Esploratori dei nostri guai di Paolo Garimberti

Esploratori dei nostri guai I MASS MEDIA DEGLI STATI UNITI DI FRONTE AL CASO ITALIANO Esploratori dei nostri guai Brancoli racconta come venti giornali hanno seguito gli eventi degli ultimi cinque anni Un anno fa, di questi tempi, trascorsi quindici giorni negli Stati Uniti, tra Washington e New York, redazioni di grandi giornali, istituti di ricerca politica e uffici dalla moquette ocra al Dipartimento di Stato. Lessi con scrupolosa attenzione, ogni giorno, due tra i maggiori quotidiani, il New York Times e la Washington Post: In due settimane trovai due notizie di dieci righe sull'Italia, più un lungo necrologio di Nenni nelle pagine degli obituaries. Incontrai un editorialista specializzato nell'Europa mediterranea: confessò che ignorava l'esistenza di due tra i principali giornali italiani, che uscivano ormai da quattro anni. Ogni sera guardavo le news televisive della Cbs. della Nbc e dell VI oc. Sentii menzionare l'Italia una sola volta, il 31 dicembre 1979, tra la Thailandia e il Kenya, come uno dei Paesi nel mondo dove, nell'anno, c'erano stati cambiamenti di governo. Ripartii con la domanda con la quale ero arrivato, senza risposta (e non era il mio primo viaggio americano). Qual è, quantitativamente e soprattuttoqualitativamente, l'attenzione dei mass media americani alla situazione italiana? E in quale misura politici, studiosi, giornalisti, «operatori» diplomatici riescono a comprenderla nella sua complessità? " Ho finalmente trovato la risposta — anzi le risposte, esaurienti e articolate — in un libro di Rodolfo Brancoli. Spettatori interessati (ed. Garzanti), che acquista tra l'altro attualità di documento in questo momento in cui un nuovo presidente è appena arrivato alla Casa Bianca e la nomina del suo ambasciatore di fiducia a Roma fa fiorire una serie di speculazioni e di nomi, che — cada poi la scelta sull'uno o sull'altro — indicano comunque, per il loro prestigio esperienza e professionalità, l'importanza che la nuova amministrazione attribuisce all'Italia: da Robert Barbour a George Vest, da John Scali a Walter Stossels (e speriamo che poi Reagan non smentisca e deluda in¬ viando, per saldare debiti elettorali, un'ex stella del cinema o un miliardario dei surgelatori). Dal libro di Brancoli (come egli stesso lo definisce «una cronaca americana degli eventi che l'Italia ha vissuto tra il 1975 e il 1980» attraverso una attenta, certosina ricerca compiuta su nove quotidiani e undici periodici americani) emergono due essenziali indicazioni. La prima è che c'è un netto divario tra la conoscenza e l'analisi dell'Italia dei maggiori organi di informazione e le valutazioni approfondite degli specialisti. La riunione, descritta nel primo capitolo, del 25 giugno 1979 nella sede del Washington Center of Foreign Policy Research, dedicata ai risultati delle elezioni svoltesi all'inizio del mese, insegna come il caso italiano sia studiato dai politologi con l'apprùfondita attenzione che si può riservare a un interessantissimo modello da laboratorio. Mentre i giornali ameri¬ cani tendono a scoprire l'Italia soprattutto quando il pei sembra vicino al clamoroso sorpasso e allora la stampa americana si produce in quello che Brancoli definisce un •ammirevole sforzo per colmare un gap conoscitivo di alcuni lustri». Dopo le avvisaglie delle «amministrative» del '75, per le elezioni del '76 gli inviati americani calano a frotte su Roma in attesa della notiziabomba del «sorpasso». E se qualcuno, come Jo Kraf t, vecchio navigatore del mondo e dell'Europa, dimostra notevoli sensibilità e preveggenza, altri denotano una preoccupante superficialità d'analisi: come quell'inviato della Washington Post, che, visitando il palazzo di via delle Botteghe Oscure, «non trova affatto rassicurante che, dopo il 20 giugno, l'Alleanza occidentale possa avere a che fare con persone che "tengono il ritratto di Lenin alla parete"». La seconda indicazione, che Brancoli ci offre, è che ogni- qualvolta il pei si avvicina troppo pericolosamente all'area di governo, che la stampa americana se ne «innamora» come di un nuovo giocattolo, e che gli specialisti dei «serbatoi di pensiero» prendono a discutere se convenga aiutare l'occidentalizzazione del pei con una «linea morbida» o se invece un pei più «duro e leninista» non serva meglio gli interessi americani, il governo degli Stati Uniti interviene in modo molto netto per chiarire Usuo pensiero. Accadde nel settembre 1975, con l'intervista dell'allora ambasciatore John Volpe a Epoca (autorizzata dal Dipartimento di Stato). E accadde nel gennaio del 1978. con la famosa e tanto discussa dichiarazione del Dipartimento di Stato, sollecitata secondo Brancoli dall'ambasciatore Gardner e messa a punto dopo lunghe discussioni tra Vance e Brzezinski. nella quale si ammoniva che gli Stati Uniti non sono « favorevoli» alla partecipazione del pei al governo e, anzi, vorrebbero "Vedere diminuire l'influenza comunista nei Paesi dell'Europa occidentale». C'è, dunque, una definita politica americana sul «caso Italia»? Anche se il cambio della guardia alla Casa Bianca suggerisce prudenza e attesa, c'è, nel libro di Brancoli, una risposta che mi pare buona per tutte le stagioni. E' quella del professor Serfaty: •La politica americana è condizionata dalla percezione delle difficoltà aggiuntive che una politica estera italiana, in parte elaborata dal pei, indipendentemente dal grado della sua evoluzione, comporterebbe per gli interessi americani. Per questo qualsiasi amministrazione continuerà a esprimere una preferenza per il mantenimento dello status quo politico in Italia (...). Afa francamente non è mai stato chiaro "chi usa chi" e cioè se gli Stati Uniti usano la de per impedire al pei di entrare al governo, o se è la de che ha usato gli Stati Uniti per restare al potere». Paolo Garimberti