Il Napoleone di Coppola di Furio Colombo

Il Napoleone di Coppola TRIONFA A NEW YORK UN FILM MUTO DEL 1927 Il Napoleone di Coppola Il regista americano ha restaurato e rilanciato un capolavoro del francese Abel Gance - Altri avvenimenti nella metropoli: un'attrice italiana fra le grandi donne di Broadway e la mostra del fotografo ebreo che fece il ritratto di Goebbels NEW YORK - C'è sempre stato un lato filantropico, di patrocinatore delle arti, nell'immagine del regista Francis Ford Coppola, e coloro che non gli sono amici volentieri interpretano questo suo ruolo di «patrone» della creatività altrui come una mania di grandezza, un segno di estrema presunzione. Per anni Coppola ha sostenuto, tra avventure difficili, la sopravvivenza di un teatro e delle sue compagnie in San Francisco. E' stato lui a scoprire giovani registi dotati ma privi della buona occasione per cominciare, come quel Lucas che poi è approdato al successo grandioso di Guerre stellari. Anche lo spettacolo più amato dai bambini di tutto il mondo, Black stallimi, è un progetto reso possibile dal fatto che Coppola ha prestato il suo nome. Quando si è diffusa la voce che Coppola aveva riscoperto un ignoto film del francese Abel Gance, che aveva inviato gente un po' in tutto il mondo a cercare fotogrammi o sequenze mancanti, e che intendeva presentarlo nel più vasto teatro di New York, con il commento sonoro di una grande orchestra che avrebbe suonato ogni sera, come ai tempi del cinema muto, c'era stato un coro di commenti scettici o poco benevoli. Pochi avevano sentito parlare di Napoleon, una saga di quattro ore che quasi nessuno aveva visto integralmente, nel 1927, e che si era poi dispersa nelle cineteche del mondo. Quasi nessuno sapeva che Gance aveva tentato per primo tecniche ottiche, fotografiche, di montaggio, di movimento di camera e infine di uso di schermi paralleli, con cui aveva anticipato quasi tutta la storia del cinema. Ma anche quelle notizie avevano lasciato dubbi sulla opportunità commerciale dell'impresa. Eppure Francis Ford Coppola, guidato dal fascino del grandioso, ha lasciato ancora una volta la sua impronta. Il pubblico, almeno a New York, gliene sarà grato per anni. Nonostante l'immensità del teatro prescelto (il Radio City Music Hall, famoso per brutti e popolarissimi spettacoli di varietà), nonostante le code senza fine e la caccia ai biglietti, soltanto l'uno o il due per cento delle centinaia di migliaia di richieste arrivate ai botteghini sono state esaudite. Divenuto un fenomeno di «club» e un privilegio per pochi, il successo del Napoleon di Abel Gance presentato da Coppola è stato clamoroso e istantaneo. Dalla parte di Coppola l'incredibile impegno di ricomporre, utilizzando resti e frammenti, un grande film, anzi, come ora si sa, un capolavoro nella storia del cinema, è stato realizzato con cura impeccabile. Per la delicata missione di realizzare la colonna sonora, Francis Coppola è restato in famiglia e ha assegnato il lavoro (comporre e dirigere, per sei sere, a New York) a Carmine Coppola. Agli spettatori è apparso subito chiaro che il possibile nepotismo del clan era di gran lunga superato dalla ricchezza di temi musicali e trovate sonore realizzate da Carmine, oltre che da una esecuzione della Marsigliese per grande orchestra e organo. Ma poi c'è il film. Le antici pazioni sono risultate, se possibile, inferiori alla realtà. Non c'è effetto di grande cinema che Abel Gance non abbia in ventato o proposto nel 1927. Al genio finora poco popolare di Gance si deve l'inven zione dei tre schermi paralleli e lo splendore della cavalleria al galoppo che attraversa si multaneamente i tre schermi oppure il gioco di piccole esitazioni dei personaggi o delle masse che rallentano al bordo di uno schermo prima di entra re nell'altro in modo da sottolineare l'audace trovata. aloes di un autore, Athol Fugard, che ha scelto di vivere negli Stati Uniti per poter narrare il dramma e la contraddizione del suo Paese. Con A lesson front aloes è arrivata a Broadway e al grande pubblico la tensione implacabile che lega e divide i bianchi e i negri di quel Paese, coloro che, nonostante le leggi e la polizia, vivono con gli occhi aperti e attendono, come un incubo, la spallata della storia alla loro porta. La trovata di Fugard è che un'immensa vicenda morale e politica diventa nevrosi di una persona, una fragile donna tormentata da eventi che non le riesce di leggere, ma che pure la colpiscono in pieno nella sua vita privata, nella sua identità senza storia. A lesson front aloes ha preso di sorpresa un pubblico che da molto tempo non si aspettava, a Broadway, un dramma politico. Lo ha stupito ancora di più insistendo quasi soltanto sulla devastazione che una vicenda politica provoca nell'area oscura di una vira privata. Infine ha provocato, verso l'interprete, Tucci, il clamore e l'approvazione che forse soltanto Anne Bancroft e Geraldine Page hanno avuto nei decenni passati 11 dramma di Fugard infatti ha tre personaggi, ma solo uno, quello della donna, Gladys, regge l'intera vicenda, la trasforma in monologo, piegando gli altri due attori, un bianco e un negro, che sono il Sud Africa, al ruolo di offrire le necessarie battute che muovono la macchina teatrale. La responsabilità di quella macchina resta completamente di Maria Tucci, nel suo modo di avere letto e capito il testo, nel suo incarnare la donna schiacciata da una contraddizione che avrebbe voluto ostinatamente ignorare per sempre. La doppia immagine, il disastro politico e la nevrosi privata (dunque mille volte più devastante) hanno dato a Broadway uno dei suoi personaggi più memorabili. E assegnato definitivamente alla Tucci un ruolo di prima fila fra le poche grandi donne di Broadway. celebra a New York con una mostra bellissima. Eisenstaedt, già noto protagonista della vita intellettuale berlinese, era venuto a vivere a New York e aveva partecipato alla nascita di Life. Ma Life gli chiese subito di tornare in Germania e di fotografare la nuova faccia nazista. Eisenstaedt accettò e dopo avere fatto a Berlino una buona collezione di svastiche, uniformi e immagini inedite delle SS, chiese con semplicità e secondo la trafila regolare il permesso di fotografare Goebbels. Lui stesso racconta di non avere mai capito come quel permesso possa essergli stato accordato. Il suo nome era noto a Berlino come celebre fotografo e come ebreo. «Eppure, racconta Eisenstaedt, mi fanno entrare nel famoso salone, fra stivali che sbattono, saluti con braccio levato, portoni con la svastica scolpita nel legno nero, e mi trovo davanti a lui. Durante la sessione di lavoro non mi ha mai parlato». Si sa che squadre di SS hanno poi perquisito agenzie e alberghi di mezza Germania alla ricerca di quelle fotografie. Ma Eisenstaedt e i negativi erano ormai in America. E le fotografie sono adesso il pezzo raro della mostra che si è aperta alrinternational Center of Photography, di New York. Fra mille volti noti — Paulette Goddard e Sophia Loren («Un amore a prima vista»), Marilyn Monroe e Greta Garbo — e luoghi di delicata bellezza («La neve sul Duomo di Milano») o di un fascino da incubo (le guardie di Hitler alla Porta di Brandeburgo) ecco il volto di Goebbels. Goebbels guarda dritto alla macchina fotografica e al suo fotografo, e nello sguardo acquoso resta il mistero. Perché Goebbels si è fatto fotografare da Eisenstaedt? Furio Colombo