E' costata cara a Bignami la «lezione di esproprio» che stava impartendo a reclute in addestramento

E' costata cara a Bignami la «lezione di esproprio» che stava impartendo a reclute in addestramento Un'ipotesi, che probabilmente si avvicina molto alia realtà, sulla cattura dell'inafferrabile capo terrorista E' costata cara a Bignami la «lezione di esproprio» che stava impartendo a reclute in addestramento Secondo ps e magistratura, Maurice con l'assalto all'oreficeria stava mostrando ai complici come ci si comporta nei momenti di pericolo - La sua presenza a Torino prova che il terrorismo cerca di ricucire le file dell'organizzazione e che PI è senza soldi - Identificato uno dei componenti il commando: Lucio Di Giacomo, comandante la «Ronda proletaria di Orbassano» - Storia dell'arrestato: dalle rapine agli omicidi (giudice Galli a Milano, due carabinieri a Viterbo, William Wacker di nuovo a Milano, l'ing. Ghiglieno e il barista Civitate a Torino, il vigile Mana a Druento) fino all'agguato di via Millio E' proprio Maurice Bignami (nome di battaglia Davide e Gabriele), 30 anni, nato in Francia casualmente l'uomo altrettanto casualmente arrestato mercoledì sera al termine di un rabbioso conflitto a fuoco fuori dall'oreficeria di via Exilles. Ha cercato di celare l'identità ma quasi subito ha compreso che a giocare a rimpiattino non sarebbe servito. Bignami viene descritto come pronto di mano e di cervello: logico che si sia comportato cosi. Si è dichiarato prigioniero politico ed ha ammesso: «Sono Maurice». Uno abituato ad agire, al massimo può concedersi qualche battuta, come scriviamo in altra parte, più amara che di spirito: sa cosa l'attende, perché il suo intenso passato non lascia spazio a indulgenze. La cattura di Bignami apre molti interrogativi sulla fase di ricostituzione del fronte terroristico a Torino. Polizia e magistratura stanno formulando ipotesi che attendono verifiche e conferme. Certo è che nessuna conferma verrà da Bignami a meno che in futuro non decida di aprirsi alle confidenze, di seguire la pista del cosiddetto pentimento. Conoscendo però l'uomo, almeno da come lo presentano testimoni, ex compagni della clandestinità e le migliaia di pagine di fascicoli processuali, una conversione o mutamento di rotta, pare improbabile. La rapina. Con il terrorista ferito c'erano quattro sconosciuti, anzi tre persone di difficile individuazione ed una quarta di cui qualcosa si sa. Dicono che costui sia «con buone probabilità» Lucio Di Giacomo, 23 anni (nome di battaglia Pio o Cristiano) comandante della ronda di Or¬ bassano, autore del volantino di rivendicazione del ferimento Orecchia. Nella requisitoria del pm Bernardi si legge che Di Giacomo 'attualmente è giunto a livelli ancora più elevati dal momento che a settembre avrebbe partecipato a Senigallia a una riunione nazionale di PI in rappresentanza della sede di Taranto*. Se Di Giacomo ha partecipato all'assalto di mercoledì con Bignami, come spiegare la presenza di due esponenti di alto livello ad una rapina che a conti fatti avrebbe fruttato appena cinque, sei milioni? Ecco le prime ipotesi della polizia: l'assalto all'oreficeria potrebbe essere una «lezione di esproprio», l'occasione di mostrare alle reclute come ci si comporta in momenti di pericolo, come si manovrano le armi, che ruoli sostenere, come sganciarsi in caso di difficoltà. A parte la cattura di Bignami, ferito, la manovra di sganciamento e fuga è perfettamente riuscita. In questura stanno vagliando testimonianze di orefici rapinati negli ultimi tempi per accertare se altre «lezioni» del genere sono state impartite da Maurice. Qual¬ cuno ha riferito che le stesse persone potrebbero aver assaltato l'oreficeria di Emanuele Demeglio di corso Regina Margherita 148 (27 gennaio). Altra ipotesi: se non è una «lezione» pratica di esproprio, potrebbe essere una azione finalizzata all'autofinanziamento. Si sa che Prima linea, il cui bilancio annuale nei momenti di maggior attività superava il miliardo, non ha mai ricevuto finanziamenti ma solo denaro rapinato o di provenienza illecita. Può darsi che in