Tiberio Mitri ha rivisto nel film l'uomo del suo destino, La Motta di Gian Paolo Ormezzano

Tiberio Mitri ha rivisto nel film l'uomo del suo destino, La Motta Incontro con l'ex pugile all'anteprima di «Toro infuriato» Tiberio Mitri ha rivisto nel film l'uomo del suo destino, La Motta Nella pellicola di Scorsese, interpretata da De Niro, non c'è traccia del match del '50 che vide sconfitto il triestino - «Fan vedere tanti beduini, potevano far vedere anche me» - Una vita drammatica e spavalda DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ROMA — Tiberio Mitri, cinquantacinque anni, triestino ancorato al dialetto nonostante tutto il mondo che lui ha scorso e si è fatto scorrere addosso, è stato individuato, più che festeggiato, all'anteprima di -Toro infuriato». Lo avevamo invitato con Lino Capolicchio, attore e adesso regista proprio per girare -Ale Mitri», film sulla straordinaria avventura di vita del pugile campione europeo nel 1949, a ventitré anni. Mitri non ha fatto nulla per incontrare all'anteprima Scorsese nonché De Niro cioè La Motta. Cosi non ci sono state fotografie retoriche, oleografiche. Sino al 4 novembre scorso Tiberio Mitri, che invase i buoni sentimenti degli italiani alla fine degli Anni Quaranta, stava in galera, accusato di spaccio di droga. E' In libertà provvisoria, processo — lui spera, lui teme—amaggio. E' stata la sua terza galera, in totale fanno quasi duecento giorni. Una volta per percosse (presunte) alla seconda donna importante della sua vita, una cantante americana, succeduta a Fulvia Franco, miss Italia nel 1948 e sua sposa nel gennaio 1950 con le benedizioni della -presse de coeur»: la campionessa d'Italia di bellezza e il campione europeo di boxe, la bella fra le belle e la -mitragliatrice umana», separazione quattro anni dopo. Da Fulvia aveva avuto Alex, adesso ventinove anni, capitano di lungo corso, un figlioletto che ha fatto di Tiberio il più anacronistico, assurdo dei nonni. Dall'americana ha avuto Tiberia, adesso diciotto anni. L'americana lo denunciò per ventiquattro reati, fu assolto perché i reati non sussistevano: «L'avevo menata, ma su precisa provocazione». Era il 1967. Le due volte della droga sono state una denuncia (1971) di un'attricetta francese gelosa di un'attricetta siciliana che stazionava, fra strana erba, in casa di Tiberio, e un arresto (1980) per presunto spaccio, orchestrato in una roulotte a Firenze, dove Tiberio, innamorato ricambiato di una insegnante di liceo, vive, vivacchia, s travive. C'è stata una assoluzione per insufficienza di prove, Tiberio attende ora un'altra assoluzione: «Di fedina sono pulito, ho avuto anche altre noie ma sono pulito, una volta per una stecca di sigarette mi processarono come primo contrabbandiere del Lazio, sai i titoli sui giornali, ci sono state tante storie ma nessuna condanna vera, e se mi condannano al carcere lungo mi ammazzo, so come fare, so come ottenere e mettere da parte le pastigliette sedative, sonnifere». Non ha il viso inciso dalle ferite, dal tempo. «Non sono suonato, la gente mi guarda e capisco che è stupita perché non sono suonato, che posso farci? Parlo talora fischiando per la dentiera, ma avevo i denti guasti già da bambino, la boxe non c'entra». Ha la voce impastata, ma la cadenza veneta, e specie triestina, fa sembrare sbronzi anche gli astemi. E' ancora un bellissimo uomo interessante. Vedendo il film, si è comportato molto bene, anche emotivamente. «Hanno mostrato tanti pugili beduini, potevano anche mostrare il mio incontro. Ma poi che mi frega? Belle le scene di boxe, magari non precise, tecnicamente precise voglio dire, ma splendide. Comunque il film mi è scivolato sopra, non ne ho tenuto niente. Non mi interessa il passato. A me interessa il presente