Pani pesci e poltrone

Pani pesci e poltrone Taccuino di Vittorio Gorresio Pani pesci e poltrone La settimana scorsa, lunedì e martedì 12 e 13 gennaio, per iniziativa dei gruppi comunisti della Camera e del Senato nonché del Centro per la riforma dello Stato si è tenuto a Roma un seminario sul tema «Parlamento e governo nella crisi dello Stato». Al convegno hanno partecipato illustri personaggi del mondo politico e degli studi, non soltanto di parte comunista, ma liberale, repubblicana, socialista, democristiana, oltre a numerosi costituzionalisti indipendenti, tutti concordi sulla necessità di passare finalmente dalla fase dei dibattiti a quella delle pratiche attuazioni; e questo è apparso un dato positivo. Senza mancare di riguardo a nessuno degli intervenuti di diversa ispirazione politica bisogna riconoscere che la condotta o la regia del seminario è stata nei due giorni tutta comunista. Ha cominciato Pietro Ingrao che è un appassionato specialista dei problemi della riforma dello Stato, ad affermare che i comunisti non pensano a una identificazione partitoStato, essi «anzi duramente combattono tutte le degenerazioni partitocratiche di cui il sistema di potere de è il più eloquente simbolo». Ben detto, ci possiamo rallegrare che i comunisti italiani respingano la concezione sovietica del partito Moloch o Leviathano ueber alles. Quello che vuole Ingrao è un governo che non sia una sommatoria di ministri ma un organismo collegiale fondato non su coalizioni tra le segreterie dei partiti bensì piuttosto su programmi reali circoscritti e controllabili. Vuole un Parlamento capace di concentrarsi sulle scelte fondamentali, e infine chiede che sia rafforzato il ruolo, per ora quasi inesistente, del presidente del Consiglio. Perfettamente in linea, anche Luigi Berlinguer ha deplorato che l'unità di indirizzo del governo oggi manchi, e sacrosantamente ha dichiarato che esso non è delegabile ad alcun direttorio dei segretari dei partiti di maggioranza. E* il presidente del Consiglio che dirìge (a politica generale del governo e ne è responsabile, è lui che mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri: è quanto sancisce l'articolo 95 della Costituzione, la quale non fa cenno di direttori] di segretari. Osserva d'altra parte Luigi Berlinguer che «l'esistenza di momenti monocratici nell'esercizio del potere non è un dato necessariamente antidemocratico: a volte è un dato fisiologico». Anche questo è ben detto: bisognerà pure che ad certo momento qualcuno sintetizzi e decida, alla stregua di comandante di nave o di aeromobile. A questo punto, dopo le affermazioni di carattere generale, cominciano le proposte concrete. Suggerisce Luigi Berlinguer che dagli attuali ventisei ministeri il governo si potrebbe ridurre a una decina in tutto. Fatti salvi i quattro insostituibili (Esteri, Interno, Giustizia e Difesa) per il resto sarebbe necessario procedere a colpi di risoluti accorpamenti. Tre dicasteri per l'Economia: uno per le Entrate (le attuali Finanze), uno per la Spesa (Bilancio e Tesoro) uno per le Attività produttive (Industria, Commercio e Artigianato, Agricoltura, Partecipa, zioni statali, Lavoro). Accorpando accorpando, poi ci sarebbe un dicastero delle Comunicazioni competente per la materia di trasporti, telecomunicazioni, marina mercantile, lavori pubblici e viabilità. Un altro, detto dei Servizi sociali, si curerebbe di sanità, assistenza, prevenzione ed ambiente, e infine a un costituendo ministero della Cultura toccherebbe la pubblica istruzione, la ricerca scientifica, i beni culturali e lo spettacolo, probabilmente anche lo sport e il turismo. Cosi fa dieci, con un bel taglio nel numero dei ministri, e conseguentemente anche di quello dei sottosegretari. Le proposte di Luigi Ber¬ linguer mi sembrano sensate, e ad integrarle in seminario sono venute quelle di Ugo Spagnoli il quale ha suggerito la riduzione del numero delle commissioni parlamentari permanenti (oggi quattordici alla Camera e dodici al Senato) l'abbandono della pratica di microlegiferare a colpi di leggine di interesse corporativo, dibattiti in aula più rapidi («in mezz'ora si può dire tutto ed anche più del necessario») blocco dell'abuso dei decreti legge, revisione dell'istituto dell'immunità parlamentare, norme più rigorose a proposito delle incompatibilità, ed altre varie provvidenze politico-morali. Ha anche parlato Nilde Jotti per raccomandare essenzialmente due cose, la diversificazione delle competenze delle due Camere e la drastica riduzione del numero dei parlamentari. I comunisti sono matti, francamente. Da una parte continuano ad insistere per essere accettati a fare parte del governo, e dall'altra propongono un taglio radicale dei posti di potere per ministri, sottosegretari, senatori e deputati. Sono fuori del mondo, per lo meno del mondo politico italiano, non rendendosi conto che anche nell'attuale nostro sistema — come diceva già Mussolini — il numero è potenza, e il numero che conta è quello degli incarichi da distribuire. I comunisti sono matti, e sbagliano di grosso a immaginare che procurando di democratizzare le strutture interne del loro partito o professandosi favorevoli a una politica occidentale dell'Italia possano riuscire a legittimarsi partecipanti al governo. Ben altro ci vuole, un'adesione piena e completa al principio della lottizzazione un contributo volonteroso alla moltiplicazione di pani e pesci e poltrone. Loro stessi, del resto, hanno capito bene la lezione, tanto che dove e quando so nò riusciti a inserirsi nel gio co (come alla Sipra o nella Rai-tv) hanno mostrato di condividerne la logica, ade guandosi in qualche modo al principio della spartizione della torta. Adesso è fuori dalla logica — ed è per questo che sono matti —che pei entrare nel governo virtuosa mente chiedano la restrizio ne degli spazi di potere. Ma comincino allora a starne fuori loro stessi per dare il buon esempio.

Persone citate: Ingrao, Luigi Berlinguer, Mussolini, Nilde Jotti, Pietro Ingrao, Spesa, Ugo Spagnoli, Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Italia, Roma