Umberto Eco e la sua città

Umberto Eco e la sua città Lo scrittore ha incontrato i vecchi amici di scuola e il professore Umberto Eco e la sua città Ha partecipato a una riunione alla sala «Ferrerò» del Comunale - Le sue frasi polemiche ALESSANDRIA — Rimpatriata alessandrina di Umberto Eco, il noto semiologo-scrittore il cui ultimo volume «Il nome della rosa» è da alcune settimane in testa alla graduatoria dei libri maggiormente venduti. Ospite dell'A mministrazone comunale Umberto Eco ha incontrato, alla sala Ferrerò del Comunale, gli alessandrini, presentato da Gian Luca Veronesi, consigliere delegato alla Cultura, e stimolato dalle molte domande dei presenti. Un successo, come d'altra parte un successo è il suo ultimo volume, un giallo ambientato in un medioevale convento. Alessandrino puro sangue, anche se da moltissimi anni emigrato, Umberto Eco ha incontrato alcuni dei vecchi compagni di liceo — il giudice Mario Garavelli, l'avv. Gianni Coscia vice direttore generale della Cassa dì risparmio, l'avv. Ugo Procopio, il medico dottor Giuseppe Lai e altri ancora — e il suo antico insegnante di lettere, il prof. on. Giovanni Sisto. Con loro, attorno alla tavola di un ristorante alessandrino, ha rievocato i «bei tempi andati». Studente liceale. Eco era già alla ribalta dell'attenzione anche per alcune gustose commedie da lui scritte e interpretate con i compagni al Teatrino di San Francesco o nell'aula magna del «Plana». Come ritrova Alessandria nelle sue rare rimpatriate?. «Tranne alcune case nuove — afferma lo scrittore — è sempre la stessa, brutta Alessandria dei miei tempi. Forse però mia moglie, non italiana, più di me ha capito cos'è Alessandria». La signora Eco, infatti, giunta in una serata nebbiosa di dicembre ha constatato che, con la nebbia, la città «comincia a diventare bella». Ed Eco conferma: «La vecchia piazza Rattazzi (oggi piazza della Libertà; ndrì acquista nella nebbia, ad esempio, una sua particolare bellezza. Comunque torno sempre volentieri ad Alessandria, anche se per ritrovare lo spi¬ rito, e gli amici, di un tempo, magari in piazzetta della Lega, dovrei avere la possibilità di fermarmi almeno due o tre giorni». A questo punto il discorso cade su «Gelindo». la «divota cumedia» in dialetto che proprio in questi giorni è stata ripetuta al -San Francesco», e Umberto Eco confessa di avere, due anni fa, durante una rapida visita in città, vestito ancora una volta (già l'aveva fatto in gioventù) i panni del «centurione», uno dei personaggi minori, proprio con l'avv. Gianni Coscia. «E fu — ammette — una grossa e piacevole emozione». «Quando ero giovane — aggiunge — alle donne era vietato categoricamente calcare le scene del San Francesco. Io stesso, un anno, interpretai la parte della Madonna. Ora, invece, ci sono anche le donne: come sono cambiati i tempi! ». Umberto Eco, non scordiamolo, tanti anni fa eonìò la famosa frase: «Pochi clamori tra Tanaro e Bormida», che diede orìgine a discussioni e polemiche, anche. «La frase — afferma lo scrittore — vale ancora oggi, e sono disposto a ripeterla, nel senso giusto. Voglio dire che Alessandria è una città che non si muove, scettica, senza entusiasmi. Ma è anche una città che ha avuto l'unico Papa non nepotista, che non ha mai avuto un ghetto ebraico, che non ha mai speculato su San Francesco. Una città, quindi, senza eroi e senza miti, ma che non ha mai ammazzato nessuno per averli». «Cosi — secondo Eco — è ancora oggi, e cosi per me va bene». Poi, ha sottolineato, è una città di una «disseminazione incredibile». «In qualsiasi parte del mondo — dice — ho sempre incontrato un alessandrino; una volta ad un party dal console di Toronto, presente anche Mac Luhan, eravamo ben in quattro. Il mio amico Furio Colombo, che è di Torino, si arrabbia molto di non poter trovare altrettanti torinesi». Franco Marchiare Alessandria. Lo stridore Umberto Eco durante rincontro