Un pci «laico», libero dai demoni

Un pci «laico», libero dai demoni VIAGGIO-INCHIESTA NELL'ARCIPELAGO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Un pci «laico», libero dai demoni Fcomunisti cercano di darsi l'immagine di «un partito moderno per una società moderna» - Il difficile inseguimento della «nuova classe», cioè dei ceti emergenti, dei medi livelli sociali, rende necessario il riscatto dalle ossessioni della religione marxista - «II fatto che cerchiamo una terza via testimonia che non troviamo risposte neanche nei vecchi numi» TORINO — A Torino su ogni membro iscritto al pei vengono quattordici voti elettorali a favore del partito. A Milano il rapporto è di cinque votanti per ogni militante, a Genova ogni iscritto mobilita in media sei elettori. In Emilia-Romagna il partito quasi coincide con il suo corpo elettorale: fra due votanti comunisti uno è iscritto al partito. L'interpretazione che Pajetta mi dà del fenomeno è più che altro psicologica o di costume. Dice che in Emilia la moglie è orgogliosa se il marito diventa segretario della sezione, la moglie piemontese invece si secca se il marito prende la carica che nessuno è disposto ad accettare. Durante il viaggio-inchiesta incontro però anche altre interpretazioni dalle quali emerge una diversificazione nello stesso modo di concepire il partito. Nelle zone industriali si è andato strutturando come un partito operaista, avanguardista e per certi tratti esclusivo. Diciamo pure: aristocratico alla rovescia. A Torino ha inciso anche la spaccatura fra città e operai e quella fra insediati e neo-arrivati nello stesso corpo operaio. I «sampaolini», comunisti nobili dell'Ordine Nuovo e delle commissioni interne, impongono tuttora un rigore dottrinario nel reclutamento al partito. Se no, dicono, il partito corre il rischio di annacquarsi, perdendo i connotati dell'avanguardia. A Milano e a Genova lo scarto diventa minore, malgrado le persistenti preclusioni operaiste, in quanto la ramificazione delle industrie favorisce un più capillare dislocamento anche ai comunisti. Pure le città risultano qui più amalgamate con i settori produttivi meno mastodontici. oscillazioni nelle cifre, indicate all'inizio, riflettono infatti la misura in cui il pei ha saputo adattarsi a.'le nuove stratificazioni. Nel complesso è indicativo che i comunisti tengono elettoralmente meglio proprio nelle zone sviluppate, nella società moderna. E' vero però' altrettanto che proprio qui hanno registrato ultimamente le prime smagliature preoccupanti. Il sollievo nell'ultime, sconfitta elettorale stava nel fatto che si era perso nel Sud e tenuto al Centro-Nord. Sarà qui che nascerà il «nuovo partito^ se dovrà nascere una buona volta. E non potrà nascere senza un articolato aggancio con i nuovi dottrinariamente inca talogabili e socialmente inafferrabili strati intermedi. Poche cifre, elencatemi da Bisso, segretario del pei per Genova, rendono le giuste proporzioni del problema: «Prima, nelle industrie genovesi, il rapporto fra operai e tecnici era dell'80 contro il 20 per cento, ora è di 50 contro 50». Il problema sta nel come eliminare quel «contro». Il segretario della sezione del pei all'Italcantieri di Sestri Levante, Roberto lerle, coglie il pericolo in questi termini: «La nuova stratificazione ci trova impreparati. Lo scontro da noi ancora non c'è, ma c'è chi vuole provocarlo. Ecco, la politica di Craxi, per esempio, non può essere interpretata se non come un tentativo di avvicinamento a questi strati emergenti. Un tentativo, però, in termini di scontro. Esiste la convinzione fra noi che la proposta socialista non tende a rispondere realmente alle esigenze di questi strati ma vuole strumentalizzarli in contrapposizione alla vecchia classe operaia». Vediamo a questo punto quali sono le proposte del pei, i disegni atti a sanare o prevenire una simile contrapposizione. A Genova, Bisso parte da quanto non bisogna fare: «Non avendo un modello pronto, non ci ispiriamo nemmeno alla socialdemocrazia, visto che risposte non ne ha. Il fatto che cerchiamo una terza via testimonia che non troviamo risposte neanche nei vecchi numi. Stiamo lavorando su un partito che ha di fronte una classe con problemi completamente nuovi. Si pone una domanda politicamente più alta. Si potrà rispondere solo attraverso una molteplicità di organismi, all'interno della fabbrica, valorizzando la professionalità, attraverso gli enti locali, coinvolgendo tutti gli strati professionali nell'elaborazione di un nuovo livello di vita». «Operai e tecnici, continua Bisso, diventano meno antagonisti anche attraverso una maggiore sindacalizzazione. Nello stesso pei stiamo già eleggendo a segretari di sezione dirigenti e tecnici delle fabbriche. Tuttavia si registrano pure degli scollamenti, come con la Sinquadri ». Su quest'ultimo particola¬ re, a Torino, alla sezione pei di Mirafiori, trovo un atteggiamento diverso: prevale l'opinione che l'aggregazione dei «quadri- in un sindacato separato non dev'essere per forza in contrasto con i sin-, dacati operai. Bertinotti, segretario regionale della Cgil a Torino, ha una soluzione più composita per assorbire le nuove stratificazioni. Riguarda l'organizzazione del lavoro. Praticamente la sua proposta tende a spezzare la catena di montaggio, in quanto è stata la tecnologia a scavare il solco fra lavoro tecnico e manuale. Si chiede Bertinotti: «Come ricostruire la centralità nuova, segmentata nelle nuove componenti, evitando la polarizzazione operaiotecnico?». E subito risponde: «Occorre cercare l'uscita verso gruppi integrati di produzione che costruiscano una professionalità collettiva, voglio dire: integrare nello stesso gruppo il lavoro manuale, il controllo, la manutenzione, l'informazione, la progettazione, per ristabilire un'articolazione diretta fra operaio di linea, tecnico, progettista, impiegato, tutti insieme impegnati in un delimitato settore di produzione. Abbiamo come esempio, in Val di Susa, l'organizzazione del lavoro per isole ». Mi è parso tuttavia che a Milano si siano spinti più lontano nell'elaborare un nuovo concetto di classe e di articolazione fra i nuovi strati. Anzitutto, qui li trovo più critici verso /'«appiattimento salariale», conseguenza di una politica «demagogica- mente ugualitaristica» e di una «difesa scriteriata del lavoro disagiato» condotte finora dal partito. Mentre discutevo con un gruppo di segretari delle organizzazioni di base della Lombardia, ho sentito simili apprezzamenti. Cipolla, segretario in una fabbrica: «Non vogliamo più essere d'accordo con chi rivendica aumenti uguali per tutti». Averse, segretario di una zona: «Siamo ormai coscienti che c'è una diminuzione della classe operaia, come s'intendeva una volta o come la intendevano Marx e altri pensatori marxisti». Para, segretario di azienda: «Non abbiamo la giusta risposta alla nascita dirompente del terziario, di un lavoro non più manuale nel senso tradizionale. La tecnologia ha ridimensionato la posizione dell'uomo-produttore».

Persone citate: Bertinotti, Bisso, Cipolla, Craxi, Marx, Pajetta