La «svolta» nelle sezioni pci di Frane Barbieri

La «svolta» nelle sezioni pci VIAGGIO-INCHIESTA NELL'ARCIPELAGO DEL PARTITO COMUNISTA La «svolta» nelle sezioni pci A colloquio con i militanti sul «documento di Salerno» e la rottura con la de - «Eravamo con quelli degli scandali» - «Ora però c'è pericolo di isolamento» - In nessun altro partito comunista sarebbe stato possibile un simile dibattito - Tra il modello sovietico e quello socialdemocratico, c'è una via di mezzo? Una volta i comunisti italiani si dividevano in quelli che, nel parlare, imitavano Togliatti, e quelli che. invece, copiavano Pajetta. Di Togliatti si rifaceva il tono insieme sommesso e professorale, sema poterne riprodurre l'acutezza. Di Pajetta si prendeva l'impulsività tribunizia, sema raggiungerne la lucidità. Oggi, nel giro delle sezioni, trovo che quasi tutti parlano come Berlinguer, con un tocco di trascendema un po' sbiadita, che fa apparire l'Italia allo stesso tempo il centro e la provincia del mondo. Le sezioni del pei sembrano piccoli parlamenti mondiali. Vengono affrontati durante le riunioni tutti i problemi planetari con la sicurezza che proprio da quel dibattito dovrebbero scaturire le soluzioni giuste. La mia impressione è stata forse accentuata dal fatto che il viaggio nel pei sia coinciso con l'ultima «svolta» del partito e con la crisi polacca. Si scopriva che non ci si poteva più fidare né della de né dell'Urss e che il pei rimaneva in fondo l'unico punto di riferimento, sia per le sorti del Paese, sia per le prospettive socialiste mondiali. Dal di fuori del pei, le sue famose sezioni vengono immaginate in vario modo, come una specie di logge massoniche, con riti misticoclandestini, come luoghi di congiure o come motori dì. agitazioni pronti a mettersi in moto appena qualcuno lassù preme il bottone. Forse ne ha colpa anche il partito . lasciando tuttora aleggiare • una dose di mistero e un'altra di mito attorno alle sue organizzazioni. Come se fosse rimasto un partito clandestino, pur essendo per molti versi il più pubblico fra i partiti italiani (se non altro per il volume di lavoro politico svolto). Nelle sezioni che ho visitato, comunque, non ho potuto riscontrare o vivere nulla di romanzesco. Cambiano molto secondo l'ambiente: a momenti sono come i circoli illuministici, con tanti barbuti saccenti, a momenti una sala di parrocchia, per lo più fucine di politica (riunioni, studio di documenti, preparazione di manifesti, distribuzione di volantini, continue battaglie per ogni tessera, raccolta di fondi e materiale assistenziale). C'era un po' dappertutto una certa agitazione per l'ultimo documento della direzione. Non ho trovato un militante che sostenesse di averlo aspettato. Il documento era desiderato e bramato da molti, ma atteso da nessu¬ no. Mi dice uno a Brescia: «Svolta, con o senza virgolette, è un capovolgimento anche perché è piovuto improvvisamente dal cielo». Le reazioni alla rottura con la de si sono avute in due tempi: prima e dopo l'intervista-interpretazione di Berlinguer con Reichlin. I primi giorni si andava a briglia sciolta, dando sfogo alle emozioni e al facile entusiasmo rivoluzionario. Per quattro anni si era vissuti senza un fronte ben tracciato. Ora le linee sembravano ristabilite: c'era di nuovo da fare la rivoluzione senza mezzi termini e sema tanti complimenti. Come se la storia, con tutto il peso della sua ineluttabilità, si fosse messa di nuovo a fianco del pei e soltanto del pei. lavorando in escluswa per i comunisti. Poi è arrivata l'elaborazione dialettica e continuista di Berlinguer. Cambiaria tutto e non cambiava nulla, e le cose si facevano di nuovo complesse, la pazienza storica appariva di nuovo più sofferta. Base e vertice Non c'è probabilmente partito al mondo che possa sostenere, senza mistificare le cose, che i suoi vertici esprimono meccanicamente gli umori della base. Come gli altri, anche il pei a volte l'aveva sostenuto. E non era vero. Come non era vero quando gli altri sostenevano die la buse eseguiva sempre e soltanto gii ordini del vertice. La direzione del pei pesa