La grande tigre ritorna regina

La grande tigre ritorna regina IN INDIA, SULLE ORME DELLA «MANGIATRICE D'UOMINI» La grande tigre ritorna regina Ai tempi dell'Impero vittoriano ce n'erano più di 50 mila esemplari, oggi, dopo lo sterminio, sono 2500 Il governo di Nuova Delhi, per salvarla, ha creato undici riserve - Ma il rinoceronte del Bengala è ormai scomparso, i leggendari leoni asiatici sono rimasti in dodici - «L'ecosistema indiano sta morendo» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SARISKA (India Centrale) — Nelle pagine del Libro della giungla il nome di Shere Khan fa subito il silenzio. Crudele come una vera maharani, la grande tigre di Kipling domina la foresta: la saggia Bagheera, l'orso Baloo, Kaa il pitone, tutti fuggono il suo odore. Solo Mowgli Cucciolo d'Uomo alla fine riesce a batterla. Sono gli anni dell'Impero vittoriano, lungo la svolta del secolo. A quei tempi, quando Mouigli aveva appena appreso la lezione della giungla, in India c'erano più di 50 mila Shere Khan. Oggi sono soltanto duemilacinquecento. Diventano appena quattromila se s'aggiungono anche gli ultimi animali che si trovano nel resto d'Asia, dalla Siberia al Nepal e alla penisola malese. Il Cucciolo d'Uomo ha ucciso e distrutto; e la grande foresta muore. Era cominciata con le cacce nella giungla, gli shikar vissuti da dentro il canestrone che stava sul dorso degli elefanti, tra nugoli di battitori indigeni che stanavano la tigre. Ogni residente angrizi .doveva» uccidere almeno una Shere Khan nel suo primo anno d'India, e nei larghi bungalows delle guarnigioni britanniche — dalle Guide di Peshawar ai cavalleggeri di Bombay — l'appuntamento con lo shikar era una tappa obbligata nella vita monotona della stagione militare. Il ferenghi uccideva per divertimento e per prestigio. I maharaja gli erano compagni e ospiti puntigliosi: nessuno dei signorotti del Rajstan aveva ucciso meno di cento tigri, qualcuno poteva vantarsi di averne ammazzate più di mille. Un censimento ufficiale del '72 mostrava che in India erano sopravvissute ormai soltanto 1827 tigri. L'altro grande sterminio veniva dalle stesse campagne, nelle strisce di terreno coltivato che un'agricoltura stenta ma in espansione fisiologica andava strappando, progressivamente, alla protezione incontaminata della foresta. L'India è un mondo sconfinato di terra e di campi. Le città sono solo granelli di moltitudini, poiché più di mezzo miliardo d'indiani non ci ha mai messo piede e consuma la sua vita nei piccoli villaggi perduti alla periferia 'delle giungle meridionali, o sui verdi altipiani del Nord. Qui la vita è da sempre una lotta diretta con la natura, e qui la fame che aveva spinto le belve a ridosso delle capanne di sterco e di fango trasformava talvolta le tigri nelle feroci .mangiatrici d'uomini». I contadini gli davano una caccia che era come una lotta per la sopravvivenza. Le .mangiatrici d'uomini» diventavano leggende mitiche tirate avanti negli anni, e dietro il numero degli scomparsi si nascondevano anche storie misteriose di vittime e di sacrifici rituali. Ma i villaggi alla fine si coalizzavano, le battute spazzavano via i rifugi e la tigre veniva snidata. I vecchi di qui lo ricordano ancora. Sariska è un largo villaggio sulla strada polverosa che da New Delhi muove verso il Sud; oggi ci s'arriva in mezza giornata di viaggio, all'inizio del secolo ci voleva quasi una settimana. I vecchi ricordano anche un .cacciatore bianco» che viveva in una grande villa non lontana da qui, lo descrivono con lunghi fucili e molti servi. Ma sono anni ormai che è sparito. Proprio come la tigre. Tra i ragazzi di Sariska non ce n 'è uno che l'avesse vista mai viva, prima che questo diventasse un .santuario». Ne conoscevano solo le leggende, i racconti degli assalti e il riso e le foglie profumate che venivano portati a Vishnu e Shiva per ingraziarsene la benevolenza. La .mangiatrice d'uomini» rubava le sue vittime tra le donne che lavavano in riva al fiume, o dentro le culle lasciate all'ombra di qualche vecchio albero. Se ne trovavano le tracce la sera, quando ormai il sangue si era seccato al sole. E cominciava la paura, prima del coraggio della caccia. Ma ora qui c'è un .santuario», una delle undici riserve che il governo indiano ha creato sul suo territorio per salvare la tigre, dalle foreste dell'Assam alle giungle tropicali di Mysore. Il villaggio è stato spostato di alcune miglia verso Est, e le capanne, abbandonate, sono tornate dentro l'abbraccio umido di alberi e liane. La presenza dell'uomo è stata inghiottita dall'intrico vorace della foresta; i turisti ci passano, per poche rupie, in un