Da noi tutto scatta anche il ritardo di Franco Lucentini

Da noi tutto scatta anche il ritardo Parliamone Da noi tutto scatta anche il ritardo FINO a qualche tempo fa. le cose in Italia semplicemente «cominciavano», o al massimo «incominciavano». Avevano smesso di «principiare» intorno alla 1' guerra mondiale, e cominciavano tranquille, in sobria e onesta naturalezza. Si servivano in certi casi di «inizio», umile sostantivetto ormai libero da ogni legame coi suoi solenni e tenebrosi parenti, «iniziazione» e «iniziatico», il quale si prestava volentieri a sostituire «incominciamento» e «principio» là dove, in assenza di Gabriele D'Annunzio, questi sarebbero suonati un po' ingombranti o equivoci, come in «I lavori di sterro avranno cominciamento lunedì» o in «Fin dal calcio di principio la Juventus dimostrava nettamente ecc.». Senonché «inizio» tirò subito dentro un suo cugino mafioso, il verbo «iniziare», che attraverso il solito giro di connivenze burocratiche, scolastiche, televisive, ecc. riuscì a togliere di mezzo «cominciare» e raggiunse in brevissimi anni una posizione di assoluto predominio. «Quando lui ha iniziato a baciarmi — confidavano le ragazze alle amiche — io avevo ancora il gelato in mano». «Con questo tuo Hermann Hesse hai iniziato a scocciarmi» dicevano i genitori ai figli. Ma è destino comune ai prepotenti di essere a loro volta insidiati da qualche più prepotente di loro. «Iniziare» sta perdendo rapidamente terreno, mentre si fanno largo alla radio, sui giornali, alla tv. le voci del verbo «scattare». «Scatta venerdì il ciclo dedicato a Bach» capita sempre più spesso di sentir annunciare. «E' scattata in Cadore la sagra della lumaca», si legge ogni giorno. Scattano esposizioni di pittura e tornei di basket, settimane dedicate al Foscolo e campagne promozionali della ricotta. Scattano i piani di soccorso, scattano le stagioni scaligere, scattano le misure antinflazionistiche. scattano i premi letterari, scattano le vacanze, gli scioperi, i controlli fiscali, i centenari di Tolstoi e Flaubert, scattano le questioni morali e scattano gli scatti della contingenza. Che succede? Ci avviamo forse a diventare un popolo di scattisti, a realizzare il vecchio sogno di Achille Starace? Niente paura. I segreti parametri di quel rozzo erano del tipo collegial-soldatesco. Mentre lo scattisrno attuale sembra discendere piuttosto da aspirazioni inconsce verso il ticchettio elettronico, verso l'efficienza, la prontezza, l'energica immediatezza così carenti nella vita italiana. E' un espediente comune alle tribù primitive e agli Stati totalitari: si ripete infinitamente, ossessivamente, una parola, per evocare, suscitare, rendere credibile, reale, ciò che non esiste. O che è addirittura l'opposto della realtà. Intelligentemente perfezionato, quel magico «scattare» ci può portare lontano: l'espresso da Roma sta scattando verso Torino con un ritardo di 120 minuti: è scattato il rinvio siile die dei restauri a Pompei: scatta domani l'abbandono alle intemperie del duomo di Orvieto: scatterà in aprile la chiusura a mesi alterni di tutti i musei e le biblioteche nazionali. Non c'è limite alla suggestionabilità della gente. Non c'è limite, come sa anche l'ultimo stregone, al potere occulto delle parole. E il ridicolo scatta sempre tardi, e per pochi. Carlo Frutterò Franco Lucentini

Persone citate: Achille Starace, Bach, Carlo Frutterò, Flaubert, Foscolo, Gabriele D'annunzio, Hermann Hesse

Luoghi citati: Cadore, Italia, Pompei, Roma, Torino