Fame di armi tra i ribelli d'Afghanistan perché non muoia la rivolta contro Mosca
Fame di armi tra i ribelli d'Afghanistan perché non muoia la rivolta contro Mosca Viaggio nella guerriglia a un anno dall'occupazione sovietica Fame di armi tra i ribelli d'Afghanistan perché non muoia la rivolta contro Mosca I partigiani sanno che la lotta sarà lunga, ma anche che «ai russi costa ogni giorno rubli e morti» - Una «guerra santa» di clan che sarà vittoriosa soltanto se unita e rafforzata - Lenti progressi dell'Armata Rossa DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE DALLA FRONTIERA AFGHANISTAN-PAKISTAN — Un anno dopo, la domanda continua ad essere la stessa: se questa guerra si sia trasformata in un Vietnam. Parlando con i partigiani mujahiddin, vivendo la loro vita, di qua di profughi, di la di combattenti, ascoltandone i racconti e seguendone la lotta, si finisce per essere sommersi dai dubbi. Nei loro comandi di Peshawar in Pakistan — vecchie case piene di stanze buie e di uomini truci con i Kalashnikov — t capi della resistenza rispondono subito con un'altra domanda a chi gli chiede del Vietnam. E dicono: ma quale Vietnam, quello degli Anni SO e 60, o quello degli ultimi anni vittoriosi? Non sembra che abbiano torto. La guerra in Indocina diventò epopea e mito solo dopo una lotta sanguinosa, che sembrò perdente per lunghissimi anni. E qui sono passati appena 13 mesi dall'occupazione. Di strada pare ancora essercene molta, ma, come ci diceva qualche giorno fa Ripa di Meana, che guidava qui una delegazione italiana d'amicizia col popolo afghano, •quello che più sorprende è la straordinaria consapevolezza che questi uomini hanno della lunghezza della loro lotta». E' gente che non mostra fretta, perché forse è abituata a misurare il tempo solo col cor- so lento delle stagioni e dei pascoli. O forse perché ha solo la certezza che in queste terre, alla fine, nessuno ha mai vinto gli uomini della montagna. Un bilancio del primo anno di lotta, comunque, non lascia ancora alcuno spazio per ricordare in qualche modo il Vietnam. L'aiuto internazionale resta assai limitato ('Ci sono armi che arrivano dalla Cina, ma gli Usa ancora non intendono rispondere alle nostre pressanti richieste di armi e di missili antiaerei e le fazioni e i partiti in lotta non sono riusciti a darsi un comando unificato e un obiettivo politico comune (-Qui ci sono storie di faide secolari che nessuno può pensare di cancellare d'un colpo, la nostra libertà la decidiamo tra noi*). A sentirli parlare, si finisce per capire abbastanza delle ragioni che finora hanno reso assai cauti gli uomini della da nella consegna di armi: questi leaders partigiani mostrano assai scarso interesse all'idea stessa dello Stato, e la loro guerra finisce per essere anzitutto una guerra religiosa e di tribù, mossa dall'orgoglio fiero dell'indipendenza e dalla bandiera dell'Islam più che dalla rivolta politica. Ogni partito qui è un clan di etnie e di famiglie legate dal sangue. Parlare di Vietnam diventa alla fine un puro esercizio ideologico. Tuttavia, la guerra va avanti, i partigiani che arrivano alla frontiera danno conto delle installazioni che i sovietici vanno costruendo, baraccamenti nuovi, postazioni missilistiche, nuove piste aeree. Tutto lascia pensare che lo scontro militare non sia destinato a ridursi. In un anno, sembra piuttosto cambiata la natura di questo scontro: i russi hanno