Caccia grossa al capolavoro nel castello di Lord X

Caccia grossa al capolavoro nel castello di Lord X Caccia grossa al capolavoro nel castello di Lord X L'amico Paul, presso cui ero ospite nella sua residenza a un'ora da Londra, mi disse: «Domani, venerdì parto per passare il week-end da Lord XXX. Vieni anche tu». «Ma io non conosco Lord XXX». «Non fa niente. Se vieni con me sarà lieto di accoglierti». Dovevamo partire di mattina, il viaggio era abbastanza lungo. Ma si sa come succede: prima Madame T. (che ci accompagnava) non era pronta, poi, all'ultimo momento, si ricordò di non avere preso la vestaglia. Eravamo già in auto quando giunse per Paul una telefonata dal Kuwait, che durò così a lungo da toccare l'ora del pranzo. Perciò partimmo di pomeriggio, sotto una pioggia scrosciante, che poi cedette alla nebbia: arrivammo a destinazione che era notte alta, tanto che, da un telefono pubblico, avvertimmo del ritardo, pregando che nessuno restasse in piedi per attenderci. Ero stanchissimo (durante tutto il viaggio avevo parlato senza interruzione per non sentire la voce di Madame T. quel giorno particolarmente agitata), e quando entrammo nel portone il mio unico desiderio era di andare a letto. Salii una scaletta a chiocciola, entrai nella camera che mi era stata destinata, e dopo un minuto già dormivo. La sorpresa venne al mattino, quando alla luce che filtrava dalle tende (già Erasmo lamentava che in Inghilterra non si riesce ad avere gli scuri ben chiusi) mi accorsi che le pareti della camera erano tappezzate di quadri, l'uno accanto all'altro. Spalancai: fuori un meraviglioso parco, pettinato dal più splendido landscaping, e in cui stava pascolando una mandria di cervi. Dentro, invece, contai più di quaranta quadri. Lì per 11 pensai a copie, ma poi dovetti riconoscere che il Sébastien Bourdon accanto al letto era autentico e perfettamente autografo, come lo erano il Carlo Maratta sopra la testata, il Baciccio e i quattro Cerquozzi che, assieme ad altre tele non trascurabili, ornavano le pareti della stanza; nel bagno i paesaggi del Van Bloemen-Orizzonte (tutti firmati) erano otto. * * «Qualcuno deve aver detto a Lord XXX che sono uno storico dell'arte. Che pensiero genti le!». Ma scendendo a piano terra mi resi conto che tutta la casa (delle sue enormi dimen sioni mi accorsi più tardi) era letteralmente gremita di qua dri italiani e francesi del Sei e Settecento: la più spettacolosa raccolta mai incontrata, salvo che alla Corsini di Roma o agli Uffizi. Lord XXX era stato un fa moso campione sportivo; ma ora un malanno lo costringeva a una sedia a ruote. Nel suo studio mi complimentai per i quadri che scintillavano alle pareti, pronunciando i nomi dei loro autori. «Vedo che Lei conosce bene il Barocco italiano. Però i miei antenati, durante i viaggi del Grand Tour, ac quistavano anche opere di artisti meno noti del Poussin o del Grechetto». «Chissà che non riesca a riconoscere anche quelli», gli risposi. «Se ci riesce più dell'ottanta per cento. Le farò un regalo». «Cosa?». «Un libro che Lei stesso sceglierà nella mia biblioteca». «Anche un manoscritto?». Lord XXX pensò un poco: «Purché non sia relativo alla storia della mia famiglia». «D'accordo». E così, per due giorni, Lord XXX sulla sedia a ruote mi seguiva per saloni e corridoi, mentre io, davanti ad ogni quadro, citavo il nome del suo autore. «Benissimo, esclamava ogni tanto, per questo c'è anche la ricevuta del pittore». La quantità di quadri era prodigiosa; in cappella c'era una grande pala del ' Veronese e quattro o cinque quadretti del medesimo, e in altri ambienti i Luca Giordano, i Solimena, i Carlo Dolci non si contavano. C'erano persino alcune stanze con tele e tavole appoggiate per terra, a coltello. * * Finita la lunghissima visita avevo indovinato al novantadue per cento. Fui condotto nella biblioteca e lasciato solo; scovai dopo poco la prima edizione dei Dialoghi di Galileo, la rarissima Hypnerotomachia Poliphili, le Aedes Barberinae del Tetius, ma mi fissai su un piccolo Libro d'Ore in pergamena . franco-fiammingo del Quattrocento, con dodici miniature a piena pagina. Quando lo mostrai a Lord XXX, commentò: «Lei ha buon gusto. Di questo libretto era entusiasta Pierponl Morgan, ma non glielo abbiamo mai voluto vendere. Ora è Suo». Il parco sembrava uscito da una tela di Constable, con i laghetti, le immense querce, gli animali in libertà. Per pranzo e per cena ci riunivamo nel piccolo appartamento a piano terra dove Lord e Lady XXX vivevano (e dove un grande Jacopo Bassano giovanile aveva su di me un effetto magnetico); mangiavamo in una sala tutta bianca, ornata dagli Adams e decorata da alcuni marmi provenienti da Villa Adriana. L'edificio era così grande che Elisabetta I, giuntavi durante un viaggio, si