La sceneggiata è finita, ora c'è la rabbia di Livio Zanotti
La sceneggiata è finita, ora c'è la rabbia DOMENICO REA E MICHELE PRISCO GIUDICANO LA LORO NAPOLI La sceneggiata è finita, ora c'è la rabbia La tremenda notte del terremoto ha cambiato molte cose; «Da allora la città si porta dentro il silenzio» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NAPOLI — Domenico Rea, a sessant'anni, è ancora uno scugnizzo, irriverente e insieme cauto, come trentanni fa, quando irruppe con Gesù, fate luce nella narrativa meridionale. La sfumatura è invece il tono di Michele Prisco, grande signore di buone maniere. Al pari di Rea, afferma che da tempo ormai non resta più niente da dire su Napoli, ma poi l'uno e l'altro non riescono a tacere. Il terremoto li ha commossi e indignati. Prisco e Rea, i loro romanzi, sintetizzano questa ambiguità di Napoli: miseria e nobiltà, divise in parti uguali tra i vicoli e i quartieri alti. Da un mese, dal giorno di quelle scosse tremende, questa città ha cessato di recitare. La gente degli attici da 400 milioni si è chiusa la porta alle spalle, infastidita dal rumore e dai lamenti delle strade giù per la marina: «Strade defunte», dicono di quelle, oltre un centinaio, che il Comune ha chiuso i per il timore di crolli. «Senti-' te? Manca persino l'odore del "ragù"», conferma chi invece c'è rimasto perché non sa dove andare, annusando l'aria intorno. Così scollata, Napoli suscita risentimenti in alcuni che la guardano dal Nord e non la capiscono, confusionaria, avida e traffichina anche nella sciagura. «Ingrati e camorristi, se ne restino con la loro napoletanità», ha gridato (e scritto) qualcuno. « Tu, Rea, che rispondi?». «Io, superato il Garigliano, mi sento in Austria; dopo il terremoto non mi basta più considerarmi uno scrittore meridionale, voglio essere uno scrittore sudista. Io non sono d'accordo con niente della tematica vecchia e nuova su Napoli. Napoli è un pianeta a parte, un "fuori". Ma questo "fuori", questa originale estraneità ha dato all'I«talia l'unica capitale che il Paese abbia mai avuto, l'unisca filosofia. Se togliamo il pensiero napoletano da quello italiano, cosa rimane? Soltanto Cattaneo (o qualcuno oserebbe comprenderci anche Gioberti?). Nel silenzio italiano, Napoli partorisce Masaniello e nel 1789 fa la Repubblica partenopea; è dalla patria di Pulcinella che cominciano i moti dell'indipenden¬ za. Mi dispiace per chi regolarmente lo dimentica, ma sono fatti». Interrompere Rea è difficile. «Si, lo so, la gente si scassa con questi discorsi. Dice che li ha già letti sui libri. Ma ricordare per la millesima volta questa genealogia viva, attiva e palpitante di Napoli è necessario per approdare al concetto di una precisa realtà: che se non vi fosse stato questo civilissimo passato, da molto, da molto tempo sarebbe già esplosa la violenza; continuamente provocata non dalla delinquenza bensì dalle ingiustizie che abbiamo subito e ancora subiamo, dalle piaghe non rimarginate, dai debiti non pagati fin dall'Unità. La situazione è andata aggravandosi; ma nonostante i terremoti, i "rackets" e tutto quanto, Napoli resta una delle poche città italiane in cui è possibile passeggiare tranquillamente di giorno e di notte». «Ma la camorra, il contrabbando, laplebaglia riottosa?». «Ad un amico tedesco che si legnava per la sporcizia di Napoli, Benedetto Croce replicò: "Embè, c'è la merda? E io faccio un saltello...". Io il saltello lo faccio su certo insipido folclore. Il contrabbando: questo è un porto di mare, 10 è dal Medio Evo, da prima che Boccaccio facesse dire ad Andreuccio da Perugia che 11 contrabbando è più o meno un'attività tradizionale. Ma vogliamo scherzare! Noi consideriamo frontiera una sciocchezzuola come quella che separa l'Italia dalla Svizzera: e Napoli, allora, con i bastimenti che arrivano da ogni parte del mondo? La delinquenza in grande stile è un'altra cosa, viene dagli esempi siciliani e americani, illustrati tanto bene