LE POESIE DI GOZZANO IN EDIZIONE CRITICA di Lorenzo Mondo

LE POESIE DI GOZZANO IN EDIZIONE CRITICA LE POESIE DI GOZZANO IN EDIZIONE CRITICA L'amico delle crisalidi Tutt'altro che appannata, ma sempre indecisa e sfuggente, la figura di Guido Gozzano continua ad attirare studiosi e lettori, a proporre il paradosso di una poesia «minore» che è inevitabile punto di riferimento, pietra d'inciampo sui sentieri del primo Novecento. Una poesia ingannevole, che esige una confidenza guardinga per coglierne le intenzioni e le malizie, per non limitarsi alla tenero-evasiva letteralità. E non c'è migliore occasione per esercitarsi al fascino del «bel Guido» che l'edizione critica approntata per i Meridiani di Mondadori da Andrea Rocca (Guido Gozzano, Tutte le poesie): è, possiamo ben dirlo, il Gozzano più integro che si possa leggere, restaurato, emendato, arricchito, contro le manomissioni provocate dalla malasorte e dall'incuria. Marziano Guglielminetti, nella aderentissima introduzione, lascia oscillare la silhouette gozzaniana fra due giudizi particolarmente significativi espressi su quella poesia. Il primo, assai precoce, è quello di Renato Serra: «Perché la sua è sopra tutto l'opera di un virtuoso, abile e sottile negli effetti verbali». La seconda valutazione compare anonima sulIVlvanti! dell'11 agosto 1916, due giorni dopo la morte di Gozzano, e c'è chi ha voluto attribuirla a Gramsci: «...il primo poeta italiano che sedendosi a tavolino non imboccasse gli oricalchi dei furori eroici e dimenticasse la storia». Da un lato abbiamo cioè l'affermazione di una consumata perizia stilistica, di una sapienza compositiva che tuttavia ha bisogno di utilizzare, a intarsio e a mosaico, versi di altri poeti antichi e contemporanei. Non per una forma di squisita cleptomania. Si tratta di objets trouvés, di res nullius che il poeta raccoglie dalla tradizione veneranda della letteratura, alla quale resta affidata ogni possibilità di conoscenza nella quale si consuma, al limite, ogni realtà. D'altra parte l'insistenza sui toni bassi e smorzati di questa poesia, incline al dialogo e al racconto, insensibile ai clangori della storia, finisce per attribuirle un valore contestativo che supera gli aspetti formali. ** In altre parole, la conclama ta ribellione a D'Annunzio nasce certo per Gozzano dalla necessitaci ritagliarsi, di fronte a quella soverchiarne personalità, un autonomo spazio creativo. Ma il rifiuto è anche ideologico e morale, denuncia l'impossibilità delle gesta eroiche, del sublime, in una età votata al quieto vivere e al profitto. Gozzano finisce per giocare l'uno contro l'altro, con un reciproco ironico spiazzamento, titanismo dannunziano e pragmatismo borghese. Non ha fi ducia in «patrioti, credenti e demagoghi», in cui si possono già identificare gli schierameli ti politici che saranno attivi nel primo dopoguerra: «L'Egua gliatrice numera le fosse, — ma quelli vanno, spinti da chimere — vane, divisi e suddivisi a schiere — opposte, intesi all'o dio e alle percosse: — così come cison formiche rosse, — così co me ci son formiche nere». Sul piano più propriamente letterario, non sa schierarsi né con i futuristi e gli incendiari, né con i moralisti della Voce, che credono nella riforma civile e religiosa degli italiani. Nonché dalla storia, Gozzano sta fuori dalla cronaca più tu multuosa. Diventa il testimone scettico e blasé di una stagione del Liberty, di una cronaca sentimentale e mondana pri mo-Novecento: ci restituisce l'aria, la moda, i vezzi di una vita volubile ed effimera, dove sembrano stemperarsi, appari re mistificate e vane perfino due cose importanti come amore e morte, che vengono a visitarlo in quel capitale anno 1907: quando Guido incontra Amalia Guglielminetti e avverte in sé la recrudescenza della tubercolosi. La storia, in lui, resiste soltanto come mito, incorniciata e idealizzata nella «stampa». Ma guai a calarsi con troppo entusiasmo e tenerezza nel passato delle glorie patrie ed europee, è rischioso protrarre la visita. Contro il Piemonte guerresco e austero dei secoli lontani, che immagini operettistiche del Risorgimento si sprigionano dal salotto tarmato di Nonna Speranza. E quanta cattiva letteratura fa naufragio con il San Germano, il bastimento di Paolo e Virginia. Qui il buon tempo antico, individuato in uno dei versanti più fecondi per la storia contemporanea, vale a dire l'ottimismo naturalistico e egualitario di Rousseau, rivela i suoi limiti. E vie- ne il dubbio che l'orrore che s'annida nelle case degli