e il futuro, però al massimo sino a dopodomani». Non ha rapporti col mondo del pugilato, ha un solo amico di -quelli», Nino Benvenuti. Fa il rappresentante di prodotti chimici, tra Roma e Firenze. Ha anche casa a Trastevere, se fosse un artista (comunque dipinge, e benino), si direbbe che l'alloggetto è pittoresco. Invece è sporco, disordinato. «Ho i soldi che bastano per essere sereno, per lo spinello, per la roba giusta. Ma faccio anche il footing, al mattino. Cinque chilometri al mattino e posso permettermi qualche vizietto». Piace alle donne, può convocare le affezionate per telefono. Parla sempre con Fulvia, la moglie, parla del figlio, anche del film di Scorsese ha parlato. E' un uomo spaventosamente lìbero, ecco. «Non do mai indietro un'auto usata, le sfascio tutte. Non faccio invecchiare il vino, lo bevo, iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiini Mangio cosa voglio e sono mezzo chilo appena sopra il peso forma. Non ho nostalgie né progetti. Tengo tutti i ritagli e le foto della mia gloria e delle mie prigioni. Faccio ancora bene l'amore. Conservo un paio di guantoni, nessun trofeo. Noi pugili, questo è il fatto, siamo abituati a stare sempre un centimetro più avanti degli altri, nel bene e nel male». E anche: «Chi ha un miliardo teme di avere solo più novecentonovantanove milioni, mi fa pena. Io mi sento il domani sempre dentro, e io spero sia grosso. Non sogno, no. Ho sognato una sola volta, mio padre, mori che avevo dieci anni, era venuto a dirmi di non fare l'impiegato». Il padre era pescivendolo, Tiberio (un fratello, una sorella) da piccolo era gestito da una tizia che lo spediva a chiedere la carità e perché impietosisse lo pungeva con spilloni. Come ribelle è stato alla Risiera, il forno degli ebrei triestini, come fascista, in divisa, subito dopo, ha rischiato tutto. Tra le miserie di allora e le prigioni di adesso, il cosiddetto duro mondo del ring gli deve essere sembrato una vacanza. America, New York, Miami, Fulvia, altre donne, il cinema, i fotoromanzi, una rivista con capocomico regolarmente truffatore, la mamma immanente, diremmo alla Pasolini: •E' morta quattro anni fa. se c'era lei a New York, anziché Fulvia, perdevo meglio: però La Motta è stato semplicemente più forte di me». Vino e fumo e sesso sin da piccolo, nella clandestinità del tetro, feroce -educatorio triestino», dove i poveri mettevano i figli, più prigione che collegio. «Trieste? Una sorella malata, ecco cosa e la città mia per me». Ha visto il film di Scorsese parlando talora a voce alta, con gente intorno che lo zittiva: «Nessuna emozione o commozione, film un po' troppo lungo. La Motta non finisce mai di finire, come uomo e pugile, io ho fatto più in fretta». Riacciuffò il titolo europeo nel 1954, contro Turpin suonatissimo, ma fu una mezza burletta. Smise nel 1957. Capolicchio, che sarà regista di se stesso (del suo progetto si riparlerà), ha convinto Fulvia Franco a fare nel film la parte della madre di Fulvia. E quanto a Fulvia, la reciterà un'attrice casta, dolce. Tiberio sarà consulente e basta, sema apparizioni mielose: affari di giustizia permettendo. A noi è parso uomo libero, sereno, intelligente, amico del proprio tramonto, quasi devoto ad esso. «Non so come sarò fra dieci anni, so che mi piace essere vecchio come sono adesso. Mi sono regalato tutto, e continuo a regalarmelo». Nell'alba dopo la sera del film se n'è andato con una donna alta, sapiente, ancora bella. Ci ha detto suo figlio: «E' difficile capire un padre cosi. E dopo che l'hai capito, è difficile volergli bene. Ma quando hai preso a volergli bene, è per sempre, tantissimo bene per sempre». Gian Paolo Ormezzano Jack La Motta esulta dopo aver battuto Tiberio Mitri (a sinistra, con il volto tumefatto)