L'incoronazione di Ennio Caretto

L'incoronazione L'incoronazione (Segue dalla l'pagina) soltanto stupidità o malafede». Jane Kirkpatrick sarà ambasciatrice all'Onu, col rango di ministro. Confuta i sospetti sul governo Reagan con la propria biografia. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Georgetown University, è sempre stata iscritta al partito democratico. «Troppi democratici — dichiara — si sono consegnati ostaggi alle velleità e alle utopie del '68. Sognano una sorta di America controculturale. Le loro riforme si dirigono contro la guerra e i sindacati, la produzione e la scienza, la famiglia e la libera iniziativa: quasi tutto ciò che l'America ha espresso e con cui si è identificata negli ultimi due secoli». Jane Kirkpatrick vede nei repubblicani, che pure «mancano di un disegno articolato del bene pubblico», i garanti della continuità storica della democrazia, «il compito — osserva — che attribuivo e attribuisco al mio partito». Discutendo nell'antica sala dell'università gesuita, l'ambasciatore designato all'Onu rivendica alla presidenza Reagan la duplice missione di risanare l'America economicamente, e di stabilizzare le relazioni internazionali. Traccia il ritratto classico della superpotenza, «che favorirà gli amici e ostacolerà gli avversari». Sostiene che il contrasto con la presidenza Carter sarà presto palese. «Parleremo con una voce sola e rispetteremo i nostri impegni, non avremo ripensamenti né contraddizioni». Difende l'aumento delle spese militari e il programma di contenimento territoriale dell'Urss. «Il vero imperialismo — dice — è oggi quello moscovita. Non la nostra forza, ma la nostra debolezza lo induce alla destabilizzazione, e potrebbe indurlo a un conflitto armato». Nel suo giudizio, il prossimo quadriennio si configura come un'era di ricostruzione non solo per l'America, ma anche per l'Europa sotto il profilo politico come sotto quello monetario. Gli storici del centro destra concordano con questa analisi. Sotto Reagan, dopo circa un anno di dolorosi assestamenti, si aspettano un'America forte, in piena espansione industriale, leader vigorosa dell'Occidente. Con eccessivo ottimismo, qualcuno adombra una svolta simile a quella impressa da Roosevelt al centro sinistra nel 1936. L'opinione di Michael Ledeen è pili sfumata. «Non dubito che Reagan riuscirà dove è caduto Carter — afferma — ma gli Stati moderni presentano problemi quasi impossibili da risolvere». Ledeen, che figurava sull'e¬ lenco dei possibili ambasciatori a Roma, prevede una gestione protetta dalle scosse e un mondo più sicuro che negli ultimi quattro anni. Individua il punctum dolens del governo Reagan per l'Europa nella fine della distensione. Essa è stata compromessa dall'Afghanistan — mi dice —; occorrerà tempo per rianimarla. Ma dovrà avere altre fondamenta». Fa capire che Reagan mira a rinegoziarla da posizioni di forza, non di debolezza, e potrebbe chiedere agli alleati di allinearsi. Come? «Con il riarmo; con una minore dipendenza dalle risorse russe, il petrolio innanzitutto; con una riduzione dell'export tecnologico». Anche una corrente del partito democratico riconosce a Reagan il merito di una linea politica di forte presa sulla coscienza popolare. Il senatore Kennedy rileva nel pragmatismo e nella percezione dell'umore nazionale le qualità migliori del Presidente designato. Mi dichiara di non attendersi errori clamorosi né nell'economia, né in politica estera. Kennedy non considera Reagan «un cow-boy dal gril letto facile», secondo l'arrogante descrizione del regime di Khomeini. Gli rinfaccia invece di aver fatto promesse che non può mantenere, imitando la campagna elettorale di Carter nel 76. Soprattutto, ritiene inconciliabili le esigenze del riarmo e del pareggio del bilancio dello Stato, senza lo smantellamento di strutture sociali cui il Paese non può più rinunciare. Prevede l'attuazione solo parziale dei progetti dei repubblicani, con frequenti compromessi, e dissidi al Congresso. Ennio Caretto

Luoghi citati: Afghanistan, America, Europa, Roma, Urss