I giapponesi non salvano la Chrysler di Ennio Caretto

I giapponesi non salvano la Chrysler La Mitsubishi respinge la proposta di fusione con la società Usa I giapponesi non salvano la Chrysler II presidente della casa nipponica vuole sciogliere i legami che ci sono (azionari) con quella americana - L'operazione era stata caldeggiata dal ministro Miller e dal governatore Volker, convinti che la Chrysler non può più essere salvata con i soli prestiti pubblici e governativi - Il presidente Reagan revocherà alcune norme per la sicurezza e contro l'inquinamento DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — La Mitsubishi, il colosso dell'industria giapponese, ha respinto una proposta di fusione tra il suo settore automobilistico, la «Mitsubishi Motors», e la «Chrysler», avanzata da una ditta di consulenza e investimenti di quest'ultima, la «Salomon Brothers». Lungi dal prendere in considerazione una più stretta partnership con la Casa americana, il presidente della Mitsubishi Motors, Yosithosi Sone, ha incominciato a sciogliere i legami che la uniscono a essa. Esattamente dieci anni fa, la Chrysler aveva acquistato il 15 per cento delle azioni della compagnia nipponica, garantendosi l'esclusiva delle vendite delle vetture negli Stati Uniti. Con i suoi modelli Plymouth, Sapporo e Champa, e i suoi modelli Dodge, Colt, e Challenger, la Mitsubishi Motors si era installata al terzo posto tra le marche giapponesi sul mercato americano. La proposta della «Salomon Brothers» è stata caldeggiata dal ministro del tesoro Usa Miller e dal Governatore della Federai Reserve Volcker, che presiedono la speciale commissione governativa per la Chrysler. I due uomini sono giunti alla conclusione che la Casa non può più essere salvata con i soli prestiti pubblici e governativi, ma che la sua sopravvivenza dipende dalla fusione con una grande impresa straniera. Il no della Mitsubishi ha rappresentato un brutto colpo anche per loro. Dopo essere stati messi al corrente, Miller e Volcker hanno subordinato il loro assenso a nuovi prestiti al giudizio del presidente designato Reagan. La Mitsubishi Motors ha respinto la proposta della «Salomon Brothers» per due motivi: essa teme innanzitutto che la Chrysler non sia più in grado di riprendersi, e che la travolga in un'eventuale bancarotta. In secondo luogo, poiché i quattro suoi modelli rappresentano il 20 per cento delle vendite della Casa americana, ritiene di potersi conquistare una buona fetta del mercato Usa. La «Mitsubishi Motors» è stata cacciata dal terzo al quarto posto dalla «Toyo Kyogo». produttrice della Mazda. Vuole tornare al più presto nella posizione di prima, e ha i mezzi per farlo da sola. Yosithosi Sone ha annunciato una serie di misure che aggravano i problemi della Chrysler. Da febbraio, fornirà a essa non più 15 mila ma solo 7000 mila Plymouth e Dodge al mese. Sospenderà inoltre gli invii dei motori per i nuovi «K cars», le vetture di media cilindrata della Casa ameri- cana. Infine, formerà una filiale negli Usa, che abbia il controllo delle proprie auto sino a che raggiungono i punti di vendita della Chrysler. La seconda misura potrebbe essere fatale. La casa americana contava, infatti, su 200 mila motori per i «K cars» all'anno per la propria ripresa. Finora ne aveva ricevuti complessivamente 130 mila. Non è escluso che la Mitsubishi Motors torni sulle proprie decisioni se la speciale commissione governativa e il presidente designato Reagan approveranno altri prestiti per la Chrysler. Ma la Casa americana non si è mai trovata cosi vicina alla chiusura. Il suo presidente Lee Iacocca. considerato un tempo il miglior manager del settore, ha dichiarato che i fondi si esauriranno entro un mese. Dopo aver riscosso 800 milioni di dollari lo scorso anno, ne ha chiesti ora altri 400. Ha anche esortato i sindacati a sacrificare complessivi 600-700 milioni con il congelamento dei salari. Attualmente, l'andamento delle trattative coi sindacati è positivo. Il leader sindacale Fraser. che siede anche nel consiglio di amministrazione della Chrysler, ha garantito «un blocco parziale'. Potrebbe invece diventare negativa la posizione del presidente designato Reagan. In un'intervista al «U. S. News and World Report», il futuro Capo di Stato ha detto di voler -riesaminare l'intero settore automobilistico americano». «Non intendo mettermi in una situazione in cui la finanza pubblica debba salvare automaticamente tutte le imprese in crisi» ha affermato.. «Se la crisi è un effetto anche della interferenza del governo, allora i prestiti sono da approvare. Ma non lo sono se essa scaturisce da errori nella gestione privata». «Quello che mi preoccupa — ha aggiunto — è che oltre alla Chrysler anche la Ford versa in gravi difficoltà». Il presidente designato ha detto che in ogni caso egli revocherà alcuni regolamenti sulla sicurezza delle vetture o contro l'inquinamento introdotti da Carter. La sensazione che il destino della Chrysler verrà giocato nei prossimi giorni provoca un tremendo disagio non solo nel settore automobilistico ma anche in numerosi altri. Attualmente, la crescita della disoccupazione ha subito una battuta d'arresto. Ma le previsioni economiche per la prima metà dell'81 sono nere. Non si prevede che i tassi d'interesse delle banche, che attualmente si aggirano intorno al 20 per cento, possano scendere sensibilmente, né che l'inflazione possa essere sconfitta prima dell'82. La chiusura della Chrysler avrebbe un impatto terribile sul mercato americano. Ma persino economisti ed esponenti del partito democratico del calibro di Galbraith incominciano a pensare che a lunga scadenza le conseguenze sarebbero salutari. A loro parere, da un lato l'industria privata sarebbe costretta a tornare all'iniziale concorrenzialità: dall'altro, lo Stato cambierebbe il carattere dei suoi interventi, concentrandosi sugli aiuti alla ricerca e :.lle applicazioni tecnologiche. Ennio Caretto

Luoghi citati: New York, Stati Uniti, Usa, Usa Miller