America, il gigante ferito di Arrigo Levi

America, il gigante ferito L'IMPEGNO DEL PRESIDENTE REAGAN CONTRO IL MALESSERE ECONOMICO America, il gigante ferito Una grave «emorragìa del bilancio» provoca inflazione e rallentamento dello sviluppo - Il governo pensava di ottenere un'espansione produttiva riducendo le tasse - Ora i computers dicono che non basta, sarà necessario tagliare drasticamente le spese sociali troppo elevate - La scommessa di Reagan: riuscirà a superare questa crisi di transizione? DAL MOSTRO INVIATO SPECIALE WASHINGTON - Per i mali economici dell'America, dice il presidente Reagan, l'azione di governo non rappresenta una soluzione: il governo stesso è «il problema». «Il governo», in America, non è, come in Italia o Gran Bretagna, proprietario di colossali imprese: la Chrysler in crisi non è, come l'Alfa Romeo in crisi, un'impresa di Stato. Ma la differenza è talvolta più apparente che reale: i debiti della Chrysler, come quelli dell'Alfa, sono pagati dallo Stato. Certo, fa rabbrividire l'idea di ciò che sarebbe l'America se avesse un «settore pubblico» in crisi delle dimensioni di quello italiano. Ma anche se non si è caricato, come lo Stato inglese o italiano, del peso d'imprese improduttive, lo Stato americano ha assunto altri pesi schiaccianti, tipici di uno «Stato assistenziale», socialdemocratico, del Ventesimo Secolo. Ma, come è logico, questi pesi lo Stato li scarica tutti sul cittadino, ed essi, col tempo, sono diventati così massicci da far sì che il governo, in quanto strumento di soluzione dei problemi sociali, sia diventato esso stesso «il problema»: una struttura che va ridimensionata, al fine di alleggerire il carico fiscale che portano ogni cittadino, ed ogni impresa, in modo che tutta l'economia respiri meglio. Questo problema americano è, come ben sappiamo, comune a tutte le economie occidentali avanzate. Anche se ci sono molte differenze da Paese a Paese, il male oscuro dell'economia americana, che Reagan definisce «l'emorragia del bilancio», è un male universale, e le ragioni di questa emorragia sono le stesse ovunque, cosi come sono ovunque presenti le sue conseguenze: inflazione selvaggia e rallentamento dello sviluppo. Che cosa è accaduto negli ultimi decenni al bilancio federale americano è presto detto. Come risultato di forti pressioni popolari vi è stata una esplosione della spesa pubblica per fini sociali. Nel 1967 essa rappresentava il 27 per cento del bilancio federale; nel 1982 ammonterà al 48 per cento. E ancora: la spesa sociale federa¬ le equivaleva nel 1967 al 5,5 per cento del reddito nazionale, ora è arrivata all'11. Molte di queste spese, per l'assistenza medica, l'istruzione, la sicurez.za sociale, aumentano automaticamente, sono indicizzate e per di più legate a un indice del costo della vita che esagera l'inflazione reale e l'alimenta. Poiché anche altre voci del bilancio sono stabilite da piani pluriennali del Congresso, la «parte incontrollabile» del bilancio stesso, che era del 60 per cento nel 1967, è arrivata oggi al 75 per cento: il Tesoro può agire soltanto sul restante 25 per cento. Questo quadro, come si vede, con qualche aggiustamento di cifre potrebbe essere italiano, inglese o francese, anziché americano. Gli economisti sono d'accordo che il peso di questa spesa pubblica è eccessivo: le imposte federali rappresentano ormai oltre il 22 per cento del prodotto nazionale lordo, e questa percentuale, se non si farà nulla, continuerà ad aumentare; ma intanto il bilancio resta in deficit: secondo Carter, di 55 miliardi di dollari nel bilancio '81 in corso. Reagan ha però avverti¬ to che il deficit arriverebbe a 80 miliardi se non si facesse nulla. A questo punto Reagan ha annunciato un piano quasi rivoluzionario. Ha deciso cioè di tagliare drasticamente le tasse, riducendo del 10 per cento l'anno, per tre anni, le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone (la nostra Irpef), più altri tagli delle imposte sui redditi delle imprese. A settembre, in piena campagna elettorale, ha annunciato che, come risultato di questo processo, nel 1984 le tasse saranno ridotte di ben 149 miliardi di dollari. Grazie ad una simultanea riduzione di «spese inutili» di 51 miliardi, il bilancio 1984 avrebbe però un attivo di 28 miliardi. Come dire: la botte piena e la moglie ubriaca. Reagan basava questo suo piano sulla cosiddetta «formula Kemp-Roth»: Roth è un economista, Kemp un congressman, i quali hanno convinto il Presidente che il taglio della pressione fiscale provocherà una tale espansione produttiva (in misura del 4,5 per cento l'anno, invece del 3 previsto da Carter) da consentire un recupero del gettito fiscale totale, sufficiente per ottenere i risultati sopra citati. Purtroppo tra settembre ed oggi le previsioni sono drasticamente peggiorate, tanto da mandare all'aria questi rosei calcoli. Quando David Stockman, un altro