Caro Fo, sonnecchia la tua musa...
Caro Fo, sonnecchia la tua musa... DEBUTTA A MILANO LA COMMEDIA «CLACSON, TROMBETTE E PERNACCHIE» Caro Fo, sonnecchia la tua musa... MILANO — Ha esordito l'altra sera in prima nazionale al Cinema Teatro Cristallo di Milano «Clacson, trombette e pernacchie», la nuova commedia di Dario Fo. Allo spettacolo il nostro critico Guido Davico Bonino dedica questa lettera-recensione. Caro Dario Fo, sei stato molto gentile, qualche sera fa, a Milano, nel bel mezzo dell'intervallo di una «generale» aperta al pubblico della tua ultima commedia Clacson, trombette e pernacchie, a ringraziare il nostro giornale («proprio», il nostro giornale) degli articoli dedicati a questa tua fatica, a differenza di altri quotidiani che le hanno steso il black-out intorno: e ad aggiungere: «Per comportarsi così, ci vuole una grossa cultura alle spalle: e la cultura non si improvvisa». Sei stato molto gentile: e non vorrei sembrarti irriconoscente se ti dico, con quella serena franchezza che l'amicizia consente, che questo tuo ultimo spettacolo mi ha molto deluso e un poco immalinconito. Non discuto la tesi di fondo della commedia né il personaggio che hai scelto ad impersonarla, cioè Gianni Agnelli: e neppure entro nel merito di battute che potrebbero suonare oltraggiose, sul piano umano prima che politico, per singole personalità viventi (io non chiamerei mai Leo Valiani «senatore a morte», tanto per fare un esempio, perché mi pare di pessimo gusto, oltreché iettatorio). Parlo del copione e della sua realizzazione, dei risultati, diciamo cosi, drammaturgici e scenici. Il testo della commedia mi è sembrato, anche Sila rilettura, lento e grigio: l'opposto del tuo stile di commediografo, che, quando sei in vena, è uno stile veloce e squillante, in cui il ritmo del dialogo si fa azione e l'azione si esprime, di pari passo, in una pirotecnica efflo¬ rescenza di immagini, una più colorata dell'altra. In questa storia di sosia, l'operaio buono che salva il padrone «cattivo» per ritrovarselo tra i piedi del tutto identico a se stesso, c'è, invece, un antefatto lunghissimo e francamente noioso (la storia, appunto, dell'avventuroso salvataggio); qualche faticato preliminare alla doppia identità (la scena dell'operazione di chirurgia plastica); la commedia degli equivoci tra i due simillimi, dinanzi agli occhi di una consorte sgomenta; e poi un epilogo, di nuovo di una lunghezza estenuante, per spremere dal testo il suo (mesto, per la verità, più che pessimistico) messaggio marxiano: «Il solo vero potere è quello economico: governo e istituzioni sono al suo servizio». La commedia degli equivoci è perfetta, venti minuti della tua grande scrittura teatrale, lo scatto e il cromatismo violento delle tue invenzioni aeree, delle tue surreali battute: ma sono venti minuti, e Io spettacolo dura due ore. Un po' pochino, mi sembra. Tanto per restare in concreto, il salvataggio non potevi raccontarlo «in diretta»? La scena dell'operazione non poteva essere il pretesto per qualcuna di quelle stupende invenzioni meccanico-tecniche di cui stipavi certe vecchie commedie? E tutto l'epilogo non poteva essere animato da altre trovate, oltre a quella dei mobili che si muovono perché dentro ci sono acquattati quattro gatti di agenti segreti? Ti faccio queste domande, perché ho l'impressione che tu stia perseguendo, deliberatamente, una «scrittura-zero», tutta diversa da quella che ho appena rievocato: e che tu stia cercando anche di realizzare una regia il più possibile povera e spoglia, come se volessi mettere in sordina l'effettismo e il grottesco, le due grandi molle della recitazione tua e dei compagni, un tempo. Ho questa impressione, perché non mi spiegherei altrimenti l'economia con cui reciti e fai recitare gli altri, da Franca Rame ai giovani, quasi aveste come obiettivo una inter¬ pretazione popolarmente «ascetica». Dove vuoi arrivare, in questo modo? Ad un teatro in cui i contenuti politici parlino quasi da sé, e in cui, per converso, la finzione sia ridotta al minimo e mostrata u vista? Questo Clacson sarebbe, insomma, il tuo primo «dramma didattico»? Lo so, quelli di Brecht adesso va di moda dire che sono bellissimi' a me continuano a sembra re brutti. E non vorrei ti mettessi sulla strada del «recitar coniiziando». Preferisco pensare che la tua musa, stavolta, ha dormicchiato. Consolati, capitava anche ad Omero. Credimi, affettuosamente, tuo Guido Davico Bonino
Persone citate: Brecht, Caro Fo, Dario Fo, Franca Rame, Gianni Agnelli, Guido Davico Bonino, Leo Valiani
Luoghi citati: Milano
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