Paoli: amo e mi ribello perché non voglio diventare una saponetta
Paoli: amo e mi ribello perché non voglio diventare una saponetta Intervista Paoli: amo e mi ribello perché non voglio diventare una saponetta GENOVA — «Non cercare nel portachiavi di tutti i giorni per ascoltare questo lavoro; non le affinità ma le complicità fra Ciampi e Paoli vi trovano naturale confluenza». Queste sono le «Istruzioni per l'uso» che Gino Paoli raccomanda agli ascoltatori del suo ultimo disco intitolato Ha tutte le carte in regola. Tn esso sono raccolte dodici canzoni di Piero Ciampi, cantautore livornese scomparso un anno fa. Dodici «pezzi» scelti fra un centinaio: « Una selezione — dice Paoli —fatta per tentare un ritratto il più preciso possibile del personaggio, escludendo magari canzoni più belle, ma forse meno valide». Autore di versi, di racconti, di canzoni e di musica, poeta lapidario e sfacciato, interprete tenerissimo e violento, uomo imprendibile, cantautore cupo, autodistruttivo, amaramente ironico, Ciampi conosce oggi una riscoperta, un successo che egli rifiutò sempre. Oltre a questo disco di Paoli, è uscito su di lui anche un libro, promosso e in parte finanziato dal Club Tenco. Curato da Enrico De Angelis, è pubblicato dalla Lato Side nella collana di cui fanno parte Edoardo Bennato e Bob Marley. «Uno degli scopi del volume — ha scritto De Angelis — era quello di documentare che l'alcolizzato ed emarginato Ciampi era comunque amato da una cerchia circoscritta ma illuminata di persone». Ciampi era conscio di questa sua emarginazione e spesso ironizzava sulle sue angosce. « Una sua canzone dice "Ha tutte le carte in regola per fare l'artista" — osserva Gino Paoli —ed è abbastanza sorprendente, perché lui non aveva proprio nessuna carta in regola, non è riuscito a fare un accidente. E' una specie di dichiarazione arrogante che si addice al personaggio». Quali sono i temi principali affrontati da Ciampi? «Io direi che c'è il suo rapporto con le donne, con gli uomini, il suo rapporto con l'umanità. Ciampi lo concepiva in modo anomalo, nel senso che compren- deva una grossa partecipazione personale. Anche secondo me è la maniera giusta dì vivere, però oggi uno che vive in quella maniera è un diverso». — Ci sono affinità fra Paoli e Ciampi? «Direi di no. C'è una specie di complicità perché siamo dalla stessa parte della barricata, fra quelli che parlano perché credono in ciò che dicono, non di quelli che ascoltano. Credo di essere un artista, come lo era Ciampi. E non ci sono graduatorie nell'essere artisti: è uno stile di vita e basta. La validità del sìngolo viene da tante altre cose». — Con Ciampi ha in comune il rifiuto del successo. Lei lo teme sempre? «Diventare una saponetta, un paio di jeans, un fatto di moda mi fa sempre paura, perché non passa dal cuore, non parte dentro, ma è frutto soltanto di un condizionamento. E ciò mi fa rabbrividire. Ma non odio avere davanti la gente, tante persone che mi amano e che io amo, con le quali c'è un rapporto di sensazioni, di sensibilità». — Come mai ha deciso di scrivere un libro su Jacques Brel? « Credo che scrivere un libro su di un personaggio sia inutile se questi non contiene un mistero. Non scriverei mai, per esempio, un libro su Picasso perché si è già espresso benissimo da solo. Brel invece è un essere umano che conserva ancora molti lati oscuri. Credo che questo cantautore francese sia un'incognita e quindi sia importante tantare di capirlo. Ho iniziato a scrivere questo libro due anni fa e non l'ho ancora finito. Può anche darsi che arrivato a pagina 111, come tante altre cose che ho fatto, butti il manoscritto nel fuoco. Libri ne ho già scritti tre o quattro e ogni volta sono arrivato ad un certo punto e, non so perché, ho rinunciato». Alessandro Rosa Paoli, visto da Bruna
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