Due o tre cose che so di lui di Vittorio Gorresio

Due o tre cose che so di lui UN LIBRO DI GHIRELLI SUGLI ANNI ACCANTO A PERTINI Due o tre cose che so di lui «Sollevato dall'incarico» nel maggio 1980, il giornalista racconta aneddoti anche indiscreti di quello che ha visto al Quirinale - Del Presidente della Repubblica scrive: «E' impossibile non amarlo», e racconta episodi edificanti - Ma nel volume circola una vena sottile di rivalsa Esce da Rizzoli un volume intitolato Caro Presidente, dovuto ad Antonio Ghirelli il quale è stato a capo del servigio stampa in Quirinale fino al 31 maggio dell'anno scorso quando fu «sollevato dall'incarico» a causa di un malaugurato incidente. Trovandosi Pertini a Barcellona, gli furono per equivoco attribuite dichiarazioni che il Presidente non aveva mai espresso e che sarebbero state, prima che incaute, affatto indebite. Ciò non accadde per colpa di Ghirelli ma di un improvvido suo collaboratore subordinato: assai correttamente Ghirelli se ne assunse l'intera responsabilità e ci rimise il posto. Fu un infortunio sul mestiere, di cui Ghirelli non ha da vergognarsi, anche se è comprensibile che ne sia rammaricato. Egli tiene comunque a confermare, come già fece sul momento, il suo affetto e la sua devozione al Presidente. Scrìve che «forse è impossibile non litigare con quest'uomo ma certamente è impossibile non amarlo», e queste sono nobili espressioni nelle quali la lealtà si accompagna al rimpianto. Ne vada quindi merito a Ghirelli: però il suo merito sarebbe maggiore se nel suo libro non circolasse pure una vena sottile di rivalsa. Ghirelli conclude il volume affermando che «naturalmente, la mia vicenda personale non ha nessuna importanza», ma d'altra parte sbaglia avendola all'inizio pre- sentata come un giallo che ha «il sapore di un romanzo di Agatha Christie». e soprattutto essendosi arrischiato ad una confessione vagamente grottesca di questo tipo: •Mi viene fatto di pensare che in Italia non si solleva qualcuno dall'incarico almeno dal 25 luglio 1943». C'è modo e modo di valutare una disavventura personale, ma bisogna resistere alla tentazione di porsi al centro della storia. E' sempre bene non esagerare. Tenendoci comunque per un momento sul piano dei grandi paragoni, anziché al parallelo Vittorio EmanueleMussolini e Pertini-Ghirelli ci si può meglio riferire al fatto abbastanza illustre di Dedjer-Tito che così bene risalta nella biografia critica che il grande dissidente jugoslavo ha dedicato alle vicende del suo maresciallo: come già in Dedjer, anche in Ghirelli è presente una sorta di odio-amore per il proprio personaggio, che misconoscere è impossibile ma per il quale non si riesce a non provocare qualche rancore di carattere del tutto personale. E cosi nasce il desiderio di rivalsa che traspare in ambedue i volumi. Ghirelli si era fatto l'idea che il suo compito fosse quello di presentare alla pubblica opinione un'immagine di Pertini di tipo kennediano: •Sto dando i primi tocchi», scrive all'inizio, e poi avverte che la stessa moglie del Presidente voleva trattenerlo dall'impresa: .Non c'è bisogno di esaltarlo, gli disse Carla, di ricordare in ogni occasione i suoi meriti, se no rischiamo di renderlo insopportabile alla gente». Ghirelli si difende: «E' fuori strada chi ritiene che sia il capo del servizio stampa del Quirinale ad orchestrare la campagna di "papagiovannif icazione" del Presidente». Egli parla difatti di un meccanismo automatico che si sprigiona dai mezzi di comunicazione di massa «trasformando l'ammirazione per il personaggio in una caccia indiscriminata ai suoi pregi e ai suoi difetti». Per conto suo fornisce un contributo alla ricerca dei difetti: dice che ai primi tempi del mandato Pertini è emerso •piuttosto un personaggio che non una personalità», e che quando incominciarono le prove più serie il Presidente non si rivelò di statura eccezionale. Sembra che voglia ridimensionarlo internazionalmente: «Pertini, che parla solo un po' di francese e non si è mai misurato in questo campo, tradisce inizialmente un certo imbarazzo». Nella versione data da Ghirelli, per esempio, la prima visita a Roma di Giscard d'Estaing in ottobre del 1978 si risolse in una pessima figura del nostro Presidente che fu causa di seri imbarazzi per la diplomazia italiana: e così pure disapprovabili furono certe sue iniziative assunte a caldo, come quando egli avrebbe preteso di ricevere una delegazione di studenti iraniani, o rifiutò di inviare condoglianze per la morte del presidente della Repubblica sudafricana Diederichs, e di