molto, per le strutture piramidali del meccanismo, per il centralismo democratico (in cui gli accenti non sono mai equamente distribuiti), per la tradizione del partito di vero clandestino e infine per l'alta preparazione e per il prestigio dei dirigenti centrali. Non conosco altri casi, forse ci sono stati, ma se ce ne voleva uno in cui la direzione esprimesse non soltanto il pensiero ma anche l'animo della base, mi sembra di averlo riscontrato e seguito da vicino proprio in occasione dell'ultima «svolta di Salerno». A Roma, l'attivo regionale aveva accolto, il primo giorno, la comunicazione sulla svolta con una esplosione di applausi. «Mi sono sentito quasi sconfessato», mi dice uno dei responsabili del Lazio. In un quartiere urbano di Torino ho assistito a una simile accoglienza partecipando alla riunione della sezione 15. Cito alcuni. Valle: «La svolta ha grande importanza per il pei. Si cambia la politi- ca che tendeva a reprimere il nostro ruolo di egemonia. Ora si tratta di riprendere per intero il nostro respiro rivoluzionario. Se non saremo capaci, sarà come tentare il giro del mondo su un SavoiaMarchetti». Elia: «Ad Avellino, regno di De Mita, il compromesso storico era fatto nella maniera più becera. Si riunivano pei e de per decidere chi sarebbe stato il delegato all'Alfa Sud. Abbiamo considerato De Mita l'uomo del compromesso, ora lo scopriamo mafioso. Ilo tirato un respiro di sollievo». Pittarello: «Eravamo nell'ambiguità, anche per quanto riguarda il comitato centrale. Ora dobbiamo chiarire se l'alternativa democratica significa la gestione della situazione e del potere inserito nella logica del profitto o serve per cambiare e superare il capitalismo. Cambiare, non ripulire e rimbiancare». All'assemblea della sezione Fiat di Mirafiori, un solo giorno dopo, sembrava di essere in un altro partito. E' stato condiviso da tutti il giudizio del relatore Dilonardo: «Documento a carattere di eccezionalità, data l'eccezionalità della situazione del Paese. Il pericolo di subire un'involuzione moderata è reale, e il pei non può non offrirsi come alternativa. Non si travolge la linea del partito, non si mette in crisi il compromesso storico, il quale per noi è strategia lungimirante». Dopo la riunione mi sono fermato a discutere con alcuni militanti chiedendo: «Come mai vi trovo più moderati, voi operai, di quanto lo sono i comunisti del centro città?». Annoto per tutti la risposta di un giovane tornitore meridionale, Cerabona: «Nelle scuole non è entrata ancora la cultura della classe operaia. Se per moderatismo si intende che uno deve essere realista, ben venga questa moderazione. Noi esprimiamo i valori in termini di solidarietà, e questi valori non si acquistano dai libri, ma dai sacrifici, giorno per giorno, attraverso contatti umani e di lavoro. Questa nostra diventa esperienza organica che ci porta a ragionamenti pacati». «Anche noi abbiamo subito traumi in questo periodo, prosegue il giovane. Ma l'operaio prima di dire una parola fa passare un anno, due, sta zitto, prima di avere capito. Perciò le analisi non le fanno in termini spontaneistici come succede con gli studenti. Quando andavamo a misurarci alle università e portavamo delle analisi, ci davano dei pompieri. Loro analizzano la politica del partito attraverso altri canali, giornali radical-chic. e non quelli del pei». In una specie di villa-convento di Faggeto, sul Lago di Como, ho assistito al seminario dei capisezione dell'Alta Lombardia. La svolta del pei si è trovata per forza al centro del dibattito. La dialettica di Berlinguer è stata presa dai partecipanti diciamo in modo dialettico. Si accetta che una svolta può segnare anche la continuità, ma si mettono senza mezzi termini in luce «gli errori commessi in questi anni che il documento ora cerca di correggere». JVe elenco alcuni. Spinelli: «Il pei voleva spingere il Paese sull'altra sponda, dal mezzo del guado, ma è stato costretto a indietreggiare. Gli altri non ci seguivano. Ma i valori di quel periodo vanno salvaguardati». Porcaro: «Eravamo con quelli degli scandali, ora dobbiamo