Una signora bicicletta da un milione e mezzo di Remo Lugli

Una signora bicicletta da un milione e mezzo Viaggio nel mondo del vecchio «cavallo d'acciaio» Una signora bicicletta da un milione e mezzo Si tratta di un vero gioiello da corsa in lega speciale - È munita di accorgimenti tecnici molto avanzati - Sul mercato internazionale è quotata come la «Ferrari» TORINO — A leggerne la scheda illustrativa si può credere, nel primo momento, che si tratti di un satellite: sono citate le leghe leggere, il titanio, il super titanio. No, non è un satellite, è semplicemente una bicicletta, ma che bicicletta! Costa un milione e mezzo, quando con un decimo di questa cifra si può avere una buona bicicletta comune. Di fronte a questa «specialissima», la cui leggerezza di linea da già l'impressione dello slancio verso la corsa, come la sagoma della gazzella, viene da chiedersi se è parente dei milioni e milioni di biciclette che l'hanno preceduta nella storia, dalla fine dell'altro secolo, a tutto questo: dai primi «velociferi», ai rozzi bicicli, dalle «talianèle», come nel Trentino chiamavano le bici grigioverdi e pieghevoli dei bersaglieri, alle biciclette della Padania, per uomo o per donna, sempre nere, spesso arrugginite, sempre pronte a portare sotto il sole, sulle strade polverose della campagna o sulle carrarecce dei poderi, braccianti e contadine con il rastrello o la vanga in spalla o, sul manubrio, il bidone del latte. Questo puro sangue al titanio mi fa diventare ancora più patetici, ora sotto i capelli bianchi, i ricordi lontani della bicicletta della mia età verde, quando la lunghezza della canna orizzontale non era tanto, come adesso, vista in funzione della lunghezza del busto e delle braccia, (le «specialissime» si fanno su misura), quanto in funzione della sua capacita di portarci seduta sopra la ragazza. (Le sue spalle tra le mie braccia, il suo orecchio a un soffio dalle mie labbra, pronto alle parole che il vento non doveva rubare, il mio ginocchio sinistro nel ritmico contatto della sua gamba. Come sembravano lievi, nella pianura modenese, anche le salite degli argini, pur senza il cambio e i sei rapporti delle attuali «specialissime». Poi venne la Topolino: una grande conquista, quasi una casa, ma là dentro non avevo motivo di tenere la bocca tra i capelli vaporosi di lei, la bicicletta era già un ricordo pre¬ zioso, una cosa ormai irraggiungibile). Della sua «specialissima», anzi la «Messinissima», parlo con Guido Messina nel suo negozio in via Volpiano, a Torino. Messina, ex campione d'inseguimento su pista, cinque volte del mondo, sette volte italiano, mi illustra le varie raffinatezze: telaio di appena cinque decimi, d'acciaio, mozzo centrale, appunto in titanio, e la lega leggera, che viene usata persino nella intelaiatura della sella per rendere la bicicletta sempre più leggera. Siamo arrivati cosi al di sotto degli otto chili. Appena venti anni fa sembrava invalicabile la quota dei dodici chili; Fausto Coppi, nel '53, aveva vinto il campionato del mondo su strada, a Luga¬ no, con una bicicletta di tredici chili, allora considerata super-leggera. Noi italiani siamo ancora una volta all'avanguardia nel mondo in fatto di biciclette sportive. I nostri marchi sulle canne dei telai vanno in ogni continente. E questo è uno dei due motivi del nuovo boom della bicicletta — due milioni e 500 mila pezzi prodotti nell'80 di cui 1,2 esportati — L'altro motivo, lo vedremo in un successivo articolo, è la riscoperta della bicicletta da parte dell'italiano delle citta, per migliorare la propria salute e per risparmiare. Una riscoperta che è reciproca: anche le città si rendono conto che bisogna consentire al cittadino di andare in bicicletta e gli mettono a disposizione le piste ciclabili. Alfredo Gios, titolare assieme ai fratelli di una fabbrica a Torino, in via Cogne, specializzata nelle biciclette da corsa, spiega che della produzione Gios, circa dieci biciclette al giorno, il 90 per cento va all'estero, molto nei paesi del Nord, ma anche negli Stati Uniti, in Australia. -Sul mercato internazionale le biciclette italiane hanno la rinomanza che nel settore automobilistico hanno le Rolls Royce e le Ferrari» dice Alfredo Gios, con giusta fierezza. E mi porta in visita alla sua fabbrica che si distacca nettamente dalle molte aziende artigianali di assemblaggio. Solo 15 dipendenti, ma selezionati nel corso di anni, soprattutto anziani (mPurtroppo è difficile allevare bravi operai tra i giovani, hanno poca passione, poca pazienza») capaci di fare con precisione la saldatura in ottone e argento dei telai. Questa è, appunto, una caratteristica dell'azienda: non si limita a montare i vari gruppi prodotti da ditte specializzate, come Campagnolo per 1 mozzi e i cambi. Regina per la catena, ecc., ma costruisce 1 telai, in diverse misure, pure su taglia individuale, e li vende anche ad altre ditte assemblatrici, li esporta. Chi sono i clienti di queste biciclette da corsa? I giovani fino ai 22-23 anni, quando in loro cova l'illusione di diventare Coppi o Gimondi, poi c'è un salto d'età: a 40 anni si riscopre la bicicletta o per far calare l'addome o per risparmiare. E l'uomo maturo che si china sul manubrio cerca il meglio dei prodotti. « Ma — dice Gios — non c'è bisogno di abbandonarsi alle sofisticherie: noi con 950 mila lire possiamo offrire la bicicletta da corsa più tecnicamente avanzata e più sicura». Poi sul mercato c'è, ovviamente, tutta la gamma delle sportive, non professionali, ottime anch'esse, dalle 200-300 mila in su. Un po' di portafogli, quindi, una buona dose di volontà e adeguati polpacci, poi via, versa la festosa avventura della bicicletta. Remo Lugli

Persone citate: Alfredo Gios, Campagnolo, Coppi, Fausto Coppi, Gimondi, Gios, Guido Messina

Luoghi citati: Australia, Messina, Stati Uniti, Torino, Trentino