Nomi e Cognomi di Andrea Barbato

Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Cambiano, presso di noi. le sfumature del giallo: è in declino l'utopia cinese, è in rialzo il mito giapponese. Marco Polo parte verso il Paese sbagliato. Pechino processa i simboli di un'illusione anti-industriale e antieconomica, Tokyo impone i modelli di uno sviluppo produttivo che non ha precedenti nella storia della laboriosità umana. Tornano dall'arcipelago giapponese i congressisti, gli studiosi, i dirigenti politici, gli uomini d'affari: e raccontano le ultime meraviglie, i robot nelle fabbriche, i treni da fantascienza, i paradisi scolastici, le proiezioni già realizzate di un futuro tutto metropolitano. Giungono le cronache dalla Cina, e ci ricordano un crudele e recente tentativo di imporre un esperimento monastico e pauperistico, un egualitarismo contadino, una mortificazione della scienza in funzione rivoluzionaria. E' l'Oriente a fornire gli esempi estremi: e la Città sembra averla vinta sulla Campagna. E' di ieri l'entusiasmo intellettuale e acritico verso una Cina inesistente, un laboratorio ascetico verso il quale l'animo del viaggiatore occidentale provava una sorta di immaginario transfert, e vi vedeva non quel che c'era davvero (l'imposizione di un innaturale tentativo di modificare l'animo stesso dell'uomo), ma una specie di Shangrila. uno scampo dagli orrori ambientali e sociali, una fuga edificante. Sarebbe curioso, e forse ingeneroso, comporre oggi un'antologia di tante testimonianze mistiche, di tanti reportages beatificanti prodotti da coloro che nel decennio scorso erano riusciti a salire sul treno per Canton o sulla nave per Shanghai. (Fra parentesi, forse eccedono i nuovi turisti culturali in visita a Pechino nel voler riportare di colpo tutto ad una Cinesi e. giapponesi misura europea, eccedono i commentatori politici a vedere nella Cina di Deng una Cenerentola che bussa ansiosamente alle porte dell'economia di mercato, eccedono i critici del maoismo nel loro giubilo per la raffinata severità del processo a Jiang Qinge agli altri). Più utile chiedersi come potè avvenire quel colossale abbaglio culturale, che non risparmiò raffinati e intransigenti osservatori. Per anni, fummo indotti a misurarci con lo schiacciante esempio di una Cina smaltata e fervida, dove la povertà era un merito e il caos era guidato, dove l'uomo s'era scoperto all'improvviso privo di bisogni e di vanità, dove il crimine era stato abolito per decisione politica, dove l'obbedienza era spontanea e la disubbidienza utilizzata. Ho un ricordo personale ed esemplare: quando la cinepresa di un regista italiano documentò un itinerario cinese certo incompleto ma inconfutabile, si disse (in Cina, ma anche in Occidente) che era l'obiettivo a sbagliare, a falsare le prospettive, ad illudersi di poter filmare una rivoluzione invisibile, a fermarsi alle apparenze, a vedere «la pelle della tigre ma non il cuore». Né c'è davve¬ ro da rallegrarsi nella tardiva rivelazione che quella Cina ideale era pura finzione, scenografia ideologica, oracolo politico, finito in un'aula di tribunale che sembra una lezione di vivisezione. Per converso, rischiamo ora d'essere contagiati dal mito giapponese, nuova favola per un occidente insoddisfatto di sé. Sugli schermi televisivi di tutto il mondo, il Giappone dei samurai spaziali cerca di rimuovere la persistente immagine — che le repliche di antiche pellicole rinnovano — del Giappone degli ammiragli silurati e degli sconfitti fanatismi nelle giungle. Ma anche senza Mazinga. circola già un'utopia giapponese, fatta di tradizione ed elettronica, cultura autoctona e camaleontismo produttivo, orgoglio industriale e volontarismo sociale. Decine di prodotti della cultura tecnica giapponese sono oggetti d'uso quotidiano: ma ora è in arrivo anche una «filosofia» giapponese, un oriente che è un superoccidente, l'uomo che migliora se stesso con la disciplina, lo studio, l'obbedienza e l'amore per il passato: l'ultima frontiera della civiltà industriale e del paesaggio urbano, un ordine meticoloso, un'organizzazione cortese e ferrea, fabbriche come lustri villaggi familiari, rapporti sociali sorridenti e benevoli, folle non solitarie alla riscoperta del corpo, dell'arte, della natura, della religione: la virilità più marziale accompagnala ad una femminilità danzante e cerimoniosa. Assistiamo insomma alla nascita di una nuova utopia, tecnica ed eroica insieme, una sublimazione del postcapitalismo, un'etica della produzione industriale e del grattacielo, un santuario dell'efficienza. Dopo la favola cinese, quella giapponese: trapiantata da noi, è un'altra illusione di cambiare la testa degli uomini.

Persone citate: Andrea Barbato, Jiang Qinge