era non poco irritata, osservando che dimore del genere spettano soltanto ai monarchi. Ma ora le enormi spese di manutenzione, la mancanza di personale di servizio, le difficoltà di ogn genere avevano prima ridotto poi spento la vita brillante, una volta svoltasi nelle innumerevoli sale, sotto affreschi barocchi, tra arazzi, mobili Boulle tappeti orientali e argenterie favolose. Era cioè tramontata quella particolare foie de vivre che sino alla seconda Guerra Mondiale rese celebre l'aristocrazia inglese, e di cui rimane ben poco, salvo le descrizioni scritte (certe pagine di Jane Austen sono al proposito illuminanti) e le fotografie eseguite dal 1840 in poi. Poco fa è uscito un volume di Christopher Simon Sykes, Country House Camera (con prefazione di Nigel Nicolson, ed. Weidenfeld & Nicolson) che consiste appunto in una scelta di foto dall'epoca vittoriana al 1939, eseguite in case di campagna (per modo di dire se vi troviamo alcuni tra i più prestigiosi monumenti dell'architettura inglese). E, da queste immagini spesso sbiadite, sfilano davanti a noi quelle riunioni, a volta familiari a volta amichevoli, in ambienti estremamente vari, che passano dal cottage sepolto nei fiori all'edificio maestoso, come Carlton House, o l'incredibile Castle Howard, per non dire di Wilton, sede dell'Earl of Pembroke, con il suo stravagante ponte palladiano, la su perba collezione di marmi romani e i doni lasciati dal Gran duca Cosimo III che vi fu ospite. Tempo, soldi, spazio: tre cose che non mancavano all'aristocrazia del Regno d'Inghil terra, di quella cioè che sino a 1940 fu (economicamente i culturalmente) una delle nazioni-guida dell'Occidente. Ma queste straordinarie immagin ci dicono che soldi, tempo e spazio venivano impiegati in modo razionale, anche quando il lato edilizio parrebbe affetto da una sorta di folle e delirante esibizionismo. Queste Country Houses erano sedi di grandi proprietari terrieri, o semplici luoghi di villeggiatura; ma riflettono sempre un gusto assai alto, e una coscienza del proprio stato e del proprio ruolo sociale, quella coscienza cioè che così spesso è venuta a mancare ad altre (e perciò meno fortunate) élites. Dal ruolo di status symbol la grande collezione di statue o di quadri, la biblioteca preziosissima, la serra gremita di fiori rari o esotici erano poi diventate per questi Lords un indispensabile complemento di vita; e le porte erano sempre aperte allo studioso, al ricercatore, accolto con estrema e cortese affabilità. Nelle mie memorie, ho ancora davanti agli occhi il giorno (1948) in cui mi recai ad Ashburnham Place, dove viveva Lady Catherine Ashburnham, ultima della grande famiglia cattolica che con estremo vigore aveva resistito alle persecuzioni protestanti. Debbo dire che mai la mia indagine storico-artistica (la casa era affollata di splendidi dipinti del Tre e Quattrocento italiano) è stata aiutata con altrettanta, instancabile generosità (quella dimora è oggi trasformata in manicomio, perché dopo la morte di Lady Catherine, nel 1950, l'unico erede, di fanatica fede anti-cattolica, fece vendere tutto all'asta, profanando i magnifici ambienti e il meraviglioso parco con i suoi milioni di rododendri violetti). E ricordo le ricerche che condussi ad Althorp, dal conte di Spencer, o le giornate spese Castle Ashby (Mantegna, Dosso) e a Compton Wynyates (con i quadri di Cesena), ospite del marchese di Northampton. Quale differenza rispetto alle mille difficoltà e all'arroganza di molti collezionisti nostrani! Ma queste Country Houses erano anche sede di riunioni politiche e culturali: vi si potevano incontrare scrittori e attori di grido accanto a Winston Churchill, o a celebrità sociali (come Lady Diana Duff Cooper o la marchesa di Cholmondeley), mentre ospiti stranieri o gli stessi monarchi del Regno Unito vi conversavano con Aldous Huxley o con H G. Wells. Uno degli ultimi e più acuti iconografi di tale mondo fu Cecil Beaton, le cui fotografie sono andate disperse poco fa in un'asta di Sotheby. Ma di tutto ciò il volume fornisce immagini eccezionali. ★ * (Mi si chiederà ora che fine abbia fatto il Libro d'Ore donatomi da Lord XXX. Ne avevo centellinato, la sera a letto, le dodici miniature; e il lunedì mattina avevo fatto una corsa al vicino villaggio, acquistando nella locale merceria un foglio di carta decorata e uno spago dorato. Prima di partire feci un piccolo pacco, che lasciai nella mia camera; conteneva il libro miniato e un biglietto: «Per ringraziare della perfetta ospitalità non ho qui che questo ricordo. Mi auguro che Lord XXX voglia gradirlo». Ancora oggi, a distanza di anni, siamo restati in ottimi rapporti di amicizia). Federico Zeri

Luoghi citati: Althorp, Ashburnham Place, Cesena, Inghilterra, Kuwait, Londra, Regno Unito, Roma