Roma smantella la «via dell'Impero» di Vittorio Gorresio

Roma smantella la «via dell'Impero» PER RIMEDIARE AL MASSACRO URBANISTICO E ARCHEOLOGICO DEL FASCISMO Roma smantella la «via dell'Impero» Doveva essere una strada «diritta come la spada di un legionario», adatta alle parate militari - Il Colosseo degradato alla funzione di paracarro monumentale - L'asfalto nascose ciò che gli archeologi avevano riportato per un momento alla luce «I monumenti millenari devono giganteggiare nella necessaria solitudine», aveva proclamato Mussolini il 31 dicembre 1925 insediando in Campidoglio il primo governatore di Roma, Filippo Cremonesi, al quale cosi dava la consegna dei grandi sventramenti da operare nel centro storico della città chiamata allora, di preferenza, Urbe. L'idea comunque era ancora approssimativa e semplicistica. Nella prima relazione ad un progetto del 1931 si parlava genericamente di un'arteria che «attraversa i Fori imperiali, costeggia la basilica di Costantino (Massenzio), raggiunge il Colosseo, e per mezzo di un ampio vialone largo in media 60 metri, sbocca a Sali Giovanni». Non era dire alcunché di preciso, emergeva soltanto una grande voglia di far piazza pulita, e come osserva in un suo bel libro Antonio Cederna («Mussolini urbanista»; «mai operazione urbanistica di sventramento venite condotta con maggiore sprezzo dei dati elementari di conoscenza e di cultura». L'ampio e lungo vialone (900 metri) che sarebbe poi stato denominato Via dell'Impero, e di cui oggi si prevede la cancellazione per motivi di interesse tanto urbanistico quanto archeologico, fu realizzato nel corso di un anno, in un succedersi di improvvisi ripensamenti e contraddizioni imposti anche dalla ristrettezza del tempo. Bisognava ultimare la grande opera del regime entro la data del 28 ottobre 1932, decennale della marcia su Roma, onde gli scavi furono condotti, ha scritto l'archeologo Filippo Coarelli, «in maniera affrettata, caotica, sotto un impulso tutt'altro che scientifico»: e il risultato fu che la superficie dei Fori visibile prima degli sventramenti era superiore a quella rimasta scoperta a lavoro compiuto. Complessivamente, i Fori imperiali si estendevano su un'area di oltre 80 mila metri quadrati: ne furono scavati circa 76 mila, ma riseppelliti 64 mila. I ruderi lasciati in mostra rappresentano solo il 15 per cento di quanto avevano costruito gli imperato- ri, e in questo modo la gettata di calcestruzzo e asfalto di via dell'Impero valse a nascondere sotto un scorza più dura quasi tutto ciò che gli archeologi del regime avevano per un breve momento riportato alla luce. Ma il grande impegno era congiungere piazza Venezia con il Colosseo grazie a una strada che si doveva tracciare «diritta come la spada di un legionario», e il 6 settembre 1932, cadute le ultime case tra il Foro d'Augusto e quello della Pace, ecco l'evento auspicato: *La visione del Colosseo è apparsa per la prima volta in fondo alla nuova strada», annunciava in trionfo «Il Giornale d'Italia». Mussolini va a visitare i lavori e proclama: «Roma ha ora, al suo centro, la strada veramente adatta per le sue grandi parate militari, finora confinate alla periferia e incampagna». Questo la dice lunga sui motivi ispiratori del massacro urbanistico perpetrato, da cui esulava ogni serio interesse archeologico. Il Colosseo, commentarono i giornali, «ritorna ad essere lo stupendo nodo stradale che era nell'antichità», in questo modo degradato alla funzione di paracarro monumentale «fi vecchio gigante s'è scrollata di dosso l'antica solitudine e s'è messo a far da perno alla circolazione rotatoria delle automobili, che quasi sfiorano con i loro pneumatici le pietre venerandedella Via Sacra». Altro che «giganteggiare nella necessaria solitudine» come aveva enunciato il Mussolini del 1925! Il povero vecchio anfiteatro Flavio era ridotto a colonnina spartitraffico. Le conseguenze sono note, essendo oggi minacciata la statica stessa del Colosseo