Pci: sì al Fondo di solidarietà purché non imposto dall'alto di Eugenio Palmieri

Pci: sì al Fondo di solidarietà purché non imposto dall'alto Intervista con Chiaromonte, l'esperto del partito per l'economia Pci: sì al Fondo di solidarietà purché non imposto dall'alto La decisione spetta ai lavoratori - Il prelievo dello 0,50% dovrebbe essere utilizzato, ad esempio, per lo sviluppo delle cooperative - I casi Montedison e Italsider: manca una politica industriale del governo ROMA — Il Fondo di solidarietà dello 0,50 per cento? Si può studiare una proposta ma soltanto come strumento democratico, come contributo volontario dei lavoratori non come imposizione dall'alto attraverso il decreto legge. Gerardo Chiaromonte, «ministro» dell'economia del pei. si è deciso ad uscire allo scoperto con questa intervista su un tema scottante che interessa milioni di persone. Il suo intervento alla Conferenza sulla cooperazione aveva fatto nascere il dubbio di un clamoroso ripensamento del pei sulla creazione del Pondo: un improvviso allineamento alle tesi del sindacato. Lama compreso, dopo aver osteggiato duramente il progetto del governo fin dall'inizio. «Non abbiamo avuto nessun ripensamento, come lei dice, e come hanno scritto anche altri giornali. Siamo sempre dell'opinione che è assurdo pensare che il movimento operaio e sindacale possa ritagliarsi una fetta, o una fettina, del processo di accumulazione, per gestirla con un sindacato che diventi imprenditore o banchiere, e possa determinare cosi, in qualche modo, o almeno influenzare, il generale processo economico. Questa concezione, che è propria di certi ambienti della Cisl, ci sembrava e ci sembra sbagliata, velleitaria, e anche contraria alla necessità che il movimento operaio e sindacale si impegni sul complesso della politica economica e della programmazione. Eravamo e restiamo contrari, d'altra parte, ad una "solidarietà" che si eserciti in modo forzoso, con una legge che stabilisca, sotto qualsiasi forma, una contribuzione obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Avevamo e abbiamo dubbi, infine, su altre questioni, e li abbiamo espressi, in questi ultimi tempi, in varie sedi: né ci sono state date, fino a questo momento, risposte che ci inducano a cambiare posizione». Ma allora perchè nel corso dell'estate la polemica del pei contro il Fondo fu cosi totale e violenta? «Perfino nel corso di quella polemica accesa, che conducemmo, nel mese di luglio, contro la istituzione, per giunta con decreto legge, di un "Fondo di solidarietà", non mancammo mai di esprimere la nostra piena disponibilità a discutere (ma con se- rietà) sopra una questione che ritenevamo e riteniamo importante, perché legata al problema più generale della democrazia economica nel nostro Paese. Mi sembra evidente che. dopo la decisione della federazione Cgil - Cisl Uil di accantonare per il momento la discussione e di rinviare la decisione sul "Fondo" (come avevamo chiesto anche noi comunisti, allo scopo di evitare, in questo momento difficile, divisioni ulteriori fra i lavoratori e nei sindacati), era doveroso cominciare ad entrare nel merito di ipotesi e di proposte. Ed è quello che abbiamo cercato di fare nella conferenza del pei sulla cooperazione». Come è nato, nella conferenza, l'abbinamento Fondocooperative? «In questa conferenza il "Fondo" non è stato certo fra gli argomenti principali. Abbiamo parlato di molte altre cose e soprattutto della necessità di un grande sforzo democratico per sostenere ed espandere la cooperazione nel nostro Paese. In questo quadro abbiamo parlato anche della prospettiva di una "intesa", o di un "patto", fra il movimento sindacale e quello cooperativo che si ponga questo obiettivo. E qui il discorso è giunto alla questione del 'Fondo"». In sostanza qual è la vostra proposta? «Un'ipotesi su cui lavorare potrebbe essere quella di un comune impegno fra sindacati e cooperative per un "Fondo", o qualcosa di simile, finanziato con il contributo volontario dei lavoratori dipendenti e dei soci delle cooperative (ed eventualmente anche con un contributo pubblico, dello Stato), e finalizzato allo sviluppo della cooperazione (per autogestire impianti industriali, per la produzione agricola, per attività varie di professionisti e di intellettuali, per i giovani.) nel Mezzogiorno. Si tratta, naturalmente, di una ipotesi, da approfondire e da studiare in tutti i suoi aspetti, che sono assai complicati e difficili (chi gestisce il "Fondo", come avviene il controllo, come si realizza il collegamento con la programmazione, ecc)». Questo prestito forzoso, quasi da economia di guerra, servirà dunque ad allargare il potere delle cooperative bianche e rosse, visto che si tratta di gestire centinaia di miliardi. «Nessun prestito forzoso. Nessuna economia di guerra. Ma la ricerca di un modo (possono esservene altri) per favorire lo sviluppo della cooperazione, cioè di un sistema di imprese efficienti ed autogestite. Di questo c'è bisogno, a nostro parere, per l'economia italiana nel suo complesso, e per mandare avanti una politica di programmazione. Abbiamo parlato, nella nostra conferenza, della cooperazione come «terzo settore» (a fianco di quello privato e di quello pubblico), e come un settore da espandere». Non c'è il pericolo che si vada costituendo l'ennesimo centro di potere, magari clientelare, una specie di ministero ombra in un Paese dove già esiste una pletora di organismi amministrativi e finanziari? «Ho già detto che si tratta di una ipotesi su cui lavorare. Possono esservene altre. Certo, bisogna ben stabilire il modo come evitare che i soldi dei lavoratori e dei cooperatori possano essere usati, dal sistema dominante, e soprattutto nel Mezzogiorno, per imprese speculative. Bisogna evitare anche che si alimenti un altro canale assistenziale e non produttivo. Ripeto: vogliamo discutere. Le condizioni che poniamo sono essenzialmente due e sono, entrambe, di carattere democratico: la prima è che non si può imporre la solidarietà in modo forzoso, la seconda è che qualsiasi proposta prevalga nel dibattito fra i vertici sindacali e politici e tra gli studiosi, essa sia sottoposta alla discussione e alla scelta di tutti i lavoratori». Vorrei tornare per un attimo alla attualità più stringente. In questi giorni e per motivi differenti due casi sono tornati alla ribalta: i li- cenziamenti Montedison e le dimissioni di Puri all'Italsider. Qual è la posizione del pei? «La sua domanda ci riporta alla drammatica realtà di oggi. Le due questioni ci riportano alla crisi della grande industria, alla mancanza di una politica industriale del governo, al regime di spartizioni e lottizzazioni esistente nelle Partecipazioni Statali. Ma ci sono anche, in questi giorni, i problemi della mancanza di energia e dello sfascio nel sistema di trasporti. A due mesi dal terremoto, non si intravede ancora quale strada voglia percorrere il governo per la ricostruzione, mentre l'emergenza e ancora drammaticamente aperta. L'inflazione galoppa oltre il 20%. Altro che "Fondo"! I problemi aperti sono ben altri. Il nostro Paese rischia, ne siamo convinti, la stagnazione e la decadenza». Eugenio Palmieri

Persone citate: Gerardo Chiaromonte, Lama, Puri

Luoghi citati: Chiaromonte, Fondo, Roma