pulmino ben chiuso. Kailash Sankhala, responsabile di questa riserva, dice con un sorriso: «E' la prima volta che l'uomo cede a un animale». Ma quando pronuncia la parola .animale» lo fa come se parlasse con le maiuscole. «La tigre, dice, è una delle bestie più belle e più impressionanti che abitino ancora il nostro mondo». E racconta del suo individualismo orgoglioso, la forza straordinaria, la ferinità irriducibile. «La gente ne ha sempre paura, c'è una sorta di rispetto e di morbosa attrazione». Il pulmino che viaggia dentro la foresta di Sariska è sempre pieno. «Il nostro compito, dice ancora Sankhala, è di non far niente». Tutto viene abbandonato alla forza rigeneratrice della natura. C'è appena un controllo discreto sulle sorgenti d'acqua, ma nella zona più interna della riserva (un centinaio di chilometri quadrati, sulle cinquemila miglia dellintero .santuario») non c'è più traccia d'uomo. La legge della foresta torna a dominare, e Shere Khan vinsegue solitaria i sentieri della sua preda. In un anno, caccia circa settanta tra cervi, antilopi e maiali selvatici. «Il nostro Project Tiger. dice B.P. Srivastava, anziano ispettore generale delle foreste, all'inizio ha incontrato molte resistenze perché i contadini continuavano ad aver paura delle "mangiatrici d'uomini". Ma dal '73 a oggi ci sono stati solo 6 casi di attacchi contro l'uomo». La tigre conosce e ama la carne selvatica, gli antichi racconti dei contadini dicono che però, una volta assaggiata la carne umana, Shere Khan non sa più rinunciarvi. E dev'essere ammazzala. Superstizioni mistiche s'accompagnano ai piccoli opportunismi della corruzione. La pelle d'una tigre oggi vale più di 500 dollari, che è una somma che un contadino indiano non guadagna in tutta la sua vita; il miraggio di questa miserabile ricchezza fa nascere storie che una credulità accomodante aiuta a far diventare presto realtà, e le psicosi collettive s'allargano in pochi giorni a incantare interi villaggi. «Mail control¬ lo, dice Sankhala, cerca d'essere sempre severo». Uno dei suoi uomini ci accompagna nella foresta di Sariska. E' figlio d'uno dei contadini che vivevano qui, conosce le foglie e la terra dal solo odore. Si muove nel labirinto umido degli alberi come dentro un corridoio diritto, attento a seguire segni e rumori che il gran concerto animale mescola rissosamente, tra bisbigli, mormorii, gorgogli e brontolìi preoccupanti. Nella terra umida che finisce dentro una pozza d'acqua verde fa vedere l'impronta di Shere Khan. La scopre subito, e l'accompagna con la mano nella sua direzione di marcia. E' larga e netta, «quella d'una femmina» dice Karin. L'esperienza dei lunghi anni di pratica lo fa sicuro. Karin è uno degli uomini che ogni anno registrano il censimento delle tigri: «Da un'impronta, puoi capire se è maschio o femmina, quanto pesa e quanti anni ha». Il censimento dura una settimana, e viene fatto lungo i tratti di terreno sabbioso o umido, dove la tigre lascia impronte chiare, che possono evitare il rischio di contar due volte la stessa bestia. •Aumentano ad una media del cinque per cento l'anno». Karan Singh, che ha diretto da New Delhi il coordinamento del Project Tiger, ne parla con un entusiasmo da ecologo, perfino stupefacente per un Paese che vive contraddizioni sociali estreme. •La tigre è la punta della piramide ecologica; proteggendo lei, noi proteggiamo altri 500 animali e 2000 specie di uccelli». La tigre forse si salverà, ma il rinoceronte dell'Assam e del Bengala è ormai scomparso, come lo yak selvatico delle nevi del Ladakh. Di cervi del Kashmir, che erano contati a migliaia di esemplari, ne restano ora soltanto centocinquanta; il gharial, il coccodrillo di sette metri che spazzava ogni acqua della piana del Gange, si trova appena in pochi fiumi del Bengala e del Bihar. Il leone asiatico, l'antico avversario di Shere Khan, è ormai ridotto a dodici esemplari, conservati come in un museo nel santuario di Chandra Prabha, vicino a Benares. E l'elenco potrebbe continuare con l'ottarda indiana, il leopardo delle nevi, l'antilope a quattro corna, la quaglia montana. •L'ecosistema indiano sta morendo», dice Karan Singh. La percentuale di foresta, che doveva coprire un terzo dell'immenso territorio, dal Punjab a Madras, è ormai ridotta a un decimo. Negli ultimi trent'anni, 4 milioni di ettari verdi sono diventati terra desertica, distrutta dall'inquinamento e dall'aggressività dell'uomo. «E' rimasto solo un albero ogni cento abitanti». E il vecchio Libro della giungla sembra soltanto sempre più una fiaba di mondi perduti. Mimmo Candito Caccia alla tigre in India (da un'incisione dell'800)