dalla circolazione motorizzata, ma a quei tempi nessuno si prospettava il problema, e narrano le cronache che il 28 ottobre 1932, fatidica ricorrenza del decennale, una colonna di mutilati a passo celere, nonostante le sofferte mutilazioni, scese dal colle del Quirinale verso l'Altare della Patria in piazza Venezia: «In testa cavalca Mussolini, mutilato fra i mutilati S'arresta all'ingresso della diritta strada. Il governatore su un piatto d'oro gli porge un paio di cesoie. Il Duce, dominando il cavallo nervoso che sembra impaziente di lanciarsi al trotto per la nuova strada, taglia quel nastro. E' la nuova Via Sacra della nazione fascista». In un empito lirico il poeta Vincenzo Cardarelli quel giorno scrisse che via dell'Impero «potrebe anche dirsi via del Consenso». Evidentemente mancava di tener conto dello stato d'animo delle vittime umane di tanto sventramento. Demoliti 608 appartamenti per 2203 vani complessivi, 746 famiglie composte da 1886 persone erano state trasferite o deportate nelle maledette borgate di Val Melaina, Tormarancia e Primavalle dove sarebbero rimaste a marcire emarginate, sradicate dal loro vecchio ambiente di vita e di lavoro. Ma altre erano le cifre che la stampa forniva: ci si gloriava dell'asportazione di 300 mila inetri cubi di roccia, terra e ruderi, e sema timore del ridicolo si parlava di materiali di risulta convogliati a colmare «le bassure già malariche della via Ostiense». Cederna annota con sarcasmo: «La malaria combattuta con la polvere di Roma antica: è una delle cose più straordinarie di quell'epoca insarui». Non a questo comunque, si limitava il grottesco. Se da una parte si parlava di demolizioni operate «dall'imperatore scalpello elettrico crepitante come una mitragliatrice», per altro verso si arrivava a veri e propri vaneggiamenti. . Nel corso dei lavori accadde un giorno di trovare fra il Colosseo ed il tempio della Pace residui preistorici: parte di un cranio ed una zanna lunga tre metri di un elephas antiquds, una mascella di .ippopotamo, frammenti di corna di cervo, ossa di bue primigenio. Antonio Munoz, direttore delle belle arti e antichità al governatorato di Roma, stolidamente disse: «Qui, sotto la collina della Velia, era il giardino zoologico della Roma preistorica». E' abbastanza ridicolo, ma c'è di più. Su «Capitolium» non esitava a scrivere G. Marchetti Longhi: «Non pare strano e di ben significativo presagio che qui, nella conca del Foro che sarà il centro di un impero mondiale, spontaneamente giungessero ancor vivi, o tanto mag- gioremente a caso fossero trasportati dalle acque, animali delle più lontane parti del mondo, fin dove giungeranno il nome e la forza di Roma?». Ogni decenza di cultura era così superata e non sorprende che a gara si qualifi- ■ casse via dell'Impero come un luogo di esercizi spirituali. Giulio Quirino Giglioli ammoniva: «Non si pretenda di farne un giardinetto pubblico dove si va a cianciare e a leggere il giornale». Il già citato Marchetti Longhi intimava ancor più seccamente: «Niente coppie né bambini col secchiello». Scolari, militi e cittadini dovevano recarvisi in reverente pellegrinaggio, e a giudizio di Munoz c'era da rallegrarsi della circolazione ripristinata attraverso i Fori: sarebbe valsa a «costringere chi va per i suoi affari a soffermarsi per un momento, quasi suo malgrado, dinnanzi alle grandi memorie del passato». L'itinerario neoimperiale fu percorso poi da Hitler nel maggio 1938 in occasione della parata militare in onore «dell'ospite germanico rinnovellatore della nazione tedesca», e sei anni dopo dalle colonne motorizzate americane del generale Clark. Ora è tempo di chiuderlo, non solamente per disperdere gli auspici funesti ma nell'interesse congiunto della archeologia seria e della moderna urbanistica. Vittorio Gorresio Una veduta della zona archeologica (Da «Qui Roma», Touring Club Italiano) La via dei Fori durante uno sciopero dei mezzi pubblici

Luoghi citati: Roma, Urbe