via Exilles l'obiettivo fosse duplice: ad- destramento e raccolta di danaro. Con una aggiunta: per riciclare i gioielli del bottino bisogna ricorrere ai ricettatori, quindi avere canali nella delinquenza comune. Di questi agganci del «politico» con la malavita si è parlato ieri in Questura. Perché a Torino? La presenza di Bignami a Torino pone alcuni interrogativi sulla ricucitura delle bande armate, sulla riorganizzazione di Pi, su eventuali contrasti con i vertici della lotta armata clandestina. Bignami ha agito «in proprio»? La domanda pare lecita se si ha in mente il comunicato numero 10 delle Br scritto durante la vicenda D'Urso: qui si ipotizza la riunificazione del movimento clandestino e si fa appello a non frazionare le iniziative con decisioni autonome. Quale fosse il disegno strategico di Bignami non sappiamo. Il fatto incontestabile è che a Torino egli stava da tempo (almeno da un paio di mesi secondo le dichiarazioni della polizia) rinsaldando i resti di Prima linea, in una città che conosce bene poiché vi ha soggiornato e agito a lungo. Cosa Torino rappresenti come obiettivo e centro dinamico di spinte rivoluzionarie (nell'ottica s'intende di chi attiva l'ideologia sovvertitrice) è cosa nota. Dunque non stupisce affatto trovare Bignami qui. Le accuse. Il terrorista catturato gode fama di duro, di capo, di persona audace, scaltra e pronta all'uso delle armi. Cosi è, se è tutto vero quanto i giudici di mezza Italia hanno scritto di lui, sulla scorta delle indicazioni avute dalla vasta schiera di ex militanti di PI divenuti, a seconda dei punti di vista, collaboratori o delatori. Ecco le contestazioni dei mandati e ordini di cattura. Si comincia nel '79 con l'accusa di partecipazione a banda armata mossagli dalla procura della Repubblica di Milano. All'epoca Bignami è clandestino da due anni, dopo esser stato prosciolto dalla stessa accusa in seguito all'arresto avvenuto in casa di Toni Negri; ha già alle spalle l'attiva militanza nell'area dell'Autonomia bolognese e l'esperienza a Radio Alice l'emittente di Bifo. L'ex impiegato dell'ufficio tecnico del comune di Bologna entrato in clandestinità compie una rapida ascesa e dà prove tangibili di organizzatore. Bisogna aspettare tuttavia fino all'80 perché i giudici possano mettere assieme il «curriculum» del guerrigliero Bignami. Tutto comincia, si sa, con le confidenze dei vari ex compagni del terrorista, i vari Sandalo, Zedda, Giai. e infine Viscardi. E fioccano proprio a partire da allora raffiche di contestazioni. Da Milano gli contestano la partecipazione all'omicidio del giudice Galli; da Firenze la rapina (74 milioni) alla Banca Toscana avvenuta nell'ottobre '78; da Viterbo l'uccisione di due carabinieri avvenuta a Ponte dei Cetti; ancora da Milano la complicità nella uccisione di William Wacker, il giovane che aveva 1IISIMM li iilllllllllli UIIII1I11IS collaborato con la polizia; da Napoli il porto di materiale esplosivo. Intanto a Milano la corte di assise lo condanna in contumacia a 24 anni di reclusione nel processo che vede tra gli imputati anche Corrado Alunni, Zambianchi, e altri. Da Roma la procura gli contesta il reato di insurrezione armata. I giudici di Torino, perché a Torino Bignami è stato particolarmente attivo, lo ritengono autore di parecchi reati: la rapina di materiale per ciclostilare documenti (ai danni della ditta Guglielmotti), l'omicidio del dirigente Fiat Carlo Ghiglieno, il ferimento dell'ostetrica Domenica Nigra, la rapina a Druento duante la quale restò ucciso il vigile Bartolomeo Mana, la apina di materiale per fotoopiatrici (ai danni della ditta Berilone e Dutto), l'omicidio del barista Carmine Civitate nel cui locale furono uccisi dalla polizia Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi). Complice anche nell'agguao di via Millio, dove una palottola vagante troncò la vita dello studente Jurilli e infine, contestazione del 27 gennaio scorso, complicità nell'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Lorusso, ucciso esattamente due anni prima. Pier Paolo Benedetto Maurice Bignami sottratto alla furia della folla