eredi, dei sopravvissuti sia la conseguenza di un passato non innocente, che soltanto una acritica rievocazione potrebbe nobilitare: «Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo, — Casa Rattazzi, Casa D'Azeglio, Casa Oddone, — s'arresta un'automobile fremendo e sobbalzando, villosi forestieri picchiano la gorgone. — S'ode un latrato e un passo, si schiude cautamente la porta... In quel silenzio di chiostro e di caserma — vive Tota Merùmeni con una madre inferma — una prozia canuta ed uno zio demente». E' vero, non si può leggere nei Colloqui — come pretese a un certo punto Gozzano — una vicenda di conversione dal positivismo all'idealismo, dall'empietà alla fede, dalla sensualità alla vita dello spirito. Più sicura è l'ambizione di porre al centro di queste mature poesie, rette da un sottile filo ciclico, un autoritratto di figlio del secolo, analogo a quello che lasciarono di sé e Petrarca e Leopardi, più volte richiamati ed echeggiati. Ma se qualche traccia o inclinazione rimane, di poema esistenziale, bisogna forse vederla nella negazione di sé alla storia, in questo rifiuto che riguarda il presente e il passato. Perché poi anche l'autoritratto dei Colloqui non è chiuso ma aperto, suscettibile di variazioni: come lascia intendere il poemetto incompiuto Le farfalle, nei Colloqui ampiamente annunciato e promesso. I materiali inediti raccolti da Andrea Rocca hanno il merito di confermare i prestiti e gli spogli di Gozzano da Mmzdsccsivrtvindsrvrnpc Maeterlink e altri, di documentare una faticosa elaborazione e una precoce rinuncia al disegno originario. Eppure non si può sminuirne il significato, come sembrano indicare i due curatori di questa edizione. Basti pensare agli stretti legami, ideali e fantastici, che questi versi sciolti hanno con le lettere dall'India, con il solo violento strappo dalla provincia nativa che il poeta abbia saputo imporsi (adesso le prose di Verso la cuna del mondo vengono ripubblicate nelle edizioni del Melograno, con una presentazione di Nico Orengo che rivisita Gozzano in una ottica vagamente pop). * * Le farfalle fanno «precipitare» sulla carta lontane emozioni infantili, correggono con la forza della vocazione lirica le presunzioni scientifiche del collezionista adulto, danno un senso a certe immagini che colorarono vividamente il tessuto poetico gozzaniano: a cominciare dalla vanessa con le ali di velluto che viene trafitta dalle bambine nella Via del rifugio. In realtà, Gozzano sta cercando nella natura un conforto alle delusioni della storia, le tracce di affinità segrete con l'uomo, di un comune destino che, attraverso tentativi e sconfitte, promette la felicità, la perfezione, la sconfitta del male e della morte: «Forse lo stanco spirito moderno — altro bene non ha che rifugiarsi — in poche forme prime, interrogando — meditando, adorando...». Queste forme prime, questi nodi e rivelazioni dell'esistere diventano quasi inevitabilmen¬ te, per Gozzano, le farfalle. Per la loro simbiosi con i fiori e per certi tratti di bellezza mineralizzata sembrano compendiare i tre regni naturali: riassumono, con le loro suggestive mutazioni, il complesso divenire dell'universo; con il loro battito ostinato e fragile hanno trapassato centocinquanta milioni di anni, volando su vulcani accesi e glaciazioni. Le farfalle che, si legge nel Mahabharata, dopo la battaglia calano come petali, indistintamente, sui corpi dei vinti e dei vincitori. Con tutto questo (si veda la poesia bellissima dedicata alla cavolaia) sono destinate a perdersi, come impazzite, negli orrori della città moderna, a fornire ogni mattina alla scopa degli spazzini «falangi d'ali morte». Al di là dell'impalcatura concettuale, del disegno precostituito che resiste soprattutto nei versi avvolti da un'aria di primordi, di esotismo barbarico, Le farfalle realizzano, sia pure a tratti, per brevi ma indimenticabili accensioni, una specie di waste land, apparentando Gozzano alle voci più desolate del Novecento europeo. Il poeta cui si è negato a lungo ogni possibilità di svolgimento è riuscito ad approdare per barlumi — continuiamo a crederlo — ad una realtà metafisica. Di fronte ad essa Gozzano si pone con una gravità nuova, lascia cadere gli strali dell'ironia. E dalle soglie di una religiosa aspettazione viene ricondotto con sottile sgomento nel cuore del proprio tempo. Anche da lui passa la via che conduce agli emblemi di Montale. Lorenzo Mondo Ritratto di Amalia Guglielminetti di Mario Revisione (olio su tela, 1912 - particolare)