Bomba islamica e rischio nucleare nel M.O. di Renato Proni

Bomba islamica e rischio nucleare nel M.O. Timori Nato sulla possibilità di forniture d'uranio cinese a Iraq e Pakistan Bomba islamica e rischio nucleare nel M.O. DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — L'-arco della crisi» che, nella definizione di Brzezinski, va dal Vicino Oriente al Pakistan, sta per diventare una zona nucleare. E' uno dei principali problemi mondiali, un salto terrificante nella prospettiva di conflitto atomico, anche se raramente se ne parla e se le notizie che circolano negli ambienti della Nato e sulle pubblicazioni specializzate non trovano mai una conferma ufficiale. In questi giorni, si parla di due sviluppi: l'appoggio finanziario dell'Arabia Saudita alla produzione di un ordigno termonucleare pakistano (la -bomba islamica») e l'impegno di Pechino di vendere all'Iraq circa 50 chilogrammi di uranio arricchito, con cui sarà possibile fabbri¬ care due bombe nucleari. Sia l'uno che l'altro accordo alterano gli equilibri strategici nella regione e in un certo senso anche quelli internazionali, poiché sarebbe la prima volta che il governo cinese vende materiale atomico ad un Paese straniero, per lo più in guerra. Mentre Jimmy Carter faceva della non-proliferazione nucleare un punto di riferimento della sua politica verso il mondo in via di sviluppo, assieme a quello dei diritti umani, le nazioni islamiche che si sentono minacciate dai vicini, come l'Arabia Saudita e il Pakistan, o che ambiscono ad un ruolo egemone nella loro regione, come l'Iraq, cercano attivamente di dotarsi di una minuscola forza d'urto nucleare, poca cosa per difendersi realmente ma mol¬ tissimo per innescare una reazione a catena di portata apocalittica nel peggiore dei casi. Il fatto più sorprendente è ohe la Cina, sfruttando le difficoltà sorte nei rapporti tra Baghdad e Mosca, sia disposta a rinunciare alla sua tradizionale cautela in politica estera e in materia nucleare. Pechino, si commenta, vuole avere un ruolo nel Medio Oriente, dopo gli Usa e l'Urss, e la fornitura agli iracheni di uranio arricchito per fabbricare due bombe atomiche deve sembrargli il metodo più diretto ed efficace. L'accordo finale non è stato ancora firmato, ma si sa che 50 chilogrammi di uranio sono destinati al reattore che è in via di costruzione nei pressi di Baghdad. Anche il progetto di bomba nucleare del Pakistan sarà realizzato con i proventi dell'alto prezzo del petrolio: l'Arabia Saudita è pronta a spendere 800 miliardi di lire perché l'Islam abbia la sua -bomba», a patto che il leader libico Gheddafi, che è stato il primo fautore di quest'arma in mano ai pakistani ai tempi di Ali Butto, e il capo iracheno Saddam Hussein siano esclusi dal progetto. Un accordo preliminare sarebbe stato già firmato tra Yamani per l'Arabia Saudita e il ministro degli Esteri pakistano Agha Shahi. Quando anche l'Iraq e il Pakistan avranno ordigni atomici, pochi, rozzi ma micidiali, ci sarà, in effetti, una superiorità strategica di certe nazioni in via di sviluppo sui Paesi singoli del fianco Sud della Nato. La risposta non è il riarmo atomico dell'Italia, o della Grecia o della Turchia, tuttavia verranno a cristallizzarsi nuovi blocchi di potere, anche economico-petrolifero, nei confronti dei quali le nazioni europee che si affacciano sul Mediterraneo avranno scarsa influenza. Il gioco si farà più ristretto e pericoloso anche per l'America e la Russia. Ma non è stato Israele ad aprire la corsa all'atomica «casalinga»? L'effetto politico potrebbe — nella migliore delle ipotesi — essere quello di congelare le dispute (come è avvenuto tra le grandi potenze) poiché l'alternativa è eccessivamente penalizzante. Ma l'Associazio ne degli scienziati atomici occidentali ha spostato proprio la settimana scorsa la lancetta dell'-orologio nucleare» a quattro minuti a mezzanotte. Renato Proni

Persone citate: Agha, Brzezinski, Gheddafi, Jimmy Carter, Saddam Hussein, Timori Nato, Yamani