mandare auguri al generale Videla presidente dell'Argentina: e così via elencando una serie di gaffes, ostinazioni e impuntature occorse in occasione delle visite all'estero. In Baviera ebbe a trovare ripugnante la cucina tedesca, a Belgrado una sera si fece accompagnare in un locale notturno dove a giudizio di Ghirelli si sarebbe comportato in maniera goliardica. In qualche pagina del libro le annotazioni hanno un po' gusto di pettegolezzo. C'è poi un'insistenza disdicevole nel sottolineare gli anni del Presidente: «Come è tipico di un'età cosi avanzata, egli tende a rievocare ripetutamente i passaggi più gloriosi della sua vita». Una volta Pertini si adombra perché /'Avanti! ha dato poco spazio alle felicitazioni per il suo 82° compleanno, mentre a Giolitti non perdona di averlo dichiarato «anziano» in un'intervista rilasciata al Corriere. Sul dato della vecchiaia Ghirelli insiste molto, e non sempre gentili sono le definizioni che egli riserva a Pertini: «Vivacissimo nonno della Patria», «l'illustre vegliardo», «il Vecchio Eroe», «il giovane ottuagenario», «la giovinezza di questo ottuagenario è stupefacente». Nemmeno si astiene dal riferire le ingiurie (come quelle delle Br che definiscono Pertini «vecchio babbeo dalla vista an-; neboiata.; sia pure per respingerla virtuosamente: «Il vecchio babbeo ha il fegato di un giovane partigiano». Sono annotazioni che per lo meno peccano di indelicatezza soprattutto al trovarle accompagnate dalla notizia che Pertini è un superstizioso il quale crede negli oroscopi degli astrologi, e che parlando di Tito — impietosamente definito da Ghirelli «la Grande Mummia» — avrebbe detto una sera: «Scommetto che si è fatto fare un'iniezione di Gerovital». Pertini tuttavia non può essere accusato di cinismo, e qualche volta le testimonian¬ ze di Ghirelli ne danno atto chiaramente. Si celebrano i funerali di Nonni, e Pertini si inalbera contro gli operatori della Tv per le loro intrusioni disturbatrici. «Possibile che non si possa restare soli con un vecchio amico che ci ha lasciati?». E poi, come in un soffio: «Se ne sono andati via tutti: Nenni, Santi. Basso. Lussu, Brodolini, Buozzi. Mio caro Ghirelli. il mondo è costruito sui morti». Infine mormora: «Eh. un giorno portano via anche noi». E un'altra volta: «Che presidenza tormentata! Non c'è giorno... A quanti funerali ho assistito?». Si dispera al momento della morte di La Malfa, e si giustifica con dignità: •Quando un vecchio smette di macerarsi, cioè di amare gli altri, è un uomo morto». Sono testimonianze edificanti che Ghirelli non manca di fornire, ma la loro efficacia sarebbe migliore se non fossero intercalate da annotazioni in qualche modo scorrette. Saputo di Lelio Basso in agonia, Pertini avrebbe detto: .Che muoia non mi interessa». E' improbabile, perché poi corre a visitare la salma dicendo: «Dinanzi alla morte cadono tutti i rancori». Ma è nei confronti dei viventi che Pertini sarebbe spietato, se si crede a Ghirelli. Viene Zaccagnini in Quirinale ma il colloquio col Presidente è un soliloquio: «Stavo per tirargli qualcosa tanto per provare se era ancora vivo», avrebbe detto Pertini al termine dell'incontro. Anche con Almirante non ci fu che un monologo: «Sono stato gentile ma l'ho avvertito che non avevo niente da dirgli. Non sono né Leone né Gronchi». A Riccardo Lombardi non perdona che egli sia stato un tempo militante dell'Azione cattolica: «Semel abbas semper abbas». Andreotti è «diabolico», Craxi è troppo grasso come era già Bakunin che non riusciva a entrare nella carrozza né a uscirne, e Lucio Magri è un Narciso «che passa il tempo a specchiarsi nei vetri di Montecitorio». Ancora peggio tocca ad Antonio Giolitti che stava in piedi davanti alla scrivania di Pertini, il quale fingeva di telefonare: «L'incredibile ragazzo di ottantadue anni intavola una lunga conversazione con un interlocutore inesistente e intanto fa cenno distrattamente al visitatore di sedersi». E poi riattacca il ricevitore e lo saluta con freddezza senza neppure stringergli la mano. E ancora: Visentini quando recita la litania del giuramento da ministro fa ricordare a Pertini un vecchio motto genovese: «Dice ii Paternoster come le scimmie». Altre battute del genere si potrebbero ancora spigolare nel libro di Ghirelli, che ne è folto, ma alla lunga l'elenco risulterebbe tedioso e forse poco illuminante. Sono piccoli sfoghi di umore estemporaneo che da un punto di vista politico non mostrano nulla. Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Argentina, Barcellona, Baviera, Belgrado, Italia, Roma