La conferenza islamica di Taïf pietra tombale di Camp David di Igor Man

La conferenza islamica di Taïf pietra tombale di Camp David Uniti dall'odio per Israele 38 Paesi lacerati La conferenza islamica di Taïf pietra tombale di Camp David La «guerra santa» rischia, proprio per le divisioni, di restare una dichiarazione di intenti - Ma la caduta dell'«opzione giordana» e la consacrazione dell'Olp mettono in crisi Tel Aviv (e Reagan) - Le prospettive di Sadat, grande assente DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TAIF — La preghiera Fatiha. suggerita da re Hassan del Marocco, ha chiuso alla mezzanotte e quaranta minuti di ieri il Terzo vertice islamico. Seguendo la voce cantilenante di ulema, compunti, i trentotto protagonisti della Conferenza hanno recitato parole di ringraziamento, professato la loro fede musulmana per sottolineare una «illuminante coincidenza»: il summit si è tenuto all'alba del quinto secolo dell'Egira, nel mese di nascita di Maometto. Si legge nel Corano: «Abbracciate la religione divina in tutta la sua ampiezza e non siate divisi Pensate ai /avori che Dio ha dispensato a voi tutti. Eravate nemici ed egli ha infuso la concordia nei vostri cuori, così siete divenuti fratelli grazie alla sua bontà». Fratelli in Allah nominalmente, i trentotto capi di Stato, invero divisi in molti di loro da annose rivalità, avvelenati da rancori profondi, ancora una volta altro elemento di coesione non hanno trovato se non l'odio verso Israele. L'odio per il nemico sionista: ecco il cemento che a Tal'f, come già a Rabat e a Islamabad, per non risalire troppo indietro nel tempo, tiene insieme uomini come il siriano Assad e l'iracheno Saddam Hussein, l'hascemita Hussein e il palestinese Araf at, il re del Marocco Hassan e l'algerino Chadli. Un odio viscerale che nasce da frustrazione, quando non s'alimenta di razzismo. Ma poiché la fraternità non si costruisce certo sull'odio, la jihad, la guerra santa lanciata da Tal'f rischia di rimanere una semplice, ancorché vigorosa, proclamazione di intenti. Sulla Palestina, sul ruolo primario dell'Olp c'è stata unanimità, ma fintanto che Siria, Giordania e palestinesi non riusciranno a coordinare l'azione politica e quella militare — e non è impresa facile — la sospirata liberazione di Gerusalemme, la homeland palestinese rimarranno nella camicia di forza dei sogni. Certo, la jihad potrà comportare, sia pure sulla lunga distanza, disagi economici e problemi politici per Israele e per quei Paesi che non ammettono sia messo in discussione il diritto all'esistenza dello Stato ebraico «entro frontiere sicure e riconosciute». Ma giacché sembrerebbe azzardato pensare che l'Onu possa decidersi ad espellere Israele, il mondo musulmano dovrebbe rassegnarsi fatalmente alla realpolitik, sempre che non riesca a trovare la forza necessaria per affrontare una nuova guerra, con tutte le incognite, affatto pericolose, che ne deriverebbero. Mancato l'obiettivo di sanare la piaga della guerra fra Iran e Iraq, che più tempo passa, più minaccia di destabilizzare la nevralgica area del Golfo; annacquata, per comporre le divergenze interne, la «condanna» dell'Urss, il Terzo vertice islamico, in definitiva, ha registrato un unico successo sul piano politico e, diremo, operativo. Codesto successo si deve alle pressioni esercitate con perseveranza dall'Arabia Saudita (che tiene i cordoni della borsa) su re Hussein di Giordania. Il 27 gennaio, il «piccolo re». col suo discorso, ha fatto a pezzi la cosiddetta «opzione giordana» per riaffermare come valida solo quella palestinese. Cosa può comportare il gran rifiuto di Hussein a porsi quale interlocutore di Israele (cosi come auspicavano gli Stati Uniti) in una trattativa volta a comporre la questione palestinese? Difficoltà non indifferenti per il nuovo governo israeliano, anche di carattere interno, innanzitutto, e, last but not least, la necessità per il presidente Reagan di inventare una nuova politica mediorientale che tenga conto di quella realtà, seppure «scomoda», che è il popolo ' di Palestina. l'Olp. La denuncia, ancorché platonica, della risoluzione 242 dell'Onu, infine, potrebbe diventare la pietra tombale di Camp David. Ovviamente Sadat (uno dei grandi assenti con Khomeini) si ostinerà a rincorrere la sua pace, ma essa, giustappunto, rimarrà una pace monca, non globale. E questa medesima pace è ancora di là da venire. Bisognerà attendere almeno fino al prossimo ottobre, e. nel frattempo, potrebbero accadere fatti nuovi e drammatici: un attacco dell'Egitto a Gheddafi, la caduta di Saddam Hussein o del regime khomeinista con conseguente guerra civile, la catarsi della tragedia libanese che il presidente Sarkis con un nobile, disperato discorso ha prefigurato dalla tribuna del vertice islamico. Jihad o non jihad, un fatto è sicuro: la Terza conferenza islamica ha aperto un nuovo inquietante capitolo nella storia del vicino Oriente. Tra spinte e controspinte, una serie di rapporti già consolidati fra Terzo Mondo e Occidente rischiano di sfasciarsi, le rivalità tra musulmani di inasprirsi, mentre il peso dell'isolamento potrebbe, alla fine, portare Israele a reagire con la forza. Igor Man Taif. Il leader palestinese Yasser Arafat durante il suo intervento alla conferenza islamica