Gli inquisitori spagnoli servi del dogma ma non sanguinari

Gli inquisitori spagnoli servi del dogma ma non sanguinari Ricerca storica Gli inquisitori spagnoli servi del dogma ma non sanguinari DATI alla mano, in questa Storia dell'Inquisizione spagnola il professor Bartolomé Bennassar, universitario a Tolosa, ci offre un quadro rassicurante di quel fenomeno fino a ieri temibilissimo che fu l'Inquisizione spagnola. E', il suo, un libro di dati e di bonarietà sorprendenti, che richiederà certo da parte degli specialisti una conferma o una demolizione e, se assenso ci sarà, la scomparsa di un altro mito._ Le ricerche d'archivio del professor Bennassar e della sua équipe, su cui si fonda il volume, mostrano anzitutto i tipi e le oscillazioni delle accuse agli inquisiti, di questa che fu pure la branca più malfamata delle varie Inquisizioni nazionali, attive nel Cinque, Sei e Settecento. Ora prevalgono nel corso del tempo i procedimenti per tesi ereticali, ora per giudaismo, ora per costumi, ora per offese; nel complesso, si nota un progressivo addolcimento del tribunale t dall'inizio alla fine della sua attività. L'inizio fu certamente feroce, ma poi, anche se non si può pensare ai tribunali inquisitoriali del XVII e XVIH secolo come a «modelli di mitezza», è però «assurdo» estendere ad essi le descrizioni terrificanti che si possono fare per il periodo iniziale dell'istituzione. Ad Avila i consegnati al braccio secolare fra il 1490 e il 1500 sono 72, il 40 per cento degli inquisiti; a Valencia fra il 1494 e il 1530 il 38 per cento, 754 individui. Ai tempi d'oro (prima del '30) la stragrande maggioranza è di soli criptogiudeizzanti: il 92 per cento a Valencia, il 99 addirittura a Barcellona (con condanne superiori al 90 per cento). Ma in ogni caso «l'Inquisizione tortura meno della giustizia civile e, passata quella follia omicida dei primi decenni, uccide solo eccezionalmente»; nel Settecento si hanno solo casi sporadici (nel '14, '25, '63, '81) di sentenze capitali. In totale, si può tutt'al più parlare di alcune migliaia di giudeizzanti, qualche centinaio di musulmani e di un centinaio di rei d'immoralità (soprattutto di «peccati abominevoli» come la sodomia e la bestialità, peggio perseguiti della stregoneria: il 12 per cento su 122 sentenze per sodomia a Saragozza sul finire del Cinquecento — anni duri — sono al rogo e il 31 alla galera; per la bestialità si sale addirittura al 41 e al 43 per cento). Qual è allora la ragione del sacro terrore che sempre ha circondato questa istituzione certo potente ma non sanguinaria? Neppure il ricordo dei suoi inizi zelanti, secondo il Bennassar, bensì il meccanismo del segreto, l'abilità con cui il tribunale si circondava di mistero, la copertura che da¬ va alle delazioni, facendole così dilagare e rendendo ogni cristiano o persino eretico sospetto dell'altro. Al segreto erano tenuti giudici e visitatori; il segreto sulle persone e sulle circostanze era conservato nella lettura pubblica delle testimonianze. C'è solo da aggiungere, a questo apparato, le catastrofiche conseguenze, in bollatura e in danno economico, degli inquisiti, anche assolti, per loro stessi e per i loro discendenti, anche se il tutto partiva da un'invettiva sfuggita in un momento d'ira o da una parodia carnevalesca. Con questo semplice strumento l'Inqui¬ sizione ha, se non insanguinato, certo soggiogato la Spagna intera per due o tre secoli, dagli intellettuali al povero Francisco Becerro che nel 1538, in quel di Toledo, vedendosi entrare per l'ennesima volta gli asini del curato nel proprio cortile, non ne potè e si lasciò scappare un «Maledizione a te, Dio, io ti rinnego!» e ne ebbe un mese di prigione, poi l'assoluzione dallo stesso curato per la prima parte dell'invettiva, mentre per il «rinnego» dovette sottoporsi al gran tribunale. Soprattutto per questo, meno per altro, l'attività dell'Inquisizione fu nefasta, per riconoscimento del Bennassar e dei suoi collaboratori, autori dei vari capitoli di cui si compone questo libro. Anche se tribunale più efficace, più prestigioso, più scrupoloso dei civili, raramente torturatore, rispettoso delle norme legali, quasi mai condannatore a pene capitali dopo i primi eccessi, ispirato a ideali di redenzione e di pedagogia, fu però colpevole esso stesso di quel reato supremo eh è il peccato contro lo spirito. Creato per impedire tutte le credenze e i culti diversi dai dogmi e dalla disciplina della Chiesa romana, offrì contemporaneamente alla monarchia spagnola un popolo, se non concorde, omogeneo, da manovrare contro l'eretico, che spesso s'identificava con lo straniero; soffocò la borghesia creatrice d'idee e ricchezze, inaridì le sorgenti del pensiero e della ricerca, dirottò anche l'arte splendida del siglo de oro verso valori più formali che critici. Esempio strepitoso insomma del dramma che minaccia gli uomini ogni volta che si stabilisce un legame organico fra uno Stato e una Chiesa. Non si riodono anche oggi da molte parti le parole che Vives scriveva a Erasmo nel 1534: «Viviamo in tempi difficili, nei quali non si può né tacere né parlare con sicurezza»? Carlo Carena Bartolomé Bennassar: Storia dell'inquisizione spagnola; Rizzoli, 363 pagine, 12.000 lire.

Persone citate: Avila, Carlo Carena Bartolomé, Francisco Becerro, Valencia, Vives

Luoghi citati: Barcellona, Spagna, Toledo, Tolosa