La Montedison sempre più nella bufera di Marco Borsa

La Montedison sempre più nella bufera La richiesta di 8500 licenziamenti rivela le grosse difficoltà di Foro Bonaparte La Montedison sempre più nella bufera Secondo l'azienda i tagli all'occupazione sono necessari per il piano di risanamento MILANO — La vertenza sindacale aperta dalla Montedison con la richiesta di 8500 licenziamenti (12 mila, dicono i sindacati, se si aggiungono i 3000 dell'Acna e di Montefibre) potrebbe trasformarsi in uno scontro sul programma di risanamento del maggiore gruppo chimico italiano e sui precari equilibri societari raggiunti dopo l'ultimo aumento di capitale, quando l'ingresso del socio saudita, Oheith Pharaon, ha permesso di mantenere paritetico, fra pubblici e privati, il sindacato di controllo del gruppo. Dal punto di vista dell'azienda la richiesta dei licenziamenti è la logica conseguenza degli sforzi di risanamento del gruppo che non possono comprendere solo misure finanziarie come l'aumento di capitale o la vendita di alcune partecipazioni non essenziali al nucleo chimico. La riorganizzazione in holding, con il conseguente decentramento produttivo, sancita da un'assemblea degli azionisti nell'autunno scorso, comporta, per la Montedison come per altri grandi gruppi che l'hanno preceduta, una riduzione nei costi di struttura al centro (dove quindi sono gli impiegati ad essere colpiti) e una riduzione dei costi di produzione in periferia, conseguente al decentramento. La strategia dei dirigenti di Foro Bonaparte è abbastanza chiara: in questa fase di riorganizzazione il gruppo punta ad affinare la produzione sia sotto il profilo dei costi che della qualità (fare cioè prodotti che si possano vendere con margini più ampi a costi più bassi), anziché cercare di investire per espandere la produzione. Il sindacato ha espresso la propria disponibilità a discutere i problemi di produttività del gruppo ma si oppone energicamente ai licenziamenti perché è convinto che non si tratti di misure di risanamento ma di una politica «liquidatori^*, di t>gnl prospettiva futura di ripresa e di sviluppo. Il segretario della Cgil Luciano Lama ha espresso questi timori affermando che 1 licenziamenti «darebbero un respiro finanziario solo momentaneo alla società'. Circa 10 mila persone in meno, dicono i sindacati, significano più o meno un risparmio attorno ai 200 miliardi, poco meno della cifra che il gruppo ha perso nel 1980 (circa 250 miliardi). Non è con i licenzia- menti, dicono i sindacati, che si risolvono le difficoltà finanziarie di Montedison mentre si colpiscono le prospettive di sviluppo produttivo. L'azienda respinge questa interpretazione sottolineando che la riduzione dei costi, anche attraverso i licenziamenti, è parte integrante del programma di risanamento ed è una premessa indispensabile alla soluzione dei problemi finanziari. Solo un'azienda in grado di produrre a costi competitivi, è il ragionamento di Foro Bonaparte, può ragionevolmente sperare di attirare nuovi capitali nel gruppo. L'anno scorso l'indebita¬ mento finanziario netto del gruppo è sensibilmente aumentato (335 miliardi solo nel primo semestre) a fronte di un rapido peggioramento del mercato che ha toccato il suo culmine in agosto per segnare successivamente una lenta ripresa nelle vendite e nei prezzi. E' significativo, inoltre, che sul mercato internazionale, dove da mesi Montedison è alla ricerca di un grosso finanziamento in dollari, le banche si mostrino riluttanti a fornire capitali ad un gruppo troppo indebitato e con risultati di bilancio negativi ormai da 6-7 anni. Anche la Borsa, dove la società capitalizza poco più della metà dei mezzi propri (che a fine 1979 ammontavano a circa 750 miliardi), rivela le preoccupazioni degli investitori di fronte ai problemi e alle difficoltà che il maggior gruppo chimico italiano deve ancora superare prima di potersi considerare al riparo da collassi come quello della crisi 1975-76 che portò all'accumulo di 500 miliardi di perdite in un solo esercizio. La latitanza dell'investitore interno e internazionale potrebbe essere sostituita dalla presenza dell'azionista Stato, che attraverso la Sogam (la finanziaria che riunisce le partecipazioni Iri e Eni) potrebbe rifinanziare il gruppo senza porsi immediate prospettive di reddito ma in nome della necessità di sostenere l'industria chimica nazionale. Uno sviluppo di questo genere però segnerebbe la fine della gestione privata, impegnata nel programma di risanamento sostenuto dalle banche che hanno partecipato all'ultimo aumento di capitale, la probabile uscita dell'azionista saudita, che non può avere alcun interesse per una posizione di minoranza con lo Stato italiano, e la definitiva pubblicizzazione di tutta la chimica che, secondo i sindacati e le sinistre, dovrebbe consentire una coerente politica nazionale nel settore. Marco Borsa

Persone citate: Bonaparte, Luciano Lama, Pharaon

Luoghi citati: Milano