Un grosso «fronte» in Spagna voleva la caduta di Suarez

Un grosso «fronte» in Spagna voleva la caduta di Suarez Le improvvise dimissioni del premier di Madrid Un grosso «fronte» in Spagna voleva la caduta di Suarez Esercito, sindacati, gerarchia cattolica e lo stesso suo partito gli erano ormai ostili - Una carriera politica rapidissima: da fedele di Franco a «enfant prodige» della neo-democrazia spagnola Adolfo Suarez ha gettato la spugna con un gesto da grande hidalgo. Doveva arrendersi già da tempo, in quanto il logorante confronto con /'establishment spagnolo, spalleggiato nell'ostracismo al primo ministro dall'esercito, dai sindacati, dalla gerarchia cattolica e per ultimo dalla stessa maggioranza dello schieramento politico che lo aveva portato al potere, non gli lasciava che poche speranze di sopravvivenza. Ha resistito invece per mesi, affrontando a testa alta le critiche e le rampogne di una stampa cui non sembrava vero di poter affossare l'ex enfant prodige del dopofranchismo. Ha subito con umiltà brucianti sconfitte elettorali, ha promesso riforme audaci, si è preparato infine con determinazione alla battaglia più difficile, il congresso dell'Unione del centro democratico, il test decisivo sulla tenuta del governo. Sulla carta partiva battuto. Dei 1800 delegati che ieri avrebbero dovuto confluire a Palma di Maiorca, oltre 700 avevano sottoscritto un documento, voluto dai democristiani e dai liberali, con cui chiedevano la «democratizzazione» del partito, in pratica il ridimensionamento dell'influenza esercitata finora da Suarez in seno all'Ucd. Era la sconfessione aperta e diretta dell'operato del premier e l'invito a dimettersi dalla doppia carica di Capo del governo e del partito. L'ala socialdemocratica dell'Ucd, sempre pronta a denunciare i pericoli di uno spostamento a destra se fosse passato il «gran rifiuto» del gruppo liberale, aveva fatto quadrato attorno a Suarez. disposta persino, pur di salvarlo, a stringere un'alleanza, tattica e temporanea, con la fazione dei nostalgici, degli ex falangisti. Mentre i giochi parevano fatti, e neppure la promessa di procedere ad un rimpasto ministeriale, per far posto agli oppositori interni, poteva risultare sufficiente per evitare il voto di censura del congresso, uno sciopero selvaggio dei controllori di volo salvava Suarez. Il blocco del traffico aereo, isolando le Baleari, impediva ai delegati di raggiungere l'isola e nel giro di poche ore il primo ministro decideva, anche se con il fiato grosso, di rinviare il congresso. A 24 ore di distanza, quando Suarez sembrava aver rovesciato a suo favore una situazione disperata, le dimissioni, precedute da un lungo colloquio con re Juan Carlos. Sebbene attese, esse hanno avuto l'effetto di una bomba e la motivazione ufficiale («Mi sono dimesso per ragioni strettamente personali») non ha mitigato la sorpresa. Ci si chiede ora cosa abbia indotto Suarez a ritirarsi dopo aver dato l'impressione di voler superare a ritirarsi dopo aver dato l'impressione di voler superare il fuoco concentrico delle accuse di malgoverno, specie per il modo debole e inconcludente con il quale aveva contrastato le «tre sfide» spagnole: terrorismo, crisi economica e autonomia regionale. Nello scontro con l'Età il governo era uscito clamorosamente battuto, inabile, nonostante l'imponente dispiego di forze, ad evitare 110 assassina politici nel 1980, quasi un morto ogni tre giorni. Di conseguenza era anche fallito in parte l'ambizioso disegno di concedere maggiori autonomie locali al punto che l'Unione di centro si era vista sonoramente punita nelle elezioni regionali dell'Andalusia, della Catalogna e delle province basche. Infine l'economia, disarticolata da un'inflazione vicina al 20 per cento, con oltre un milione e mezzo di disoccupati. resa ancora più zoppicante per il calo delle rimesse degli emigranti e degli introiti del turismo. Eppure Suarez aveva gestito con polso fermo il complicato passaggio dalla dittatura alla democrazia. A molti non sembrava l'uomo adatto alla transizione: era stato all'origine un fedelissimo di Franco, aveva ricoperto incarichi di prestigio in seno al Movimiento; poi, con un voltafaccia giudicato dagli amici un tradimento, era passato dall'altra parte, spianando la strada verso la nuova Costituzione e l'ingresso alle Cortes delle principali forze sociali- del Paese. Con l'investitura a primo ministro, il 3 luglio 1976, quattro anni e mezzo di verifiche e confronti che hanno finito per logorare l'uomo, il politico, l'economista e soprattutto l'aspirante riformista. E' difficile comunque ipotizzare che il ritiro sia definitivo e non è escluso che già la prossima settimana Suarez ritenterà la riconquista del partito per riproporsi a salvatore della patria. Piero de Garzar olii Madrid. Il premier spagnolo Suarez e re Juan Carlos (Tel.)

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