Artisti sessantenni alla Biennale controcorrente di Francesco Vincitorio

Artisti sessantenni alla Biennale controcorrente A RIETI 50 PITTORI E SCULTORI ESPOSTI SECONDO UNA FORMULA SINGOLARE Artisti sessantenni alla Biennale controcorrente RIETI — Si è inaugurata nei giorni scorsi e rimarrà aperta fino al 25 gennaio una rassegna alla quale è stato dato il nome di Biennale nazionale d'arte contemporanea. Data la frequenza con cui, da tempo, ne nascono in varie parti d'Italia, poteva essere un avvenimento senza troppo spicco. Invece, per fortuna, c'è, a caratterizzarla, una formula insolita. Ossia un criterio di scelta generazionale — soltanto artisti nati tra il 1920 e il 1929 — che da parecchio non veniva usato, salvo per gli ultimi arrivati, i cosiddetti nuovi, novissimi e nuovi-nuovi. L'amministrazione provinciale di Rieti, e per essa il critico Giorgio Di Genova, ha ritenuto che questo interesse esclusivo verso i giovani andasse frenato. E, pur consapevoli delle difficoltà e della rigidità, in arte, di un discorso sincronico, si è voluti andare decisamente controcorrente, incominciando con quella generazione che, forse, più delle altre è stata sacrificata dalla smania delle novità. In seguito verranno presentati i successivi decenni e poi... si vedrà. La mostra comprende una cinquantina tra pittori e scultori, vivi e morti. Anzi un'altra caratteristica della rassegna è appunto la distinzione espositiva tra i vivi e gli scomparsi. I primi, sotto i portici' del Palazzo Vescovile: i secondi, nelle sale del Palazzo del Turismo. Le minuscole antologiche di questi ultimi (Grippa, Novelli, Rambelli. Sanfilippo e Tancredi) vogliono essere, più che altro, un ricordo. Con cosi poche opere è, in effetti, difficile che il pubblico possa capire il significato del loro lavoro. Come è scritto in catalogo: semplici omaggi. Per la verità anche per i vivi è la stessa cosa. Chiaramente, un paio di opere a testa consentono solo in modo vago una lettura delle loro ricerche. Tanto più se, come sta succedendo da diversi decenni, sono cosi differenti da artista a artista. Qui basta scorrere i nomi degli espositori. A colpo d'occhio, quasi un confronto di opposti. L'astrattismo dell'Accardi contro il realismo di Attardi, la struggente bellezza dei quadri di Bendini e le sgradevoli immagini di Bertini, le bande festose di Dorazio e gli acidi goticismi di Fieschi. Insomma contrapposizioni quasi paradigmatiche fino alla fine: i colori netti di Tadini e le ombre di Uncini, il senso di morte di Vespignani e la vitalità naturalistica di Zigaina. Questa sommaria esemplificazione può dare subito anche un'idea del taglio criti¬ co con cui sono stati scelti questi rappresentanti della generazione Anni Venti. Un criterio che ha cercato di privilegiare soprattutto la qualità. Naturalmente con vari buchi. Particolarmente immotivate, ad esempio, le assenze di Berti, Biggi, Gianquinto, Raccagni e di tutti i piemontesi: Merz era invitato ma non ha risposto. Tuttavia anche con qualche gradita sorpresa di artisti non troppo baciati dalla fortuna. Tale può essere considerato Rambelli tra gli scomparsi. E altrettanto dicasi della Bentivoglio è*'di De Vita, di Marchegiani e di Nangeroni. Dunque una manifestazione rilevante soprattutto per il suo anticonformismo e che avrebbe potuto diventare davvero un utile prototipo se si fosse fatto un ulteriore scarto rispetto alle regole: solenne inaugurazione e taglio del nastro inclusi. Vale a dire una coraggiosa sostituzione di questo tipo di rassegna, inevitabilmente poco leggibile, con una serie di mostre personali, magari dei medesimi artisti, scalate nel biennio, a carattere antologico e con un numero di opere sufficiente per far capire lo sviluppo e la natura della ricerca di ciascuna personalità. Se Rieti avesse avuto questo coraggio avrebbe potuto realmente diventare un esempio. Un modello di attività pubblica mirante a un'effettiva crescita culturale della popolazione. Cosi come la rassegna è articolata, probabilmente, non resterà che il ricordo di una fugace passerella. E, considerati i rigori dell'inverno reatino e gli spifferi sotto i portici del Palazzo Vescovile, raffreddori e polmoniti. Francesco Vincitorio

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