La crisi Italsider ha vecchie radici di Remo Lugli

La crisi Italsider ha vecchie radici II giudizio dei sindacalisti di Cornigliano sulle dimissioni del presidente Puri La crisi Italsider ha vecchie radici DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GENOVA — Le dimissioni del presidente dell'Italsider ingegner Ambrogio Puri, hanno portato, o meglio, riportato all'attenzione del grosso pubblico il problema della siderurgia italiana che si accentra appunto in questo complesso industriale. Eccone la scheda: 53 mila dipendenti diretti, tre centri siderurgici a ciclo integrale, Taranto, Cornigliano (Genova), Bagnoli (Napoli) e altri sei stabilimenti: Marghera, S. Giovanni Valdamo (Firenze), Trieste, Lovere (Bergamo), Savona, Novi Ligure: una produzione di circa 11 milioni di tonnellate di acciaio annue: un indebitamento finanziario di oltre 4000 miliardi; l'ultimo bilancio attivo, nel 74, poi il gravame degli interessi passivi ha incominciato a pesare e a travolgere come una valanga. Che cosa si dice nell'azienda di queste dimissioni e di questa situazione? Oggi sentiamo i lavoratori, attraverso i sindacalisti, Firn e Consiglio di fabbrica; domani sentiremo i dirigenti. Renato Gabbi, della Firn, vuolr innanzitutto precisare che l'ingegner Puri, -sul piano delle capacità tecniche era una controparte da rispettare, un grande dirigente d'azienda, con una grossa esperienza.. E dopo aver sottolineato che all'interno delle aziende a partecipazione statale c'è stata sempre una scalata politica, prima da parte della de ora anche del psi, per mettere i propri uomini nei posti chiave, Gabbi precisa che Puri, del pri, non si è mai legato alle va¬ rie fazioni politiche e ha saputo tenere un comportamento da manager. «Cioè è sempre stato più un tecnico che un politico. Le sue dimissioni sono dovute alle mancate risposte del governo, soprattutto dei ministri La Malfa per il Bilancio e De Michelis per le Partecipazioni Statali. Un'assenza che ora rischia di portare ri talsider allo sfascio-. I sindacalisti ricordano che l'I talsider ha investito nei suoi maggiori stabilimenti, a Taranto, a Bagnoli, a Cornigliano, portando le tecnologie all'avanguardia in Europa; e lo ha dovuto fare prendendo il denaro dalle banche a tassi molto gravosi. .L'Italsider — dice ancora Gabbi — non si è tirata indietro, anche se non è priva di colpe. Ma nemmeno noi lavoratori ci siamo tirati indietro. Un esempio: il quarto centro di Taranto è arrivato, nell'80. ad un ritmo di lavoro tale da produrre, se il mercato l'avesse consentito, oltre 9 milioni di tonnellate. Anche a Genova abbiamo raggiunto il massimo storico della produttività». Ci sono, da parte dell'azienda, delle lacune. Le espongono Gabbi con alcuni membri del Consiglio di fabbrica, Stefano Ferretti, Enzo Abatello, Claudio Peirassi. Manca, ad esempio, una rete capillare di commercializzazione: si usano, per la vendita dei prodotti, commercianti che importano altri prodotti concorrenziali e alla fine fanno soprattutto il loro interesse che può non coincidere con quello dell'Italsider. L'anno scorso s'è perduta una fetta di mercato italiano, mentre sono stati im¬ portati 9 milioni di tonnellate di acciaio. «Ci sono anche carenze nella tempestività delle consegne e. a volte, nella qualità, non tanto per la tecnologia degM impianti, che come si è detto sono d'avanguardia, ma per problemi di gestione e organizzazione del lavoro., aggiunge ancora Gabbi: «Molti sono i tecnici capacissimi, degni di tutto rispetto, ma ce ne sono alcuni incapaci e irresponsabili e questi andrebbero eliminati». Responsabilità esterne all'azienda. Molte, secondo i sindacalisti. Disorganizzazione nelle dogane, importazioni in -dumping». Le dogane in Italia da 42 sono state ridotte a 12 appunto per cercare di controllarle meglio, ma accade ugualmente che entrino, ad esempio, lamiere ufficialmente di seconda qualità, mentre invece sotto il primo strato c'è la prima qualità, che poi fa concorrenza a noi con prezzi più bassi. Abatello dice: .Anche in questi settori doganali occorrerebbero tecnici capaci». Secondo lui le responsabilità sono soprattutto politiche. «Ci sono responsabilità di molti governi passati, i soldi sono sempre arrivati come gocce per sopravvivere, non si è mai pianificato un intervento finanziario organico che permettesse di consolidare i debiti a lungo termine e di recuperare margini di gestione». Secondo Abatello il problema non doveva esplodere soltanto adesso, ma molto prima: «Doveva essere la Finsider, la nostra finanziaria a sollevarlo, ma essa ha sempre taciuto avendo nel suo com¬ portamento soltanto un indirizzo politico e non quello della gestióne. Una grossa responsabilità della nostra situazione è. dunque, di Capanna, il presidente della Finsider». Ancora: «Il problema non è quello di dare un giudizio su Puri che si è dimesso: poveretto, era tre anni che girava il mondo in cerca di soldi. Il problema è quello drammatico dei 53 mila dipendenti diretti che lavorano con impianti validissimi, ma l'azienda si sfascia, mentre tutti riconoscono che i soldi occorrono e ci sono anche i finanziamenti approvati, ma il denaro ugualmente non arriva». Claudio Peirassi, ritiene si debba dire grazie a Puri per il suo atto di coraggio «che ci permette di entrare nel "libro bianco" delle Partecipazioni Statali e di vedere e discutere su come l'Italsider è stata gestita in trent'anni e come è stata ridotta». Talune delle cose che si dovrebbero realizzare fanno parte della piattaforma per il rinnovo del contratto di lavoro dei dipendenti: revisione della struttura di commercializzazione; interventi per la ristrutturazione finanziaria della società; recupero energetico per produrre a costi più bassi (ad esempio, con l'energia che si disperde sotto forma di calore nello stabilimento di Cornigliano si potrebbe riscaldare parte della città di Genova); evitare o ridurre di molto l'attuale inquinamento. Remo Lugli

Persone citate: Ambrogio Puri, Capanna, Claudio Peirassi, De Michelis, Enzo Abatello, La Malfa, Puri, Renato Gabbi, Stefano Ferretti