Narra di una carnefice che impicca a Praga di Alfredo Venturi

Narra di una carnefice che impicca a Praga COLLOQUIO CON L'ESULE CECOSLOVACCO KOHOUT SUL SUO NUOVO ROMANZO Narra di una carnefice che impicca a Praga MILANO — Una scuola cosi poteva essere immaginata soltanto nel clima kafkiano di Praga: una scuola di altissimo livello culturale e tecnico in cui si formano i futuri carnefici dello Stato. L'idea l'ha avuta uno che durante la resistenza consegnò ai nazisti i propri compagni, e deve la sopravvivenza al fatto che, dopo la guerra, l'unico boia a disposizione è stato giustiziato per collaborazionismo. Lo sostituisce appunto il partigiano traditore, che trova motivi di riscatto e autorealizzazione nell'orgoglio professionale, nelle perfette tecniche di esecuzione, nell'applicare a una secolare tradizione di supplizi e torture un moderno approccio multidisciplinare, cultura classica specifica arricchita dai conforti del computer. Un libro cosi poteva essere scritto soltanto a Praga, e poteva scriverlo soltanto uno della «primavera». Lo ha scritto Pavel Kohout, noto autore teatrale, uno degli uomini di Charta 77, da qualche anno esule a Vienna, a Milano per parlare della sua singolare creatura letteraria. Il libro è stato pubblicato ma non stampato in Cecoslovac¬ chia, vi circola infatti sotto la specie del dattiloscritto, tipica delle dissidenze orientali. Parallelo alla normalizzazione politica, ricorda Kohout, c'è «il tentativo di una normalizzazione letteraria*. E' stato invece stampato in Occidente: un'edizione tedesca, una inglese, e ora la versione italiana. La carnefice, pubblicata dagli Editori Riuniti, traduzione di Elisa Biancospino, prefazione di Giovanni Giudici. Si parla dunque di Praga, e della sua inimitabile eredità letteraria. Kohout individua le sue radici nell'atmosfera boema quale noi la conosciamo attraverso Kafka e Hasek: quale ha trovato espressione, ricorda, soprattutto in due libri singolarmente paralleli, Il processo e II buon soldato Svejk, che *sono stati scritti nello stesso tempo, i primissimi Anni Venti, e perfino nella stessa strada, o giù di lì, e faccia caso che cominciano quasi allo stesso modo*. Qualcuno, trovandosi fra le mani questo libro, ha ricorda to anche Meyrink e le sue cupe leggende praghesi, fino a parlare di romanzo neogotico di tradizione sepolcrale, di echi ossianici: un grand-guignol acculturato con modi surrealistici. Kohout non ama troppo questo vezzo critico dei richiami. 'Nel '71, quando ho cominciato a scrivere La carnefice, non mi ero accinto necessariamente a un romanzo. Un saggio sulla pena di morte, piuttosto, ho letto tutto quello che c'era da leggere in materia, un duecento titoli. E guardi: a parte la scuola e le vicende personali, tutto il resto nel libro è autentico*. Autentiche, e dotte, le citazioni, da Beccaria, di cui il protagonista ricorda *il tristemente famoso libello*, a De Maistre che invece sta sugli altari per la sua glorificazione del boia, fino ai carnefici memorialisti di tutte le epoche. Si citano perfino le lacune: «La letteratura è appestata dalle descrizioni delle ultime notti dei condannati... Ma dov'è mai un novello Shakespeare che descriva la prima notte del boia?*. In una struttura romanzesca cosi atipica, il ruolo centrale è affidato a una donna. Lizinka. E' una tenera fanciulla praghese, che non dice una sola parola durante l'in¬ tera vicenda, se non alla fine, quando registra compiaciuta l'assenza di certe sgradevoli reazioni fisiologiche nell'uomo che ha appena magistralmente impiccato. Perchè Lizinka non parla? «£' una presenza catalizzatrice, tutti la vedono e la amano, e reagiscono secondo l'idea che se ne fanno: lei è di una suprema indifferenza*. Femminilità indifferente, ma anche travolgente: un compagno di scuola crocifigge il rivale che ha ballato con lei (e il carnefice-insegnante deve convenire, con soddisfazione didascalica, che lo ha fatto con tutte le regole), per poi imbalsamarsi nel ghiaccio; mentre il secondo docente di esecuzioni capitali, nel tentativo d'incoraggiare la propria virilità esitante di fronte a Lizinka, commette il fatale errore di anticipare l'impiccagione di un tale che, poche ore dopo, sarà graziato. E' proprio questo docente che viene offerto alla scuola per il saggio di fine d'anno. E cosi la ragazza, che aveva cominciato la sua carriera di prima carnefice della storia uccidendo un pesce e una gallina nel bagno di casa (era questo il test attitudinale per l'ammissione ai corsi) entra nella professione appendendo per il collo l'insegnante fatalmente innamorato. Fra un paradosso e l'altro, impassibili descrizioni d'impalamenti, decapitazioni, torture col fuoco e con l'acqua, una cadenza scandita da cesure grafiche destinate, dice l'uomo di teatro Kohout, a •promuovere il coinvolgimen to attivo del pubblico*, il romanzo procede puntiglioso sulla strada di un asettico cui to della professionalità. Im piccare qualcuno, dice il protagonista, «può farlo più o meno bene chiunque, tranne un paio di intellettuali* : ma il mestiere, nobile e antico, è destinato a un grande futuro. Questa professionalità, questa indifferenza, questa sere nità descrittiva cosi kafkiana, non soltanto ricacciano l'orrore sullo sfondo: ma dipin gono in modo sorprendente una violenza ormai diventata elemento strutturale della storia quotidiana. Nella Praga della primavera tradita, certamente, ma non soltanto 11. Alfredo Venturi

Luoghi citati: Milano, Praga, Vienna