Per non pagare con un uovo sodo di Renato Cantoni

Per non pagare con un uovo sodo Le monetine non servono più, ne occorrono da 500 e ÌOOO lire Per non pagare con un uovo sodo Tutti ricordiamo la vergogna degli anni 1976-1977 quando, per effetto dell'inflazione e dell'inefficienza della Zecca, la carenza di monete metalliche portò all'uso di altri mezzi di pagamento più o meno eccentrici: gettoni del telefono, francobolli, caramelle e persino uova sode. A un certo punto le banche emisero una miriade di mini-assegni non del tutto legali che in breve si trasformarono in vergo- gnosi e anti-igienicì pezzetti di carta sudicia. Ai milioni di turisti stranieri che si affacciavano alle nostre frontiere fu questo il primo segno dell'inefficienza del Paese che stavano per visitare. Allora un quotidiano costava 150 lire e vi fu qualcuno che propose l'idea peregrina di coniare una moneta di quel valore quasi che i prezzi avessero dovuto rimanere stabilì per sempre. Qualche esperto, invece, prospettò l'opportunità di coniare, assieme a un grosso quantitativo di monete da 50 e 100 lire, anche altre da 500 e persino da mille lire, in vista di fatali strozzature che si sarebbero prodotte a breve termine a causa della progressiva perdita di valore della lira. Ma furono parole al vento. Negli ultimi tre anni la Zecca è stata assorbita dal Poligrafico dello Stato, più snello nella programmazione e più elastico nella produzione e si sono coniate molte centinaia di milioni di pezzi da 50 e 100 lire che in breve hanno superato le necessità. Così si è ripetuto il fenomeno osservato già alcuni anni or sono: centinaia e centinaia di milioni di monete sono rimaste accatastate nei magazzini, sia per i insufficiente domanda, sia per le complicazioni e il costo che derivano da distribuzione, trasporto, assicurazione e controllo. Occorrerebbero oggi, per queste pezzature, formati più piccoli e materiale più leggero, come quello delle 5 e 10 lire, ancora ufficialmente in circolazione ma praticamente scomparse dal mercato e trasformate in bottoni e altre applicazioni industriali. Nel frattempo il prezzo dell'argento si è moltiplicato facendo si che il contenuto in questo metallo delle monete da 500 lire abbia raggiunto un valore superiore a quello monetario. Non vi è più da pensare perciò a un utilizzo istituzionale e. nonostante il divieto, è verosimile che gradualmente questi pezzi finiscano nei crogiuoli. Rimangono sul campo, come monete divisorie, soprattutto i biglietti da 500 e 1000 lire. La loro circolazione si è moltiplicata e ne è aumentata la velocità tanto da provocare una usura accelerata. Il loro aspetto assomiglia sempre più a quello dei mini-assegni di spiacevole memoria: sono unti e bisunti, malconci, difficili da controllare e impacchetta¬ re. Ma per di più tendono a scarseggiare, soprattutto quelli da 500. Il Poligrafico dello Stato può accelerare la produzione ma occorre poi controllarli e distribuirli e le Tesorerie della Banca d'Italia e degli altri istituti non possono dedicami spazio e tempo proporzionali alle necessità che sono in crescendo. Improbo è poi il controllo per il ritiro e l'avvio al macero dei biglietti ormai troppo usurati. Non vorremmo si ripetesse il fenomeno di calcoli a peso come qualche volta rilevato per i mini-assegni. Non si può nemmeno pretendere di utilizzare maggiormente le monete da 50 e 100 lire per evidenti motivi di impraticità, peso e trasporto. Rimane una soluzione assai semplice, soprattutto se adottata in tempi brevi: ridurre la produzione di monete da 50 e 100 lire e coniarne altre da 500 e 1000 lire incrementando parallelamente la stampa di biglietti da 50.000 ora troppo scarsi per le necessità crescenti. Contemporaneamente dovrebbero essere messe fuori corso le monete d'argento, ufficializzando così la loro trasformazione in lingotti. Renato Cantoni