In Irpinia torneranno i pastori? di Manlio Rossi Doria

In Irpinia torneranno i pastori? UNO STUDIO DELLA SCUOLA DI PORTICI SULL'AREA TERREMOTATA In Irpinia torneranno i pastori? I grandi complessi silvo-pastorali vanno mantenuti e utilizzati meglio - Ma è necessario, a fianco dell'agricoltura, uno sviluppo industriale - Le proposte di Manlio Rossi Doria «Una regione antica, di antica e solida civiltà... non certo una società avviata all'estinzione», è il giudizio sulla grande area non metropolitana colpita dal terremoto meridionale: quasi 300.000 ettari, 71 comuni nelle tre province di Avellino. Salerno e Potenza, più di 230.000 abitanti. Di coloro che ci vivevano quella sera di due mesi fa, circa 50.000 se ne sono già andati, partiti, ma debbono tornare insieme ad altri, gli emigrati più vecchi: .1 paesi sono esseri viventi, la cui esistenza non può riprendere se le amputazioni si fanno troppo gravi». // ceso di Coriza Con un'alta e fattiva idea della funzione sociale degli intellettuali, gli studiosi del Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno dell'Università di Napoli, la illustre e stimata Scuola di Portici diretta da Manlio Rossi Doria, hanno condotto di propria iniziativa una ricerca-progetto su -Situazione, problemi e prospettive dell'area più colpita dal terremoto del 23 novembre 1980'. L'hanno elaborata sulla base di studi già in atto al momento della catastrofe, l'hanno presentata al governo, l'hanno discussa durante un convegno ad Avellino a metà gennaio: tutto molto rapidamente, come le circostanze esigevano. Adesso questa 'Memoria- sul terremoto esce in volume, per non andare perduta: l'editore Einaudi, che insieme con il sindaco di Torino Novelli era andato in¬ torno a Natale nelle zone del terremoto, l'ha stampata in pochissimi giorni. Cinque relazioni molto ben fatte analizzano caratteristiche socioeconomiche e conseguenze del terremoto delle diverse zone, ma soprattutto risultano interessanti le soluzioni proposte ai due dilemmi più dibattuti dopo il disastro del Sud: i paesi distrutti debbono venir abbandonati, trasferiti, oppure riedificati dov'erano, com'erano? E in che direzione deve andare la ricostruzione economica, verso l'industrializzazione o. no? Al primo interrogativo, gli studiosi della Scuola di Portici danno risposte diverse a seconda delle differenti condizioni dei singoli paesi, ma in genere contrarie a cancellarli, e rispettose della cultura degli abitanti. «In alcuni pochissimi casi, il trasferimento è già segnato. Il caso di Conza. distrutta al 957f. è tipico: costruita su un isolato colle nel mezzo della valle dell'Ofanto per difendersi dalla malaria oggi scomparsa, si era ridotta ad avere poco più di 1000 abitanti, ed è stata spontaneamente abbandonata. Tutti gli abitanti si sono insediati in tende e rjulottes ai piedi del colle, a poche centinaia di metri dal vecchio centro, e qui intendono far sorgere il nuovo paese: è una soluzione ovvia e razionale». In paesi distrutti soltanto per metà, come Torella dei Lombardi o Morra De Sanctis, gli abitanti hanno già deciso di lasciare il centro più colpito e più fittamente edificato per allargarsi sui vicini terreni pianeggianti. Per altri paesi, anche molto distrutti come Lioni, Sant'Angelo dei Lombardi, Pescopagano. «la sola idea di un trasferimento è assurda». Ma è assurda pure l'idea di ripristinarin quei ìnalcostruiti palazzi d'appartamenti che nel terremoto sono crollati come castelli di carte: la ricostruzione «non potrà che confermare la tradizione delle case individuali, a un solo piano». Ristrutturazione Poi ci sono i paesi quasi totalmente distrutti. Laviano. Santomenna. Castelnuoi'o di Conza, Calabritto, Caposele: «Questi comuni hanno resistito per secoli nello stesso posto, malgrado ripetuti terremoti, senza perdere popolazione, perché sono situati ai margini di grandi complessi silvo-pastorali che è nell'interesse di tutti di mantenere vivi e di meglio utilizzare... Ogni sforzoandràfattoper trovare nelle vicinanze dei centri distrutti sedi meno scoscese e adatte, ma non si vede quale senso avrebbe un trasferimento più lontano, che priverebbe la montagna della indispensabile presenza dell'uomo e la popolazione della base piccola ma solida della sua economia... Lo stesso nucleo industriale che sorgesse nella parte più bassa della valle avrebbe tutto da guadagnare se i lavoratori, anziché in nuovi borghi artificiali e inevitabilmente turbolenti, restassero insediati a pochi chilometri di distanza, nei luoghi dove hanno le loro radici». Lo sviluppo industriale viene infatti considerato da Manlio Rossi Doria e dal suo gruppo la soluzione per le aree terremotate: «Tecnicamente possibile, socialmente decisiva, la sola capace di invertire il eorso dell'economia in queste zone», insieme con la ristrutturazione e il potenziamento dell'agricoltura. «Se sino ad oggi questa economia è stata basata sul binomio agricoltura-emigrazione, oggi deve essere basata su quello agricoltura-industria». Si ipotizza, oltre all'ampliamento del nucleo industriale di Grottamìnarda. la creazione di altri quattro nuclei industriali, uno dei quali a Lioni. Un piano moderno di rinascita e sinluppo «è pienamente possibile-, sostengono gli studiosi della Scuola di Portici, ma le strutture meridionali non possono farcela da sole, senza l'aiuto degli organi amministrativi di altre parti d'Italia che già operano su quel territorio: «Non c'è da illudersi. Senza un estendimento e un rafforzamento di questa forma di gemellaggio e di assistenza stimolante, perché collaborativa e continua, non è pensabile l'avvio di una seria e ordinata ricostruzione». Non è la sola condizione per una riuscita. Con insistenza, si ripete che per salvare il Sud è pure necessario -fare presto-, -energia e celerità-, -evitare ad ogni costo la speculazione edilizia», -personale tecnico altamente qualificato-, -coraggio di battere vie nuove», -chiarezza di vedute-, 'Organi efficienti-. Già. Lietta Tornabuoni

Persone citate: Einaudi, Lietta Tornabuoni, Manlio Rossi Doria