a mano a mano occupato e normalizzato le città più importanti, i ponti, i nodi stradali. E hanno fatto terra bruciata delle aree dove nei primi mesi le resistenza era stata più aspra. Poi si sono acquartierati e continuano un'operazione di pulizia soprattutto con gli elicotteri. Dove c'è un'imboscata rispondono con bombardamenti Il quadro tracciato da Pir Muthalha, uno dei capi militari della provincia Konarha, disegna una sorta di equilibrio tra i due campi, dominato però dall'Armata Rossa. Come i vietcong, i mujahiddin possono tentare qualche sortita e render precario il controllo di una strada o di una guarnigione, ma la battaglia finisce per segnare sempre un risultato transitorio. Anzi—e di questo si raccolgono notizie nei campi profughi, ma i mujahiddin non amano parlarne — il passare del tempo riduce sempre più le macchie (cioè le zone guerrigliere) di questa geografia a pelle di leopardo: perché ci sono villaggi e aree che stanno progressivamente trovando un modus vivendi col nuovo governo, ricevendone in cambio sostanziosi aiuti finanziari. L'equilibrio militare — almeno nei termini disegnatici dai capi mujahiddin — appare comunque instabile. Continua a produrre morti ogni giorno, ma ogni giorno aspetta anche che qualcosa cambi: «Ai russi costa più che a noi. Noi siamo gente abituata a vivere con poco, a dormire all'aria aperta e muoverci senza difficoltà fra le montagne; loro pagano ogni giorno rubli e morti, e cosi non possono continuare ancora per lungo tempo». L'Urss infatti sta cercando un'uscita politica. Il Pakistan l'ha già offerta: buttare a mare Karmai. «Allora — dicono f capi mujahiddin — si potrà anche cominciare a discutere». Però sono cose che passano al di sopra della loro testa. Intanto i colloqui con i ribelli finiscono sempre con una frase: dateci armi. La resistenza — se vogliamo chiamare cosi una Jihad, una guerra santa a base tribale — alla lunga è destinata a essere schiacciata, ridotta a scorrerie senza futuro. Il suo futuro è legato al suo rafforzamento; se le armi non arrivano, questa guerra finiMìnimo Candito sce. pens., v. Lanzo 151; Guidi Luigia, a. 84, Laigueglla, pens., v. Richelmi 7; Bruna Caterina, a. 92, Rocchetta Tanaro. pens., v. M. Cristina 142. Deceduti In ospedale: Quagliano Libera, a. 75, Ischitella, pens.; Bechi» Giuseppe, a. 57, Casteinuovo Don Bosco, pens.; Cignorate Filomena, a. 75, Melfi, pens.; Guerini Giuseppe, a. 55, Bologna, medico; Luciano Finca Felice, a. 93, Vazzano. pens.; Vlgrtola Teresa, a. 82, Sanfrè, relig.; MennuniMaria, a. 38. Cerignola. oporaia: Silvestri Gino, a. 57, Mirandola, bidello; NlcoletU Lucia, a. 70, Palmanova. pens.; Oliva Ida, a. 73, Milano, pena.; Ferro Enrico, a. 76, Venezia, pens.; Tona Mario, a. 67, Tronzano, pens.; Soglie Orsolina, a. 87, Casalborgone, pens.; Mancredl Teresa, a. 63, Mondovl, peno.; Raganato Aldo, a. 65, Copertino, pena.; Pozzolo Guido, a. 77, Asti, pena.; Merlo Caterina, a. 73, Torino, pene.; Ronco Maria, a. 85, Ornago, relig.; Puttomatti Maria, a. 51, Stianta, cas.; Basile Maria Pia, a. 78, Reggio Calabria, cas.; Marc anta Tommasso, a. 56, Tortona, operaio; Acconterò Severina, a. 78, Montemagno, pena.; Taraeeo Pietro, a. 78, Veroiongo. pena.; Gandoffo Maria, a. 47, Milena cas.; Vespa Leonardo, a. 75, Torino, pens.; Panzanato Clelia, a. 77. Venezia, pens. Nati 52-Matrimoni 15-Morti 38 (S d i 4)
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