L'incognita Begin di fronte a Reagan di Arrigo Levi

L'incognita Begin di fronte a Reagan L'incognita Begin di fronte a Reagan (Segue dalla l'pagina) sui poteri amministrativi e legislativi dell'autorità palestinese autonoma: misure sul diritto di voto dei palestinesi residenti a Gerusalemme Est. Fatta eccezione per l'ultimo di questi punti (ma anche su questo sono state messe allo studio diverse idee), su tutti gli altri sono stati fatti negli ultimi mesi, dice Linowitz. progressi significativi: perché non andare avanti? L'ultimo ambasciatore viaggiante di Carter fa poi un'altra considerazione, basata sulla psicologia di Begin. Il vecchio premier, che è un politico cocciuto e di grande istinto, non sembra affatto rassegnalo alla sconfitta e. per evitarla, certamente gli gioverebbe poter vantare dei progressi ne! negoziato con l'Egitto, per poter respingere l'accusa che gli viene rivolta dai laboristi di essere un estremista incapace di far pace con i palestinesi. Invece di portare avanti la politica degli insediamenti, che rende impossibile ogni accordo. Begin potrebbe quindi, con un drammatico rovesciamento di posizioni, puntare tutto su una nuova intesa con Sadat. preoccupato a sua volta della possibilità che. una volta uscito di scena Begin e andati al potere i laboristi di Peres. il suo posto nel negoziato venga preso da re Hussein. Questo è lo «scenario l.inowitzi). che lo stesso autore presenta, beninteso, soltanto come un'ipotesi: ma che ha sufficiente fondamento per non poter essere scartato a priori. L'alto personaggio dell'Amministrazione Carter col quale ho discusso questa ipotesi non la esclude: ma indica a sua volta due ragioni che la rendono problematica. La prima è che Begin non può perdere il suo elettorato nazionalista di destra facendo troppe concessioni sui territori occupati. La seconda è che gli uomini nuovi di Reagan (non si sa ancora chi in realtà si occuperà del Medio Oriente) sono troppo divisi tra filoisraeliani e filoarahi per potere concordare presto su una nuova strategia: preferiranno invece guadagnare tempo, aspettando di sapere chi sarà il loro interlocutore israeliano. Begin o Peres. Un ragionamento analogo mi è stato fatto anche da uno degli uomini di Reagan. mollo freddo sull'ipotesi negoziale di Camp David, mollo preoccupato dei rapporti con gli arabi, molto critico di Begin. Quella che egli mi ha esposto è però un'opinione personale, che esprime il punto di vista di una delle due correnti, quella filoaraba. L'altra, che fa capo direttamente al presidente Reagan. è invece vigorosamente filoisraeliana: e non. si badi bene, per ragioni elettorali, ossia per il peso del voto o della finanza ebraico-americana, ma per cause molto più profonde, che i non americani solitamente trascurano ma che sono le vere ragioni dell'atteggiamento filoisraeliano dell'America. Per questo Paese. Israele è un modello di democrazia combattente, una specie di avamposto. di piccola America di pionieri j e di soldati, in cui l'anima calvinista dell'America istintivamente si riconosce e s'identifica. Tutte queste cose Reagan le sente con particolare intensità. Dall'altra parte, la corrente filoaraba lo è per motivi meno profondi, motivi d'interesse: certo importanti (giacché non si tratta soltanto di petrolio ma di equilibri geopolitici, per i quali un'alleanza americano-araba è indispensabile), ma non capaci di scuotere il profondo legame psicologico che lega oggi l'America ad Israele. E poi. è proprio questo legame che dà all'America la possibilità d'influire su Israele, di fre¬ nare Israele, e questo gli stessi arabi lo sanno e lo apprezzano. Se questi sono gli elementi del quadro mediorientale, e se è vero che dovrà esserci una vera e propria prova di forza tra le opinioni contrastanti presenti nel campo di Reagan prima che la strategia della nuova amministrazione venga definita, nei prossimi mesi nel Medio Oriente non dovrebbe accadere molto di nuovo. E tuttavia, non si può dimenticare che una prima volta la situazione si è drammaticamente sbloccata non già per iniziativa americana, bensì di Sadat. col suo storico viaggio a Gerusalemme e con la risposta di Begin. Ed è ancora da un futuro governo laborista israeliano di Peres che la maggioranza degli osservatori si attende una nuova iniziativa capace di sbloccare l'attuale situazione di stallo e di riaprire un dialogo tra Israele e i palestinesi: è tanto impossibile che Begin. vedendo incombere una sconfitta che porrebbe fine alla sua vita politica, possa tentare di sorprendere tutti, di cogliere l'occasione fuggente, di battere sul tempo Peres e forse di strappargli la vittoria elettorale con una svolta moderata nel negoziato di Camp David? Begin è uno statista e un politico astuto: diciamo almeno che una ta¬ le svolta non è al di là della sua portata. Ma non sarà certo l'Amministrazione Reagan a prendere l'iniziativa, anche perché oggi la preoccupazione dominante di Reagan è l'economia americana. Liberati gli ostaggi in Iran, per il nuovo Presidente la politica estera può anche aspettare. Ma in politica, si sa, sogliono accadere le cose più inaspettate, nel momento meno opportuno: e se Begin vedesse l'occasione per riprendere l'iniziativa politica in Israele non se la lascerebbe certo scappare per far piacere a Reagan. Arrigo Levi