Fu l'abile gestore d'un miracolo canoro di Alfredo Venturi

Fu l'abile gestore d'un miracolo canoro Fu l'abile gestore d'un miracolo canoro MILANO — «Quale Pigmalione? La Callas non aveva bisogno di nessun Pigmalione, è stalo un fenomeno che doveva esplodere e sarebbe esploso comunque». Per i melomani scaligeri l'immagine di Giovanbattista Meneghini «artefice del mito» è un'immagine distorta. Anche se poi riconoscono facilmente al commendatore veronese grandi qualità d'impresario, di promotore, di abile gestore del miracolo che i casi della vita gli avevano gettalo fra le braccia. La sua tarchiata figura è rimasta, sullo sfondo della sfavillante immagine di lei, nel ricordo di quanti hanno vissuto il magico decennio: quegli Anni 50 in cui il quasi anagramma Scala-Callas fu il simbolo di una rivoluzione canora unica nella storia lirica. "Era per lei un cicisbeo, un cavalier servente». Si erano conosciuti nel '47 a Verona: lei pranzava tutta sola in un ristorante di piazza Bru e lui. industriale nel ramo laterizi, ricco e amante del bel vivere, patito di musica senza troppe complicazioni intellettuali, legalo a quell'idea spettacolare della lirica che proprio all'Arena celebra i suoi trionfi, aveva detto: «Permeile?'). Ventiquattro anni lei, 52 lui: e due anni più lardi il matrimonio. Giusto in tempo per affrontare insieme quegli Anni 50 che vedranno lei. e di riflesso lui, proiettati alla ribalta della notorietà internazionale. Chiuso il decennio, si chiude anche quello che molti trovano arduo definire senz'altro una love story. Lei s'imbarca sul panfilo di Onassis, a lui non resta che ostentare l'amarezza del Pigmalione tradito da una creatura troppo perfetta: nella villa di Sirmione c'è una stanza sempre pronta, quella stanza resterà vuota. Quando nel settembre del '77 arriva da Parigi la notizia che Maria Callas è morta. Meneghini ormai più che ottantenne è reduce da un infarlo: "Sono distrutto, dice, vorrei essere morto io». Adesso ci si chiede: chi era in realtà Giovanbattista Meneghini? «Aveva i caratteri del gentiluomo di campagna veneto, caratteri tipicamente goldoniani: arguto, bonario, furbo, avaro anche, con un senso acuto degli affari, una grande spregiudicatezza». Così si dice negli ambienti della mondanità musicale milanese. E si aggiunge: «La Callas lo ha travolto, sbalzandolo dalla sua dimensione provinciale fin sotto i riflettori del mondo». Innamorato? «Certo, ma bisogna vedere di chi. Della donna, della miniera d'oro?». // dubbio resta, in una città che non sempre cede al rito latino dell'elogio funebre a tulli i costi. Questo non toglie nulla al generale riconoscimento che Meneghini ha saputo gestire la carriera di Maria Callas negli anni decisivi. Nelle memorie recentemente pubblicate da un settimanale Meneghini insisteva invece sull'immagine del Pigmalione. «Un'immagine da rettificare in omaggio alla verità», dice Mario Anselmi. Musico filo, a suo tempo lui stesso cantante lirico, Anselmi è slato testimone diretto della vicenda Meneghini-Callas. Dice di avere avuto «una parte determinante nella carriera artistica di Maria Callas». Una parie che Meneghini ha sempre taciuto. L'aveva conosciuta anche lui a Verona nel l°47, quando Anna Maria Kalogeropulos, scritturala a New York grazie ad un impresario amico cantava nella ('Gioconda') all'Arena. «Dopo le repliche Maria stava tornando in America: Meneghini se n'era già sbarazzato. Seppi che "La Fenice" cercava un soprano per "Tristano e Isotta", organizzai un'audizione qui a Milano, il maestro Tullio Serafin fu entusiasta della giovane cantante greca. Dopo il trionfo veneziamo. Meneghini comprese il futuro che attendeva la Callas». «La servì e se ne servì», dice Anselmi. Alfredo Venturi

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