A chi tocca dire di no di Giovanni Trovati
A chi tocca dire di no Sindacati e sciopero A chi tocca dire di no Per la seconda volta le tre confederazioni sindacali cercano con l'autoregolamentazione di porre un freno al dilagare degli scioperi nei pubblici servizi, cominciando dai trasporti e in attesa di arrivare presto agli ospedali. Il primo tentativo risale al settembre 1979: allora misero insieme alcune norme, che neppure osarono definire codice (si oppose Carnài, perché il termine gli sapeva troppo di imposizione), molto generiche per non correre il rischio di non ottenere l'unanimità al direttivo del gennaio 1980. L'anno di sperimentazione è stato fallimentare. Adesso il termine codice è accettato, le norme sono più precise. Si attendono le risposte dei sindacati autonomi, che sono forti nei pubblici servizi: hanno la quasi totalità nel trasporto aereo, e una maggioranza al Centro e al Sud nelle ferrovie. Un codice di comportamento può riuscire se accettato da tutti e se prevede sanzioni. Ma chi ha la forza di punire? Occorrerebbero due presupposti: un ampio consenso e una riconosciuta autorità. Né l'uno né l'altra hanno le tre confederazioni, e temiamo che non li abbia il governo perché incalzato da opposizioni troppo forti e minato da dissensi al suo interno. L'esperienza all'estero non è di conforto, con la sola ecce zione della Germania, dove è in vigore dal dopoguerra un accordo tra sindacati e datori di lavoro, pubblici e privati, il Mitbestimmung. L'Inghilterra é il Paese dove più si è tentato, e sempre senza successo, di disciplinare lo sciopero. Alla fine degli Anni Sessanta falli Barbara Castle con VIndustriai dispute act e proprio sul punto delle clausole penali: il suo patto sociale in pratica non prese mai corpo. All'inizio degli Anni Settanta Edward Heath provò con un'imposizione legislativa: ci furono processi contro sindacalisti che non avevano rispettato il diritto di sciopero, ma i tribunali si trovarono in imbarazzo non sapendo come regolarsi. Promesse di fermezza fece Margaret Thaicher, ma ben presto si convinse che, almeno per ora, l'unica regola deriva dal rapporto di forza tra le due parti: vince chi più resiste. Le tre confederazioni ufficialmente dicono di preferire l'autoregolamentazione, ma si intuisce che alla fin fine non si opporrebbero a una legge, quanto meno che preferirebbero una legge agli interventi dei singoli magistrati, come accadde a Torino l'autunno scorso per la vertenza Fiat. Cgil, Cisl e Uil constatano quanto sia sempre più indefinibile il confine tra libertà e licenza in tema di sciopero, e si muovono premute sia dalla pubblica opinione sia dalla perdita di egemonia sulle classi lavoratrici. Temono una perdita di potere. Sino a quando si sentivano principali rappresentanti in fabbrica e negli uffici teorizzavano e applicavano la conflittualità permanente come metodo dialettico per stimolare il progresso sociale. Poi si sono accorte di non poter gestire la conflittualità permanente, perché sfociava in microconflitti sempre più corporativi. E hanno compreso che la politica di livellamento mortificatrice della professionalità, alienava una parte sempre maggiore dei lavoratori, favorendo il costituirsi di sindacati autonomi. Ogni fermata nei servizi pubblici è una prova della difficoltà, che a volte diventa incapacità, per le tre confederazioni di gestire la vertenza. La nuova realtà impone a Cgil, Cisl e Uii di arginare lo straripamento degli scioperi. L'art. 40 della Costituzione riconosce il diritto di sciopero, ma «nell'ambito delle leggi che lo regolano». I costituenti si limitarono a questa vaga indicazione, perché non trovarono un accordo sulle norme limitative che pur avrebbero voluto. Sono trascorsi più di trent'anni: le leggi non ci sono, ma il sindacato non sa come sostituirle. Si ostina a ritentare con l'autoregolamentazione, nella presunzione di difendere la sua autonomia, come se fosse un corpo separato nello Stato. Per impedire uno sciòpero nei servizi pubblici essenziali il governo dispone di un solo strumento: la precettazione. La usa o meglio la minaccia soltanto nei confronti di piccole categorie, la cui perdita di consenso non lo preoccupa molto. Ma le piccole categorie colpiscono di solito una piccola utenza. Non ha mai minacciato seriamente di precettare i ferrovieri, perché sa che il rischio di insuccesso sarebbe forte e le conseguenze di un fallimento molto gravi per la sua credibilità. Se il sindacato da solo non riesce a imporsi una disciplina valida, perché mai governo e Parlaménto non debbono intervenire a tutelare due interessi che momentaneamente possono apparire contrapposti, quello della collettività e quello di una categorìa di lavoratori? Tale intervento rientra nei compiti della cosiddetta «guida politica», che tanto viene invocata e promessa, ma che si vede poco. Giovanni Trovati
Persone citate: Barbara Castle, Edward Heath, Margaret Thaicher
Luoghi citati: Germania, Inghilterra, Torino
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