Sindacati e partiti di Mario Salvatorelli

Sindacati e partiti Sindacati e partiti Partecipazione e regolamentazione dello sciopero: impegni degli Anni 80 IL NUOVO ANNO si è iniziato in Italia all'ombra di due bandiere. Se esse indicano due grossi impegni da affrontare e risolvere, meritano di sventolare tra la più viva e consenziente attenzione generale. Ma se dovessero portare a una confusione degli impegni e degli schieramenti, esse potrebbero costituire un nuovo ostacolo al nostro sviluppo economico e sociale. La prima bandiera è quella della «partecipazione» del sindacato alla politica economica, vedremo poi se a livello nazionale, di settore, aziendale, oppure a tutti e tre i livelli insieme. La seconda bandiera è quella della regolamentazione dello sciopero, da considerare sempre come un «diritto» — ciò che è fuori discussione — ma non più come una «libertà» senza limiti, come non lo sono il diritto alla proprietà, all'istruzione, al lavoro. Si tratta, caso mai, di vedere da chi questi limiti debbano essere definiti, cioè se sia possibile e sufficiente la cosiddetta autoregolamentazione, oppure se sia necessaria una legislazione, decisa al di fuori delle parti sociali, anche se con il loro consenso. Sono, entrambe, bandiere tanto più necessarie in quanto, come ricordava nello scorso novembre un «manager» dell'industria privata, «i costi della contrattazione in Italia hanno raggiunto livelli insostenibili per tutti: parti sociali, cittadini, governo, provocando un enorme spreco di risorse della collettività, che nessuno può permettersi più». I problemi giunti a maturazione in questo inizio di un nuovo decennio — e a un punto tale di maturazione che autorizza a parlare di «svolta» — sono complessi, ma non così complicati da scoraggiare in partenza chi è chiamato a risolverli, a meno che preferisca l'alibi dell'impossibilità all'impegno della soluzione. C'è anche un altro, e più falso alibi, per un altrettanto falso problema. E' quello della confusione dei ruoli tra parti politiche e parti sociali, tra chi era abituato a ragionare in termini di variabili indipendenti», e all'improvviso si mette a discutere di conduzioni aziendali, e chi faceva per mestiere l'esploratore di nuove vie. e all'improvviso vuole interferire sui «tempi» di lavorazione in un'azienda moderna, o che tenta di essere moderna. Due episodi possono fornire due esempi per spiegare, ma non certo chiarire, la confusione dei ruoli, e per individuare la «svolta» che il nuovo anno si trova ad affrontare. Il primo è il prelievo dello 0.50 per cento dalle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, il secondo è la vertenza Fiat che ha caratterizzato, fino al punto di diventare emblematica, il passaggio dal vecchio al nuovo decennio. Con il prelievo dello 0,50 per cento, secondo l'accordo tra governo e sindacati raggiunto in quella notte dei primi di luglio, che fu «lunga» ma non abbastanza per motivi stagionali, il sindacato intendeva avviare una sua concreta partecipazione alla distribuzione delle risorse, quindi alla politica economica del Paese. Ma il sindacato ebbe poche ore di tempo per presentare questo avvio, per innalzare questa nuova bandiera, perchè il partito comunista organizzò subito un'offensiva, prima che la «base» sindacale potesse comprendere la prima «lezione». E' storia nota: le assemblee aziendali e di piazza, la contestazione, anche violenta, degli esponenti sindacali, il rinvio del progetto a data da destinarsi. II 1981 ha portato qualcosa di nuovo anche in questo episodio di confusione dei ruoli, del resto abbastanza prevedibile, se non ci si lascia incantare dalle acrobazie euro-riformiste. E' di questi giorni, infatti, una correzione di tiro del pei nei confronti dello «0,50 per cento». Ma, se pure di correzione si può parlare, questa avviene con molto giudizio, e cioè nella direzione di ridurre al minimo, quasi di esau- torài-è, la presenza del sindacato, sia nel varo, sia nella gestione del fondo di solidarietà. Con la vertenza Fiat si è avuto un altro svuotamento, fin dal suo nascere, di un timido accenno di partecipazione del sindacato ai problemi economici nazionali. In questo episodio si trattava di una partecipazione a livello aziendale, al massimo settoriale — il «piano auto» era dietro l'angolo — e più nel senso di presa di coscienza dei problemi reali che di vera politica economica. Anche in questo caso ci fu una confusione di rudi. Il partito comunista intervenne, prese in contropiede i primi accenni di accordo, si sostituì al sindacato nel ruolo di «parte sociale». Senza la marcia dei 40 mila, dopo la quale il pei si trovò preso fra due fuochi, la base e il vertice sindacale, la vertenza sarebbe finita — ammesso che lo fosse — in modo probabilmente meno favorevole per i lavoratori. Di fronte a questi episodi, ci si può chiedere se il nostro Paese non stia vivendo le stesse esperienze difficili della Polonia, ma allo specchio, e cioè rovesciate. Là c'è il tentativo del sindacato di rendersi autonomo dalle forze politiche, che in Polonia si riassumono in quella comunista. In Italia c'è il tentativo delle forze politiche, e in particolare di quella comunista, di sostituirsi al sindacato. Non contrasta, anzi rafforza questa interpretazione dei fatti, la richiesta del partito comunista, avanzata in questi giorni, di far partecipare il sindaca'o al «piano auto». E' un'altra dimostrazione che il pei vuol parlare per conto e al disopra del sindacato, vuole imporsi come unico, autentico interprete delle esigenze dei lavoratori. E questo proprio nel momento in cui il sindacato, alzando la bandiera della partecipazione, dimostra di voler farsi carico delle esigenze non solo immediate, ma di più lungo termine, del mondo del lavoro, nel quadro dei problemi economici generali del paese. Mario Salvatorelli

Luoghi citati: Italia, Polonia