Tessili: l'Asia accusa l'Occidente

Tessili: l'Asia accusa l'Occidente A GINEVRA I NEGOZIATI PER L'ACCORDO «MULTIFIBRE» Tessili: l'Asia accusa l'Occidente Fino alla prossima primavera a Ginevra si parlerà di tessili: c'è da rinnovare l'accordo Multifibre che vede da una parte i Paesi industrialmente avanzati e dall'altra quelli in via di sviluppo, nella veste, i primi, di importatori. In quella di esportatori i secondi. L'accordo Multifibre entrò in vigore il primo gennaio 1974 ed ha regolato, finora, le quote di prodotti tessili che dall'Asia giungono in Europa e negli Stati Uniti. E' una questione spinosa, i negoziati saranno difficili soprattutto per le spinte, oggi molto forti in presenza di una fase recessiva nell'economia, che provengono dai due fronti. Sul tappeto delle trattative ci sono numerose preoccupazioni: l'occupazione, l'equilibrio della bilancia commerciale, i principi del libero scambio, i costi delle materie prime. Un solo dato riassume l'enorme importanza delle conversazioni di Ginevra: il settore tessile è al terzo posto tra i capitoli di spesa dell'europeo medio. E' un settore, quello tessile, soggetto a cicli veloci e strani. I termini dell'eventuale intesa tra esportatori e importatori, ossia ■ tra Est e Ovest, si collocano sotto una luce simile a quella evidenziata cinque anni fa quando il cosiddetto "manifesto" delle industrie della Cee affermava che 'il settore attraversa la più grave crisi nella sua evoluzione del dopoguerra». Oggi come allora industriali e sindacati europei, che sono alleati sulle cose da difendere, rifiutano la prospettiva di dover abbandonare il settore tessile, per ragioni, se non altro, di sicurezza sociale. Singolare può apparire la posizione dei sindacati, facilmente accusabili dai colleghi del Terzo Mondo di protezionismo e dai colleghi Cee che si occupano del macchinario tessile, destinato in gran parte ai Paesi in via di sviluppo. Le cifre sono controverse e analizzabili con estrema difficoltà dal momento che esiste un notevole intreccio di situazioni. Si calcola che la Cee importa per abitante circa 25 mila lire annue in tessuti e confezioni da Paesi terzi. Questa somma è destinata a raddoppiare allorquando il prodotto arriva al consumatore finale. Le cose si complicano per l'osservatore se si tiene conto che gli scambi all'interno della Comunità sono, nel settore, quasi doppie. Esiste poi una sorta di «trappola statistica» costituita dalle spedizioni da un Paese europeo all'altro di merce prodotta dal Terzo Mondo. In dieci anni, dicono i sindacati europei, il numero dei lavoratori occupati nel tessile-abbigliamento nei Paesi della Cee, si è ridotto di oltre un milione di unità. E continuano: «Se il processo di penetrazione delle importazioni dai Paesi terzi continuerà a questo ritmo, l'occupazione rischia di subire una contrazione a tassi del 10 per cento l'anno». Attualmente il 30 per cento circa dei consumi tessili della Comunità sono «coperti» dalle importazioni provenienti da Paesi terzi. Ci sono alcune previsioni di crescita: quelle più ottimistiche parlano di un 20%. quelle più pessimistiche di un 30%. In base ad alcuni studi, nel 1981 dovrebbero perdere il posto, in Europa, circa 350 mila lavoratori. In Italia, nel novembre scorso, erano in cassa integrazione circa 40 mila lavoratori del tessile, con cinquanta aziende sotto la minaccia della chiusura. Tra le altre cose, nel prossimo accordo il commissario Cee per l'industria. Etienne Davignon. vorrebbe includere anche il settore cuoio. Lo ha detto a Firenze, in occasione del congresso mondiale di questo settore. In Italia l'abbigliamento in pelle va abbastanza bene, ma è interessato da vicino dai prodotti dei Paesi in via di sviluppo a causa dei bassi costi produttivi di questi ultimi e dal loro più facile accesso alle materie prime. Ma è tutta colpa dei Paesi in via di sviluppo? Non è forse che l'Occidente scarica i suoi problemi all'esterno e dimentica troppo spesso cause più interne? E' una domanda che sta in piedi ed è lecito porsi sia in base alle controaccuse dell'Oriente esportatore, sia in base a studi sull'evoluzione del settore compiuti da esperti occidentali. Pf»centemente è stato distribuito uno studio nel quale sono riassunte le opinioni di 14 associazioni che rappresentano l'industria tessile e dell'abbigliamento di Hong Kong, industria che occupa 360 mila lavoratori, cioè il 41,5% della manodopera manufatturiera. Se si tiene conto di quest'ultimo dato , si comprende che la preoccu¬ pazione circa l'occupazione non è solo di appannaggio europeo. Hong Kong fa sapere agli occidentali che la possibilità di diversificare la sua produzione è assai limitata a causa della penuria (e dei costi elevati) di terreni industriali e dalla mancanza di materie prime. In questo studio vengono elencate alcune considerazioni che in un certo senso fanno da contrappeso alle accuse dell'Occidente. La prima: malgrado il tasso di crescita più rapido nelle esportazioni di tessili e confezioni provenienti dai Paesi in via di sviluppo rispetto a quello dei Paesi industrialmente avanzati, il commercio mondiale dei tessili continua ad essere dominato da questi ultimi. Nel 1977 la quota di export tessile mondiale apparteneva per il 73,4% ai Paesi sviluppati, per il 24.4% a quelli in via di sviluppo. Significativo poi è il fatto che. sempre nel '77, più del 75% delle esportazioni di tessili verso i Paesi sviluppati proveniva da altri Paesi sviluppati, solo il 24,5% dalle nazioni meno ricche. La seconda: tra il 1968 e il '75 le importazioni di confezioni provenienti dai Paesi in via di sviluppo rappresentavano meno del 7.5% del consumo totale negli Usa. Canada. Europa e Giappone. Una proporzione assai piccola, dunque. La terza: i Paesi in via di sviluppo, se sono esportatori di tessili, sono importatori di meterie prime e di beni di in.vestimento essenziali alla Pier Mario Fasanotti (Continua a pag. Il in quinta colonna)

Persone citate: Etienne Davignon, Pier Mario Fasanotti