo un biglietto di seconda, chi guidava l'auto senza aver allacciato la cintura di sicurezza; lasciava andare gli operai sorpresi a scrivere slogan contro la disoccupazione sui muri delle fabbriche; mandava liberi i lavoratori immigrati che non pagavano l'affitto dei loro alloggi popolari; convocava come teste il primo ministro Barre in una causa di.lavoro fra un'azienda e un operaio licenziato; rilasciava interviste di fuoco alla radio o alla tv sulle decisioni della giustizia. Un magistrato indocile, sicuramente, che per certi versi ricorda un po' i nostri «pretori d'assalto». Ma in Francia mal si tollerano certe «stravaganze», e Bidalou è stato dapprima sospeso e infine «radiato» dal Consiglio superiore della magistratura, per i suoi atti «insolenti, irrispettosi della gerarchia», per la sua «mancata riservatezza». La sua radiazione si aggiunge ai «casi» dei tredici magistrati perseguiti, trasferiti, colpiti da sanzioni nel corso del 1980, alle polemiche innescate dall'introduzione della discussa legge «giustizia e libertà» (che accentua la repressione e delimita i compiti dei giudici), al pandemonio suscitato dal processo intentato dai ministro Peyrefitte contro il giornale Le Monde, accusato d'aver vilipeso la giustizia per aver criticato alcune discutibili decisioni della magistratura a trasparente sfondo politico. La radiazione del giudice Bidalou s'inserisce in questo quadro e fa scattare un ordine di sciopero dei magistrati, una protesta generale appesantita dallo scontato sfruttamento politico del «caso» in un'agitata campagna elettorale per l'Eliseo. Ma al di là del chiasso sapientemente orchestrato per ragioni politiche, gli osservatori più obiettivi si pongono il problema della reale indipendenza della Giustizia dal potere esecutivo, cercano di chiarire quali siano i limiti effettivi lasciati alla magistratura dall'ordinamento della Quinta Repubblica, paventano una «docilità» della magistratura dinanzi al lungo braccio del potere, che nomina i componenti del Consiglio superiore. La decisione contro il giudice Bidalou è considerata da quasi tutta la stampa francese come grave e alcuni commentatori vi scorgono una trasparente punizione governativa contro un giudice non conformista. «La radiazione di Bidalou — scriveva ieri Le Monde — è un segno allarmante, dopo altri, della fragile indipendenza dei giudici e, fra altri, delle istituzioni alla deriva». Paolo Patrono Alain Peyrefitte: tra i giudici un pugno di agitatori

Persone citate: Alain Peyrefitte, Barre, Jacques Bidalou, Peyrefitte

Luoghi citati: Francia