giovane e brillante congressman repubblicano, che è il nuovo direttore del bilancio (il ministro delle Finanze) ha «infilato» nei calcolatori del Congresso questo quadro di tagli di tasse e di spese, ha ricevuto una risposta che lo ha sconvolto; invece di preannunciare l'atteso attivo di bilancio, il «computer» annunciava un deficit pauroso: colpa, manco a dirlo, dell'«emorragia del bilancio», ossia dell'esplosione automatica della spesa sociale. Si aggiunga che i calcoli che sono alla base della «formula Kemp-Roth» sono teorici, basati su modelli econometrici mai sperimentati nella realtà, ed anzi contraddetti dai modelli ufficiali. Carter e i suoi consiglieri economici, nel loro ultimo bilancio preventivo per l'anno fiscale 1982, hanno avvertito Reagan che qualsiasi riduzione di tasse che non fosse preceduta od accompagnata da un'equivalente riduzione di spesa avrebbe un drammatico effetto inflazionistico, in quanto l'attesa espansione produttiva arriverebbe con un ritardo di un paio d'anni: intanto, ad esplodere, sarebbero la domanda di beni di consumo e i prezzi (l'inflazione americana è oggi attorno al 10 per cento). Stockman respinge, per ora, queste nere previsioni; dice che i modelli comunque sbagliano e che la nuova politica metterà in moto meccanismi nuovi; l'importante, sostiene, è non temporeggiare e non fermarsi a metà strada; la massiccia decurtazione delle tasse è indispensabile per rilanciare l'economia americana. Stockman stesso però ha dovuto ammettere che saranno effettivamente necessarie subito riduzioni della spesa pubblica molto superiori a quelle previste qualche mese fa. E' quanto ha preannunciato Reagan nel suo drammatico appello al Paese. Poiché la spesa militare dovrebbe aumentare, saranno le spese sociali a dover essere decurtate, e sono questi tagli impopolari che dovranno essere decisi entro il 18 febbraio. Si dice ora che la spesa non militare dovrà essere tagliata, nel 1984, di 100 miliardi: ma il Congresso consentirà riduzioni di spesa cosi massicce, tanto da intaccare lo «Stato assistenziale»? Stockman continua a parlare di «quattro anni a tutto gas»; ed è difficile non augurare successo ai reaganiani e non riconoscere che hanno ragione quando dicono che l'«emorragia di bilancio» sta soffocando l'economia americana. Ma il successo dipenderà in gran parte da come l'America reagirà a una cura così drastica. L'Inghilterra della signora Thatcher sta reagendo male a una cura per certi aspetti simile: perché non basta arrestare l'emorragia della spesa pubblica e mettere in crisi le imprese inefficienti, se poi le risorse finanziarie e di manodopera così liberate non vengono utilizzate dall'economia produttiva in nuove iniziative. L'economia inglese è come un cavallo stanco, che non ha voglia di bere, anche se gli si mette davanti tutta l'acqua del mondo. Il cavallo americano vorrà bere? Su questo i pareri sono discordi. Ma l'America non è l'Inghilterra, per la vitalità e varietà del tessuto produttivo e sociale. Soprattutto. l'America è ancora all'avanguardia in un gran numero di settori produttivi con tecnologie d'avanguardia. Gli esempi sono molti. La biotecnologia, o ingegneria genetica, è soprattutto americana, e alcuni esperti ritengono che l'impatto di questa nuova scienza sull'industria sarà, nei prossimi vent'anni. paragonabile a quello che ha avuto un secolo fa la scoperta dell'elettricità: i prodotti finali della manipolazione genetica dei microorganismi, delle piante ed animali, andranno dalle sostanze medicinali come Vinterferon alla bioenergia. L'America è all'avanguardia nella tecnologia dei robot; nei materiali superconduttori (che consentiranno il trasporto dell'elettricità senza perdite, e una nuova generazione di calcolatori da 10 a 50 volte più veloci degli attuali); nella fotonica (la tecnologia delle fibre ottiche per la nuova informatica); nella tecnologia delle «fuel cells», nelle batterie ad alto rendimento e in moltissimi altri settori. La scommessa di Reagan, per avere successo, presuppone che la vitalità dell'America sia fondamentalmente intatta, tanto da poter essere rinvigorita. L'America, per il reddito .prò capite, è scesa in un paio di decenni dal primo al decimo posto nel mondo, tra i Paesi industrializzati: viene cioè oggi dopo tutti i Paesi avanzati dell'Europa occidentale, con l'eccezione d'Italia, Inghilterra e Olanda. Il rilancio economico dell'America è una premessa necessaria anche del suo rilancio come superpotenza, che Reagan sogna. Io non so se questo obiettivo sarà pienamente raggiunto. Ma non mi sento di concordare con la definizione dell'America come un «gigante malato». La crisi c'è, ma mi sembra una crisi di transizione di un sistema socio-economico-politico che appare ancora capace di reagire alla crisi stessa, correggendo le distorsioni peggiori, attenuando certi sprechi ed espandendosi in nuove direzioni. Arrigo Levi