dal cinema. La verità è che siamo sempre ai tempi di Nerone: quello veniva qui, prendeva gli applausi e se ne tornava a Roma. Cosi facevano e fanno gli imperatori romani. E nonostante ciò i napoletani non sono ancora diventati cinici». «£' vero. Prisco, non c'è cinismo a Napoli? Come si spiega allora questo miscuglio di gentilezza barocca e arroganza plebea che arriva fino alla gagliofferia del "guappo"?». «Il guappo di una volta aveva un'umanità che adesso s'è fatta spietatezza. Perciò io non amo la "sceneggiata", Merola presenta personaggi che non esistono più. Oggi c'è il contrabbandiere. L'altra settimana, arrivo sul lungomare di Torre Annunziata con la macchina e la famiglia. Un tipo con una specie di paletta colorata mi fa cenno di arrestarmi. Ci fermiamo ed aspettiamo. Vediamo sfrecciare quattro o cinque auto, prima che il tizio ci lasci ripartire. Credevo fosse un vigile, sa, da queste parti non tutti e non sempre indossano la divisa. Quello, in cambio, aveva una ricetrasmittente portatile in mano. Mio fratello mi ha spiegato poi che si trattava di contrabbandieri. Bloccano il lungomare ogni volta che devono trasportare un carico. Li pagano a cottimo, quindi più corrono e più guadagnano. Ma in queste scorribande avevano ammazzato un paio di pedoni e ne era nato un caso. Era intervenuto il pretore. Per evitare che si ripetessero hanno allora organizzato una loro polizia stradale. «Il contrabbando permette molte cose, rende. Nel settem¬ bre scorso, un contrabbandiere di ventotto anni ha festeggiato le proprie nozze con un ricevimento cominciato alle quattro del pomeriggio e finito alle quattro del mattino seguente : orchestre, cantanti con Sergio Bruni in testa, ostriche, champagne, una cosa da "Grande Gatsby", senza Fitzgerald e con un conto finale di 14 milioni. Ecco la Napoli che ha preso il posto di quella "sfiziosa napoletanità" fatta di perline: quella era falsa, questa è angosciosa. E adesso il terremoto «Cosa ha cambiato il terremoto?». «Di quella notte mi ha colpito il silenzio, che Napoli si porta ancora dentro. Dopo la paura è venuto l'ammutolimento; la gente stava in strada, tutta assieme, ma i bivacchi sembravano congreghe di fantasmi. Quel mare oleoso, che non frusciava neppure attorno agli scogli, non si poteva guardare. Eppure qualcosa stava cambiando in città, lentamente: quel folclore vetusto e balordo di cui parlavamo cedeva il posto ad un certo senso civico. Adesso temo l'egoismo e l'impotenza. L'egoismo del gran signore che rassicuratosi su quanto è accaduto alle sue proprietà, a Calitri o a Marcianise, tira su le spalle e si butta nello shopping natalizio, magari non a Napoli ma a Londra. Il disastro? Ho sentito uno di essi darne la colpa alla televisione: "Troppe immagini, che amplificazione esagerata...". «Temo anche l'impotenza dei borghesi che si guardano attorno senza sapere cosa fare, soffrendo nell'inerzia. La città è esausta, non so se riuscirà a ritrovare la forza della "Napoli milionaria". Trentanni fa era stata colpita più di oggi, eppure conservava energia: oggi ho l'impressione di una cattiveria che non vedevo allora; la gente ride poco, non ride più. Questa è una città che vorrebbe tutto e subito. Invece ha ricevuto niente prima, poco negli ultimi anni e. adesso, chissà! Se la rabbia diventasse forza... L'altra sera siamo stati a cena con Pomilio, Rea, Ghirelli: parlavamo degli artigiani di Napoli, pastorai. liutai, creatori di fiori finti, rilegatori di libri, uno splendido mondo che langue». «Parla di questa Napoli il suo nuovo, prossimo romanzo?». «No, è una storia di sentimenti, molto intima. Come parlare di Napoli? Da narratore non mi sembra possibile, non colgo mutamenti capaci di sostenere una storia». • Prisco non si concede ottimismi («Forse è l'età», si giustifica). Ma neanche Rea si fa illusioni: parte per un lungo viaggio in Estremo Oriente. «Quando?». «Subito». Livio Zanotti
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