comporre i cocci. E' stata una cosa pacchiana fare accordi con i segretari locali de, presentandoli come accordo con i cattolici. Spesso non si agiva per non urtare la de. Questo era limitante per la politica del pei». S'intravede però dopo la svolta pure «il pericolo di un isolamento del pei, propagandato ora da Craxi». Pensando al psi Si sente anche una soluzione perentoria del problema: «Dobbiamo costringere il psi e altri a darci una risposta. Non possiamo permettergli di rispondere ni. Questi signori devono darci una risposta chiara». Greppi è di un altro parere: «Bisogna battersi per spiegare che una svolta non c'è stata, solo che le proposte anteriori comprendevano la de e ora la escludono. Nelle sezioni c'è stata sempre la tendenza a sbattere fuori la de». Perini non tralascia nemmeno la questione più scabrosa, quella delle responsabilità, anche in alto: «Ora si notano in molti degli sbandamenti. E' vero che gli errori del pei erano obbligati o si è valutato male? C'erano scelte di verti¬ ce non capite dalla base. Se qualcuno non ha avuto la capacità di gestire una fase occorre farlo capire chiaramente». A Brescia il partito, di dura tradizione operaista, ha sofferto di più lo scontro-incontro con il dominante «muro bianco», così chiamano i cattolici. Mi dice l'operaio consigliere comunale Capovecchi: «Il pei ha vissuto in modo ambivalente una lunga fase. Da qui ora l'entusiasmo più o meno marcato. Se il pei ha bisogno di aggregare altri attorno alla propria proposta deve pure evitare di rincorrere in modo ossessivo un'alleanza su un terreno perdente. Cosi si sono perse alcune connotazioni tipiche del partito che si è sfilacciato». A Modena si percepisce facilmente che i comunisti sono al potere da lungo tempo. Per certi versi loro il compromesso storico lo sentono in senso inverso. Infatti un gruppo di segretari di sezione, che incontro alla federazione, pone in primo luogo un problema appunto governativo: «E' vero che la classe operaia non ci seguiva più con eccessivo entusiasmo, però c'è il pericolo di isolamento, possiamo trovarci spiazzati». Sono inoltre «perplessi per la famosa democrazia: qui si decide alla direzione, mentre al comitato centrale recente non si era iniziato nemmeno il discorso». La scala più viva di giudizi l'ho incontrata però ali 'attivo della zona Bolognina a Bologna. Me lo faceva prevedere l'aspetto stesso della sala: da nessuna parte si incontra tanta differenza generazionale, fra anziani che prevalgono stanno disseminati alcuni volti giovani camuffati da barbe. Ecco due giudizi estremi. Il vecchio militante Grassia: «Abbiamo lasciato molte penne sulla strada. L'esperienza della maggioranza è stata decisamente negativa. A parte che gli operai ci dicevano che andiamo a braccetto con i democristiani, va osservato che non si spingeva in avanti, cadendo quasi nella proposta di assottigliare la busta dell'operaio». Torinello, giovane: «Non si può pensare di arrivare al governo senza gli imprenditori e le altre forze e partiti. Contrariamente, dovremmo tirare i remi in barca e ritirarci. Nei momenti di transizione anche la proposta di tipo socialdemocratico è un passo in avanti». A Genova, invece, il segretario della sezione dei portuali mi trasmette questo stato d'animo: «La svolta rappresenta un riscatto per chi negli anni della solidarietà stava zitto. Per tre anni gli operai non parlavano alle riunioni. Si sentivano attaccati, isolati e per certi versi abbandonati dal partito». Una cosa mi sembra certa. •Un simile dibattito non sarebbe immaginabile in nestsun partito comunista del '.mondo. Allo stesso tempo mi [sembra certo che in ogni alitro partito democratico una simile contestazione avrebbe 'messo in crisi la direzione. •Oggi come oggi, il pei si presenta semplicemente come un partito «diverso». Ha chiarito più o meno cosa non desidera essere: né di tipo sovietico né di tipo socialdemocratico. Dovrèbbe ancora definire che tipo di partito, e di conseguema che tipo di società sta in mezzo. Ma esiste una via di mezzo? Lo vedremo con i militanti delle stesse sezioni Frane Barbieri